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Carlo Miccio Cardiopatie Senili |
Piero
e Giulia si erano sposati in una domenica di giugno, ed erano rimasti
sposati per quarantasei lunghissimi anni. Quarantasei anni d'amore vero,
non come nelle favole dove va sempre tutto bene, ma quarantasei anni di
vita insieme condivisa fino in fondo, compresi gli scazzi e i momenti
duri, quarantasei anni immersi in un sentimento reciproco e simmetrico
che aveva riempito la vita di entrambi di affetto, calore e sicurezza.
Quarantasei anni interrottisi nel corso di una singola notte, quando un'improvvisa
emorragia cerebrale si era silenziosamente portata via Giulia.
Piero era un medico, per la precisione uno stimato e riverito cardiologo, e con la morte aveva dimestichezza e familiarità. Sapeva cos'era: qualcosa da cui non si ritorna più indietro: Nascondersi questa evidenza non è scientifico, e non ha alcun senso. Eppure questa consapevolezza non sembrò attenuargli affatto il dolore, quando fu il suo turno, e Piero si rinchiuse a vivere senza allegria la sua vita nella semioscurità del suo grande appartamento romano, quel bellissimo appartamento che adesso, senza le cure e le attenzioni della sua Giulia, sembrava invecchiare un giorno dopo l'altro, crepe sui muri e mattonelle che perdevano equilibrio, neanche l'antenna della televisione era stata più la stessa da quando era morta Giulia, solo la rai e qualche emittente locale che parlava sempre della Roma e della Lazio. Ma a Piero non gliene fregava niente della Roma e della Lazio, Piero aveva sempre odiato il calcio, così come aveva sempre amato Giulia, e senza di lei sentiva sfiorare anche la sua di vita, improvvisamente invecchiata come quel gigantesco appartamento. Prima della scomparsa di Giulia, Piero non si era mai sentito un anziano: qualcuno però adesso iniziava ad adoperare quel termine nei suoi confronti, e lui si meravigliava sempre meno di sentirsi quell'aggettivo appiccicato addosso. Anche quando i suoi figli cercarono di convincerlo a lasciare quell'appartamento, adducendo a motivo il fatto che era estremamente vasto per uno come lui, Piero aveva capito che era quello il termine che stavano cercando di evitare, anziano: i suoi figli, che non volevano vivere con lui, avevano però paura a chiamarlo anziano. Cercarono di convincerlo a prendersi in casa una badante, ma Piero reagì con molta stizza: gli bastava Enza, la vecchia cameriera che da anni serviva e cucinava a casa, e non voleva nessuna badante, un termine che a sua volta gli riportava alla mente la parola "pannolini". E che la facessero finita di provare a convincerlo, perché in fin dei conti era sempre lui il padre, e loro i figli. Se ne tornassero dalle loro famigliole disfunzionali, dalle loro mogli insoddisfatte, dalle loro amanti nascoste, dai loro viziatissimi figli, e lo lasciassero in pace a casa sua, una volta per tutte. E così fu. Piero cercò di riadattarsi alla sua nuova vita, ma dopo qualche settimana si arrese all'evidenza che essa stava diventando assolutamente vuota. Ogni mattina usciva a comprare il giornale, se c'era il sole si concedeva una passeggiata fino a piazza Fiume, dove avevano appena inaugurato una nuova facoltà universitaria e le strade brulicavano di un traffico di gioventù studentesca che finiva sempre per ammaliarlo. A mezzogiorno tornava a casa e si sedeva a mangiare il pasto preparato da Enza, la vecchia cameriera che ne conosceva a memoria gusti e favori. Mangiava davanti alla televisione, guardandosi i telegiornali ed intercalando i bocconi a furiose esplosioni di commenti sdegnati alle scandalose notizie che venivano trasmesse: il paese stava affondando con alla guida tutto il suo governo di incompetenti patentati, e nessuno sembrava accorgersene o sdegnarsene più di tanto. Dopo pranzo Piero andava a riposarsi, e poi il pomeriggio lo dedicava alla minuziosa e completa lettura del quotidiano acquistato al mattino, dove le notizie del giorno prima lo confermavano nei suoi tristi presagi rispetto alle condizioni del paese e dei suoi abitanti: sembrano tutti cerebrolesi- si ripeteva di continuo- ma non lo vedono che al governo sono tutti furfanti??? Poi la cena, preparata da Enza e riscaldata in un fornetto elettrico che gli aveva regalato la nuora, cena consumata insieme al