I segni del tempo
Naiima
2439 battute

Le 3 di notte.
Qualcosa mi ha svegliato. Non il caldo o la sete. