Alba
Francesca Campanozzi
2491 battute

 
Fermo la mano a mezz'aria e vorrei lanciare la spazzola di alluminio contro qualcosa, qualunque cosa, il vaso sul caminetto o la bambola di porcellana, vorrei spaccare tutto ma mi limito a scostare malamente una ciocca di capelli che mi dà fastidio e mi si appiccica alla pelle sudata della fronte, perché anche se fuori si gela qui dentro io soffoco, soffoco per la rabbia e il nervoso che mi impediscono di dormire e mi impongono di impiegare energia lucidando, pulendo e lustrando dove già tutto è lucido, pulito e lustro.
Soffro di insonnia.
Odio questa mia radicata inclinazione all'ordine perché mi rammenta quanto io sia femminile nel lato peggiore del termine.
Nevrotica.
Ossessiva.
Maniacale.
Autopunitiva quanto basta da continuare a pulire a oltranza quando tutto intorno a me già risplende da ore.
Non posso fermarmi neppure adesso che è notte fonda e debbo tenere accese tutte le luci di casa per verificare di aver debellato ogni macchia, spreco energia ma che importa, ormai non c'è più nessuno qui cui insegnare il valore del risparmio, Anna e Alice se ne sono andate e io affronto la sindrome del nido vuoto come posso, non so cosa darei per farle tornare e far tornare lui, e magari riuscire finalmente a chiudere gli occhi.
Certo, ma sì, perché non ti butti nel lavoro e fai carriera, ora che sei sola, così ti dicono le amiche, quelle sì che son brave, tutte sono brave a parole quando poi non si trovano a dover cedere il passo a un uomo perché comunque un uomo è più affidabile, ti dicono, anche se tu sei stata così affidabile da avere dato tutta te stessa ma come faresti in una situazione di stress prolungato, quale sarebbe la tua reazione -ti chiedono con aria arrogante e ti soppesano con lo sguardo feroce di chi è abituato a gestire una donna ma non è certo disposto a farsi gestire da lei, è chiaro.
Come potevo non mandarli affanculo... e così addio alla mia nuova brillante carriera.
Mi viene quasi da ridere al pensiero che siamo ancora allo stesso punto, al soffitto di vetro, ma non rido perché le prime luci dell'alba mi sorprendono e debbo affrettarmi se non voglio tardare al lavoro.
Getto tutto a terra, mi sciacquo il viso e indosso l'armatura che un tempo apparteneva ad Anna, noto una macchia sull'elmo che prima mi era sfuggita, spalanco la porta della cella che ormai solo io chiamo casa e mi getto di sotto, sulla superficie di Vega, mentre dietro di me l'alveare si svuota e gli altri soldati semplici si implotonano nella polvere, pronti alla battaglia.