solito diluvio di ingiurie sputate a voce alta, tanto qual'era il problema? Solo, era solo, e poteva fare quello che voleva. Solo. Tutti i giorni così. Uno dopo l'altro. Piero era un medico, e si rendeva conto che la cosa non poteva andare. Non è igienica, se per igiene si intende la cura di se. Aveva bisogno di qualcuno, non una cuoca, non una fottuta badante, non un'infermiera: qualcun altro, qualsiasi altra persona che diffondesse vitalità in quell'appartamento e nella sua vita, e magari trovasse qualche minuto per scambiare due chiacchiere con lui, bere un bicchiere di vino e raccontarsi qualche storia. Si, avrebbe fatto così, decise: avrebbe affittato una delle stanze dell'appartamento. Magari ad un giovane, magari proprio ad uno studente, visto che adesso c'era l'università dietro un angolo. Uno studente fuorisede. Anzi, magari una studentessa fuorisede. In un attimo decise, sicuramente una studentessa, le ragazze sono più tranquille e la loro compagnia è sicuramente più piacevole di quella dei maschi. Piero sorrise alla sua grande idea, solo al pensiero di avere un'altra presenza per la casa, per di più una presenza femminile, gli capovolse la prospettiva della vita come l'aveva vissuta dalla morte di Giulia. Contro il parere del medico, quella sera si concesse un altro bicchiere di chianti: brindò a se stesso e alla sua sagacia, alle prospettive invisibili che governano le nostre vite, e si mise a scrivere il testo del suo annuncio, che trasmise immediatamente attraverso il numero verde provvisto dal giornale. "Lo pubblichiamo giovedì" rispose al telefono l'operatore incaricato della trascrizione, e Piero riattaccò ringraziandolo. Era martedì: bene, pensò Piero. L'annuncio venne pubblicato effettivamente il giovedì: Piero quel giorno si era alzato presto ed era uscito a comprare il giornale per controllarne la pubblicazione, e se ne tornò soddisfatto a casa ad aspettare che il telefono squillasse. Cosa che non accadde per l'intera mattinata, poi improvvisamente verso l'ora di pranzo 4 chiamate, quasi una dietro l'altra. Quattro ragazze, tutte e quattro ugualmente disperate perché avevano un urgente bisogno di casa. Sapete come sono le donne quando vogliono trasmettere disperazione, no? Quando ti parlano come se tu fossi l'ultima spiaggia della loro vita intera, fosse anche solo per avvitargli una lampadina in bagno? Beh, Piero non se lo ricordava più, e prese quella disperazione per autentica, con il risultato di creare un bel po' d'angoscia a se stesso (un altro effetto collaterale che le donne avevano spesso esercitato su di lui, in passato: Giulia, ma anche altre venute prima di Giulia). Fissò gli appuntamenti per il tardo pomeriggio, cadenzati di mezz'ora in mezz'ora, ma dentro di se si sentiva già quasi male al pensiero di dover deluderne tre di quelle studentesse: odiava deludere gli altri, Piero, era sempre stato così, fin da ragazzo, figuriamoci deludere le donne! Ancora una volta, le sue ansie si rivelarono esagerate: la prima ragazza aveva il cane, si presentò addirittura all'appuntamento con il cane, eppoi aveva orecchini e spille dappertutto: naso, labbra, gengive. Piero non la fece neanche entrare: niente cani a casa sua. La seconda era una ragazza siciliana piena d'oro, e con una scia di profumo che ammorbava l'aria: Piero arrivò a dubitare che fosse una vera studentessa, magari era una spogliarellista che lavorava a Via Veneto, ma comunque si prese il numero di telefono della ragazza e le disse che le avrebbe fatto sapere. La terza era così disperata che non si presentò proprio, e neanche mai telefonò per disdire: maleducata- pensò Piero - se mi richiama domani le dico che la stanza è presa. E la quarta, che aveva giurato che sarebbe stata li alle 7 in punto, alle 7 e un quarto ancora non si vedeva, e Piero era li che non sapeva se continuare ad aspettarla o mettere in forno la cena da riscaldare preparata da Enza. Poi sentì il campanello squillare, e con rassegnata grazia si diresse ad aprire la porta: dall'altra parte c'era una ragazza con le braccia stracolme di libri ed appunti, che ansimava per lo sforzo delle scale. Aveva il volto paonazzo e i lunghi capelli arruffati, e quando vide Piero riuscì solo a sussurrare un flebile "Mi scusi per il ritardo". "Ma di ché, si accomodi" rispose Piero, con