Il circo
Antonio Pennacchi
2500 battute

Il circo si piazzava sempre dietro i portici dell'Intendenza di Finanza, a modificare ogni volta l'immagine dei mondi da noi conosciuti. Dietro quei portici - quel colonnato altissimo, imponente, con ancora impressi i simboli del passato regime e dietro i quali si sarebbe dovuta espandere la colonia - c'era per noi quotidianamente il nulla: solo lo spiazzo da cui spuntavano ogni tanto, frammisti a ciuffi d'erba, i ferri arrugginiti ed il cemento dell'erigendo, tanti anni fa, Mercato coperto. Poi pił niente, eccetto la piana interminata dei deserti e le nubi di polvere, quando s'alzava il vento, a scacciare da quello spiazzo anche le bande di ragazzi che ci si affrontavano dopo scuola con le mazzafionde. La notte solo - la notte, quando i soli calavano, ma prima che s'alzassero le lune, in quel breve ed unico intermezzo buio - tutta la colonia si ritrovava in piazza, padri e figli, come un non detto, con gli occhi fissi a rimirare, dietro i pilastri del colonnato, i mondi lontani e qualche passaggio di navicelle spaziali.
Erano anni che non atterrava pił un cargo. Neanche la posta, neanche le notizie. Caduto il regime, caduta la colonia. Niente pił arrivi, niente pił invii. Si apriva una volta l'anno - alla congiunzione di Mx123 con K24-27 - lo spazio di un'ora per le comunicazioni con la deputazione pił esterna della Federazione, ed in quell'ora facevamo incetta di soap, film e tg da rivederci tutto l'anno. Poi pił niente, neanche un mercante scalcagnato solo - ogni tanto - un circo: ci alzavamo la mattina e vedevamo all'improvviso, di lą dai portici dell'Intendenza di Finanza, il tendone gią montato che sbarrava il passo alle nubi di polvere e ai venti del deserto.
Mio padre mi ci portava la sera stessa, tenendomi sempre per mano, con la camicia pulita e i capelli lisci di brillantina. Giravamo prima attorno al tendone, a guardare le gabbie delle fiere e gli inservienti che risaldavano lastre, al limite delle sabbie e dello spiazzo, sullo scafo malandato. Poi entravamo tra i suoni dello spettacolo e restavo tutto il tempo lģ - con gli occhi sbarrati e con la mano sempre nella sua - a sognare il vero mondo, la vera vita: "Da grande vado via col circo". Neanche m'accorgevo che il lanciatore di coltelli era sdentato, i browpwsky spelacchiati e la Venere a tre seni, danzante sul trapezio, aveva le calze sfilacciate. Me lo faceva notare lui, mio padre, nel ritorno, ridendo. E io ritraevo la mano.
Oggi non porto mai mio figlio al circo, quando arriva in colonia.