Quando l'ispettore
Amanzi entrò nell'appartamento la scena che si trovò davanti
era veramente agghiacciante anche per uno come lui.
La donna era distesa sul letto con il cranio fracassato in maniera così
brutale che schizzi di sangue erano arrivati fino al soffitto. La parte
sinistra era tutta schiacciata e per la violenza dei colpi inferti l'occhio
sinistro era uscito dall'orbita e penzolava sul volto tumefatto. Il cuscino
era completamente imbevuto di sangue, e pezzetti di cranio e di materia
grigia erano sparsi un po' ovunque sul letto.
Il comandante della squadra mobile si avvicinò all'ispettore. Erano
stati chiamati da una vicina che aveva sentito delle urla provenire dall'appartamento;
quando avevano fatto irruzione avevano trovato la donna in quello stato
e accanto un uomo che dormiva. Nonostante avesse il pigiama e le mani
sporche di sangue, l'uomo, una volta svegliato, non aveva saputo fornire
alcuna spiegazione sull'accaduto, né tanto meno spiegare chi fosse
la donna nel suo letto con il cranio fracassato.
L'ispettore si accese una sigaretta, diede disposizioni per i rilevamenti
e si avviò al commissariato dove avevano portato l'uomo.
Prima di imbarcarsi
sul volo AF534 dell'Air France per Milano, Anna tirò fuori il
cellulare dalla borsetta, fece scattare lo sportellino e premette il
tasto verde di richiamata. Il telefonino di Luca però era ancora
spento.
Alle undici l'aereo atterrò puntuale a Milano. Anna sbarcò
insieme agli altri passeggeri che correvano con le ventiquattro ore
strette nei pugni, recuperò il suo bagaglio e si avviò
all'uscita per prendere un taxi; in macchina tirò fuori il cellulare
dalla borsetta e provò a richiamare. Niente, il telefono era
ancora spento. Forse Luca era in riunione e non poteva rispondere. Digitò
velocemente un messaggio con la tastiera per avvisarlo che il volo era
andato bene, che passava da casa prima di andare in ufficio e che per
la cena aveva prenotato un tavolo al solito ristorante.
Il taxi si era fermato in viale Coni Zugna, davanti al civico 14. Anna
pagò il tassista, recuperò la valigia dalle sue mani tozze
e ruvide e salì in casa. Appena aprì la porta dell'appartamento
il suo sguardo attento notò subito qualcosa di strano. Non c'era
alcun segno dell'immancabile disordine che Luca lasciava dietro di sé
ogni mattina prima di correre al lavoro. Posò la valigia e le
chiavi, richiuse la porta e andò in cucina: era tutto pulito
e ordine. Passò di nuovo in corridoio e aprì piano la
porta del bagno. Anche qui nessuna traccia del passaggio di Luca: per
terra nessuno slip sporco abbandonato, gli asciugamani ben piegati sui
loro supporti, il dentifricio chiuso nel bicchiere di plastica vicino
agli spazzolini.
Eppure - pensò Anna - era sicura di aver detto a Karen, la ragazza
polacca che si occupava della casa quando lei era in viaggio per lavoro,
di non venire quel giorno: sarebbe tornata in mattinata e avrebbe pensato
lei a sistemare casa. Tornò in corridoio, prese la rubrica dal
cassetto del telefono e chiamo Karen. No, quella mattina non era venuta
così come lei le aveva detto. Anna la ringraziò e abbassò
la cornetta. Prese la valigia e la portò in camera. Il letto
era in ordine, la pesante trapunta damascata perfettamente distesa senza
una piega, il bordo ben rincalzato sopra i cuscini e i due pigiami piegati
uno di fianco all'altro.
La valigia scivolò dalla mano di Anna e cadde con un tonfo sulla
moquette nera: tutto questo stava quantomeno a significare che Luca
non aveva dormito in casa quella notte. In preda all'agitazione e con
terribili scenari nella mente, Anna rovistò nella borsetta, tirò
fuori il telefonino e digitò il numero di Luca. Niente, era ancora
staccato. Provò allora a chiamare in ufficio ma la segretaria
le rispose scocciata che Luca non si era presentato al lavoro e il capo
era furioso perché
Anna non le diede il tempo di finire,
chiuse il telefonino e lo scagliò sul letto. In preda al panico
tornò in corridoio, tirò fuori di nuovo l'agenda dal cassetto
del telefono e cercò il numero di Mario, un collega di Luca.
Mentre stava per alzare la cornetta notò con la coda dell'occhio
la spia rossa della segreteria che lampeggiava; spinse il tasto di ascolto
messaggi e attese con ansia. Fu così che venne a sapere, tramite
formale messaggio di un certo dott. Muraccini, che Luca era stato ricoverato
in mattinata all'ospedale Niguarda.