il volto illuminato da un sorriso abbagliato. L'appuntamento delle sette si chiamava Lina, cioè no, veramente aveva un nome impronunciabile che però poteva essere abbreviato facilmente in Lina, e così facevano tutti: era una studentessa bosniaca al terzo anno di medicina, che parlava un italiano perfetto condito da un accento esotico e da un tono di voce spigliato e sicuro. Piero notò che mentre le altre di prima sembravano rispondere alle sue domande come se fossero ad un colloquio di lavoro, rigide e piacione come avevano imparato dall'esperienze passate, la ragazza bosniaca invece gli stava parlando con estrema naturalezza di se e della sua vita, e sembrava non aver davvero nulla da voler nascondere. A Piero piacque a pelle il suo tono: in più pensava che Lina fosse di una bellezza straordinaria, ma non di quelle bellezze stereotipate da fotomodella televisiva, quanto piuttosto la bellezza tipica della gioventù che arde inconsapevole del suo fascino abbagliante. Lina era semplice e diretta come una persona vera e genuina, aveva la pelle liscia e profumata, uno sguardo profondo ed un sorriso solare: quella sera stessa rimasero a parlare di aneurismi e cardiopatie vascolari, perché lei aveva un esame il giorno dopo e sembrava davvero affascinata dalle profonde cognizioni di Piero e all'estrema chiarezza che lui aveva nell'esporle. Si salutarono stringendosi la mano dopo un paio d'ore: Lina si sarebbe trasferita nella stanza il giorno dopo, subito dopo l'esame, e per l'anticipo non ci fu neanche bisogno, perché Piero pensò che non c'era problema con una persona così perbene. Quella sera Piero mangiò più tardi, e il telegiornale annunciò l'ennesima legge truffa varata dall'attuale governo, ma lui si limitò a sorseggiare un goccio di vino con gusto, e poi disse solamente: "la solita manica di stronzi", senza arrabbiarsi però, quasi sorridendo. Lina arrivò verso le sei del pomeriggio: "Ho preso trenta" disse sorridendo quando Piero le aprì la porta, "E allora bisogna brindare" rispose allegro lui aiutandola a trascinare due pesanti valigie dentro casa, eppoi nella sua stanza. Delle due valigie, una era piena di libri e appunti, fogli di carta seminati da una grafia minuta che sembrava invadere ogni angolo del foglio, e nell'altra vestiti, scarpe e tutto il resto. Un po' pochino per due anni in Italia, commentò a voce alta Piero, e lei rispose sorridendo che finora aveva vissuto in una ministanza alla casa dello studente dove non ci sarebbe stato posto per nient'altro. Piero la osservava incuriosito. "Sei venuta via dal tuo paese per via della guerra?" "No- rispondeva lei stupita- sono andata via perché volevo venire a studiare medicina in Italia." "La tua famiglia è in Bosnia?" "Si, a Banja Luka" "E non ti mancano?" "Si ma è normale, no? " rispondeva lei "Hai amici, un fidanzato?" "Nooooo, e chi ha tempo per un fidanzato, io devo studiare e laurearmi" A Piero veniva da sorridere, come se non fosse possibile studiare e avere un fidanzato contemporaneamente, ma la ragazza sembrava seria e determinata, e per niente ironica sulla questione e su tutte le questioni che affrontavano man mano che il loro dialogo progrediva. Quella sera cenarono insieme, una selezione di formaggi e salumi toscani innaffiati dal chianti coltivato sulle colline d'Arezzo, dove Piero era nato e cresciuto. Da non credere, Lina non era mai stata in Toscana, e per di più non aveva mai bevuto vino in vita sua. Neanche un goccio. "Mi mancano gli enzimi" disse seria mentre Piero cercava di riempirle il bicchiere, e a lui quell'affermazione suonò come una bestemmia. Posò la bottiglia e si addentrò in una spiegazione tra il gastronomico e lo scientifico che lasciò Lina a bocca spalancata: prima lui le spiegò le diverse tecniche casearie in funzione della degustazione con diversi vini, rendendola consapevole con amorevole tono di tutta la cura e l'attenzione con cui per secoli quel vino era stato prodotto nella sua terra, poi si dilungò sulla funzione della milza nel battuto dei veri crostini toscani ("Un crostino senza la milza non è un crostino toscano!" asseriva severo) ed infine liquidò la storia degli enzimi come una puttanata antiscientifica diffusa dagli americani per vendere più coca-cola. "Bevi e ti si fanno da soli, gli enzimi - incoraggiava Piero - solo gli americani non c'hanno gli enzimi per il chianti, tu bevi e gustati questo salamino di cinghiale". Finirono la serata un po' brilli a commentare le castronerie, come le chiamava Piero, dette nel corso di un popolare programma televisivo d'informazione medico-scientifica, e Lina chiese tre volte in che cosa esattamente consistesse la differenza tra il pecorino di Pienza e quello di Cortona e per tre volte Piero le spiegò la differenza usando sempre parole nuove, ma senza mai riuscire a farsi capire. "Te li farò assaggiare insieme, e vedrai" concluse Piero, accorgendosi che si erano fatte le undici ed era ora di andare a letto. "Rimango un po' a studiare" rispose lei accendendosi un'altra sigaretta mentre apriva il volume di anatomia patologica, e a lui non rimase che augurargli la buonanotte. Da quel giorno la vita di Piero cambiò radicalmente: non tanto nelle rigorose abitudini quotidiane, rispettate con la regolarità di un metronomo svizzero, ma piuttosto nel fatto che la presenza di Lina nell'appartamento sembrò restituirlo ad una dimensione di vitalità che non era fatta solo di ricordi, ma anche di progetti. Il futuro, inteso come la curiosità verso il nuovo, d'incantesimo ricomparve nella vita di Piero. Ma obbiettivamente, anche la vita di Lina sembrò guadagnare molto dalla fortunata convivenza: prima di tutto mangiava regolarmente, fatto nuovo questo per lei innescato dall'ostinata decisione con cui Piero l'attendeva ogni sera per mangiare, a cui lei, inizialmente con riluttanza, aveva finito per piegarsi. Ma soprattutto a beneficiarne fu la carriera universitaria, già di per se onorata, della giovane studentessa bosniaca: Piero infatti si attardava spesso a discutere di medicina con lei, spiegandole meccanismi scientifici con una narrazione ricca di aneddoti e di curiosità che oltre ad istruirla la divertiva enormemente. Piero adorava la maniera in cui le scintillava lo sguardo mentre lei afferrava nozioni sconosciute, ed indubbiamente la conoscenza accumulata contribuiva a renderla ogni giorno più bella e solare. Anche Lina, d'altro canto, si stava affezionando non poco a quel simpatico vecchietto, che la istruiva minuziosamente su particolari scientifici innominabili nelle aule accademiche, e che gradualmente l'aveva avviata alla degustazione di grandi vini, tanto che adesso anche lei, con gli enzimi belli fortificati, si domandava come avesse fatto a trascorrere tutto questo tempo senza mai assaggiare quel nettare delizioso chiamato vino. Anzi, chianti, perché a casa di Piero si beveva quasi solo esclusivamente chianti, la versione con il putto, tipica dei colli aretini. "E a proposito - non smetteva mai di ricordarle lui - dovresti vederla la Toscana prima o poi, se non altro perché è la più bella regione del mondo." "Ci andremo - rispondeva lei - è inevitabile a questo punto" continuava con gli occhi sognanti e talvolta annebbiati dal vino, ma sempre con quell'aurea di solarità che l'avvolgeva da capo a piedi. In realtà, quello che era inevitabile, era che Piero, prima o poi, si innamorasse della ragazza. Il primo a stupirsene fu proprio lui: lentamente, ma inesorabilmente, realizzò che si stava innamorando di Lina, e capì di non essersene accorto prima semplicemente perché era moltissimo tempo che non si innamorava. Aveva amato Giulia per 46 anni, ma quello è amore, diverso dall'innamoramento, mentre il primo è il regno del calore e della sicurezza il secondo è la sede di irrequietezze ed eccitamento che lui davvero non provava da tempo. Si stupì di accorgersi di desiderare quella ragazza, di desiderarne la carne, i seni, le braccia morbide e le guance lisce, si scoprì a fantasticare erotismi languidi con Lina che da tempo aveva smesso anche solo di teorizzare astrattamente. Un desiderio così grande da spingerlo, dopo tanti anni, a masturbarsi di nascosto nel buio della sua stanza, come non faceva da quando era ragazzo. I vecchi si sa, tornano bambini, ma adesso Pietro non riusciva davvero più a sentirsi anziano: un vigore primaverile animava ogni suo gesto e pensiero, adesso, e neanche l'appartamento sembrava più così grigio. Lui aveva 78 anni, lei cinquanta di meno, ma tutto sembrava meravigliosamente possibile, e Piero viveva una nuova primavera nel corpo e nello spirito. Iniziò ad entrare