All'ospedale Anna
venne gentilmente fatta accomodare dal dott. Muraccini nel suo studio;
con calma fin troppo affettata il dottore le spiegò in breve
cos'era accaduto. Poco prima delle sette di quella mattina il centralino
della pubblica assistenza di viale Padova aveva ricevuto la chiamata
di un tal signor De Carli che, recandosi come ogni mattina a lavoro,
aveva notato un uomo sdraiato a terra vicino ad una panchina. All'arrivo
dell'ambulanza i sanitari avevano trovato l'uomo in evidente stato confusionale;
non essendo in grado di fornire le proprie generalità né
dati certi circa la sua persona e le sue condizioni era stato ricoverato
per accertamenti. Successivamente dai documenti dell'uomo si era risaliti
alla sua identità e al numero di casa.
Anna fu condotta nella stanza dove si trovava Luca; lo trovò
seduto davanti ad una finestra su una grossa sedia di pelle marrone,
lo sguardo fisso davanti a sé. Si avvicinò piano, si chinò
leggermente su di lui e con una mano gli accarezzò i folti capelli
neri baciandolo dolcemente su una guancia: il corpo di Luca non sembrava
percepire alcuno stimolo. Anna, con le lacrime agli occhi, guardò
con il dottore disperata in cerca di una spiegazione; fermo in piedi
sulla porta, il dottore allargò le braccia in un gesto impotente.
La sera prima Luca
era uscito come sempre dal suo ufficio alle sei in punto e come sempre
si era avviato al parcheggio riservato ai dipendenti della ditta per
recuperare la sua auto e andare in palestra.
Due ore dopo era uscito dalla palestra e si era diretto verso casa.
Aveva preso qualcosa da mangiare ad una rosticceria lungo la strada,
aveva parcheggiato l'auto in garage ed era salito in appartamento.
Finita la cena si era sdraiato sul divano a guardare la partita in televisione.
Nonostante fosse molto appassionato di calcio non riusciva a seguire
la partita, totalmente immerso in un pensiero che da qualche giorno
lo tormentava, e di cui non riusciva a venire a capo. Non sapeva bene
di cosa si trattasse, ma qualcosa lo tormentava e non riusciva a inquadrare
il problema.
Così assorto, quasi cadde dal divano quando suonò il telefono.
Era Anna che chiamava da Parigi e che diceva che andava tutto bene e
che chiedeva qualche notizia e che ricordava il suo arrivo per domani
all'ora di pranzo. La solita telefonata fatta innumerevoli volte in
quei cinque anni di convivenza e alla quale Luca rispose come sempre.
Quando riattaccò la cornetta fu però assalito da una strana
sensazione e un'immagine nitida si formò lentamente nella sua
testa, dando forma a quel tormento che aveva alimentato i sui pensieri:
un immagine che assumeva i contorni netti e definiti del volto di Anna.
Era forse - pensò Luca - un latente stato di gelosia? Certo Anna
era una bellissima ragazza, affascinante ed intelligente, e spesso viaggiava
sola per lavoro, ma mai nella sua vita lui si era fidato così
di una persona e quella fiducia non era mai stata tradita.
Cos'era dunque quella sensazione? Adesso era chiaro che aveva a che
fare con Anna, ma ancora non riusciva a capire come. Vivevano insieme
da cinque anni e prima erano stati fidanzati per otto. La loro conoscenza
risaliva addirittura agli anni del liceo, così che, pur non avendo
entrambi ancora raggiunto i trenta, stavano insieme già da tredici
anni. Il loro era sicuramente quello che si poteva definire un amore
perfetto.
Si era forse stancato di lei? Luca rabbrividì al solo pensiero.
Cercò di riflettere con calma e onestà, ma alla fine non
poté fare a meno di constatare con gioia che la sua vita non
avrebbe avuto alcun senso senza di lei, e nonostante tutti gli anni
passati insieme la desiderava ancora come la prima volta, quando a quindici
anni si erano baciati davanti al cancello della scuola prima del compito
di Latino.
Quel ricordo lo commosse a tal punto che decise di smetterla di tormentarsi
inutilmente. Probabilmente era solo un po' stanco per il troppo lavoro
che il capo gli aveva smollato quella settimana. Pensò bene di
uscire a fare due passi; spense la tv, si alzò dal divano e si
infilò le scarpe e il cappotto.
Fuori si stava bene. Era una bella serata di fine marzo, l'aria fresca
e frizzante, e in giro non c'era quasi nessuno. Cominciò a camminare
con in mente ancora quel primo bacio, mescolando al passato i progetti
per il futuro, il matrimonio, i figli, la casa in campagna: era felice,
euforico e sorrise di quello stupido pensiero.
Preso nei suoi pensieri non si accorse di aver camminato a lungo, e
di trovarsi ormai alle porte della città. Svoltò allora
sul viale di circonvallazione per abbreviare il ritorno. Passando accanto
ad una pensilina del tram si sentì come chiamare, e voltandosi
vide una giovane ragazza, alta, bionda, vestita in modo provocante,
che lentamente gli si avvicinava. Senza troppo indulgere nello sguardo,
si voltò e riprese a camminare.