nella sua stanza, quando lei era a lezione, ad osservare le sue cose, a toccare i suoi oggetti, a cercare di capire quali erano gli abiti con cui si era vestita quella mattina prima di uscire. Osservava tutto, odorava tutto, foto appese al muro, giocattolini da ovetti kinder, le penne colorate, i libri. Galeno diceva che le cause che provocano cessazione del desiderio sono sei: la prima è l'eccesso di preoccupazioni e di ansie continue, la seconda è la debolezza delle articolazioni;la terza è la spossatezza, la quarta è l'eccessiva dimestichezza; la quinta è la consunzione dei vasi sanguigni; la sesta è la tumefazione e la suppurazione del condotto urinario. Piero si rallegrava di non essere afflitto da nessuna di queste condizioni, e quanto alla quarta non lo preoccupava proprio. Fu così che un giorno, mentre ridevano delle cazzate di un finto dottorino che cercava di spiegare l'inesistente logica scientifica che animava la recente legge sulla fecondazione assistita, e lui stava godendosi il sorriso di lei che scintillava a causa dei suoi salaci commenti ("Questo ha studiato all'Università di Mogadiscio" diceva dei medici che giudicava ignoranti), in un attimo solo una vibrante richiesta si formulò automatica e repressa sulle sue labbra: "Lina, dammi un bacio." Lina lo guardava improvvisamente stupita, colpita da sensazioni che non aveva mai studiato nei suoi manuali di patologia, senza riuscire a dire niente. "Voglio un bacio - ripetè Piero con tono fermo e deciso - solo un bacio" Lina sorrise stupita, e si chinò a baciargli la guancia. Lui la fermò. "No, voglio un bacio vero". Fu allora che Piero si rese conto che Lina non sorrideva più, anzi quasi tremava la creatura, come atterrita da quella richiesta, e d'istinto fece per toccarla: vide il lei sottrarsi alla presa e arretrare spaventata, e contemporaneamente colse con lo sguardo la propria mano protesa nell'aria: era pallida e grinzosa. Ritirò la mano veloce, come vergognandosi della propria vecchiaia, e rimase li in silenzio senza sapere cosa dire, anche se sapeva che l'unica cosa che voleva dirle era Ti amo. Il silenzio durò un paio di minuti, mentre di sottofondo scorreva la voce di quel deficiente di dottorino e di un prete amico suo, e nessuno dei due sapeva cosa dire o cosa fare. Entrambi avevano paura che improvvisamente la loro bella amicizia fosse giunta al capolinea. Poi Linda si alzò e si rivolse a lui in tono asciutto: "Dottore - lo chiamava sempre dottore - io sto molto bene qui da lei, ma questo non lo doveva fare. Mi mette in seria difficoltà. Adesso me ne vado a studiare in camera mia, stanotte ci penso, ma davvero rimanere qui non se ne parla se lei non mi garantisce che certe idee se le toglie dal cervello" Piero pensava che per essere una straniera quella ragazza padroneggiava alla perfezione l'italiano, perché era capace a descrivere e raccontare i sentimenti in maniera molto diretta, e per fare questo per forza doveva essere una ragazza speciale, bella ma anche intelligentissima. "No, ti prego Lina- disse lui - non succederà più, credimi, è stato il vino" Lei lo guardo in silenzio, e poi lo salutò augurandogli una gelida buona notte. Quella notte Piero non riuscì a chiudere occhio, maledì Galeno e la sua irresponsabilità, maledì le sue rughe e la sua stupidità, maledì il mondo e la propria stessa progenie, e addirittura pianse ricordandosi tutte le volte che aveva rinunciato ai baci di una donna. Passò la notte domandandosi quale sarebbe stata la decisione di Lina, se se ne fosse andata oppure no, e se la loro relazione amichevole potesse essere rimediata e mantenuta in qualche modo, e tanti altri se e tanti altri ma, quando alla fine, verso le prime luci dell'alba un'amara riflessione lo colpì come una frustata: a tutti quei dubbi c'era solo una risposta: era diventato vecchio. Alla vecchiaia non c'è soluzione, e senza veri baci non può esserci vita vera: un medico, un vero scienziato, semplicemente non può negarsi questa triste evidenza. Fu questa consapevolezza ad ucciderlo, non tutto quello che venne in seguito. Lina decise di rimanere, ed insieme a lui continuò a vivere per altri due anni ancora in quell'appartamento, ovviamente senza baci veri ma con la stessa complice simpatia di prima. Ma senza baci veri, come può esserci vera vita? |