Fece qualche passo ma la vista gli si annebbiò e una forte sensazione
di vertigine lo fece vacillare. Barcollò un po' poi si appoggiò
ad una panchina lì vicino e crollò seduto; si slacciò
il cappotto sul collo e tirò fuori un fazzoletto per asciugarsi
la fronte sudata. Doveva essere veramente stressato dal lavoro - pensò
allungando le braccia sullo schienale della panchina e reclinando la
testa all'indietro. Con gli occhi chiusi prese a inspirare grosse boccate
d'aria: avrebbe fatto meglio a chiedere qualche giorno di vacanza per
riposarsi.
All'improvviso sentì una mano accarezzargli i capelli. Aprì
subito gli occhi e vide la giovane ragazza della fermata in piedi davanti
a lui, forse convinta che la stesse aspettando. Cercò di chiarire
l'equivoco ma, sebbene le parole che doveva pronunciare gli fossero
ben chiare in testa, aveva come l'impressione che queste non uscissero
affatto dalla sua bocca asciutta e impastata. Provò allora ad
alzarsi ma le gambe molli e pesanti non reagivano, e le mani sudate
e tremanti non si staccavano dalla panchina. Era come paralizzato: voleva
scappar via ma il suo corpo non rispondeva più alla sua volontà.
Non trovando alcuna opposizione la ragazza pensò di dover iniziare
il suo lavoro e scese svelta sui pantaloni di Luca, slacciando il bottone
e facendo scorrere la zip; col dorso della mano accarezzò dolcemente
il membro ancora protetto dagli slip bianchi e con abilità lo
fece saltar fuori turgido e duro per infilare il preservativo. Luca
sentiva le parole che avrebbe dovuto dire rimbombargli nella testa,
confuse col suono delle labbra che strofinavano il lattice del preservativo
e i rumori in lontananza delle auto che passavano. Il cuore gli batteva
impazzito nel petto, nelle vene, nelle tempie. Fu un attimo, e tutto
scivolò fuori dal suo corpo e andò a riempire il serbatoio
del preservativo. La ragazza allora si blocco all'istante, sputò
per terra e chiese quanto le spettava.
Solo in quel momento Luca sentì di essere tornato in possesso
del suo corpo. Per non creare problemi tirò subito fuori il portafogli
e allungò due banconote alla ragazza che volò via; poi
ricadde sulla panchina e rimase immobile a guardare le macchine che
passavano.
L'ispettore Amanzi entrò nella stanza, si tolse il cappotto e
si sedette alla scrivania. Accese una sigaretta e cominciò ad
osservare l'uomo che gli stava seduto di fronte smarrito e in evidente
stato confusionale. Iniziò ad interrogarlo chiedendogli le sue
generalità. Quello, curvo sulla scrivania, senza alzare gli occhi
disse di chiamarsi Luca Riboni, di avere 27 anni e di essere domiciliato
in viale Coni Zugna 14 dove viveva con la ragazza, Anna Trevi, anche
lei di 27 anni e attualmente a Parigi per un viaggio di lavoro.
Quando l'ispettore gli disse di spiegargli cosa era successo quella
notte, l'uomo tremando rispose che era uscito verso le dieci per fare
due passi e che era rientrato dopo un'oretta per andare a dormire perché
molto stanco. Poi la mattina era stato svegliato dalla polizia e non
aveva assolutamente idea di cosa fosse successo né tanto meno
chi fosse la donna che giaceva morta nel suo letto.
L'ispettore ascoltava con calma. Spense la sigaretta nel posacenere
e prese in mano i verbali. Se non fosse per l'evidenza dei fatti - pensò
- quell'uomo non sembrava mentire; ma del resto ne aveva viste talmente
tante, e niente più ormai lo stupiva.
Sconsolato l'ispettore Amanzi si accese un'altra sigaretta e cominciò
a leggere i verbali. In uno dei fogli redatti dagli agenti di pattuglia
si leggeva che alle 4 e 28 di quella mattina gli agenti Capozzo e Cileno
della squadra mobile aveva fatto irruzione in viale Coni Zugna 14 all'interno
7. Qui avevano trovato sdraiati sul letto un uomo e una donna non identificati;
l'uomo dormiva mentre la donna era riversa ormai cadavere in una pozza
di sangue. Da ulteriori accertamenti l'uomo risultava essere Riboni
Luca di anni 57 domiciliato nello stesso, e la donna Trevi Anna, anche
lei di anni 57. I due risultavano inoltre essere regolarmente sposati
da 37 anni.
Un altro foglio riportava alcuni dati sulla persona del Riboni Luca
che risultava essere infermo di mente dall'età di 27 anni in
seguito ad un non precisato trauma che lo aveva reso disabile e bisognoso
di continua assistenza alla quale provvedeva da anni la moglie stessa.
L'ispettore alzò lo sguardo e fissò l'uomo che si dondolava
sulla sedia; la cosa più triste - pensò - era che quel
corpo rattrappito non gli faceva nessuna pena. Con calma firmò
i documenti per il fermo, si alzò, prese la giacca e uscì
dalla stanza.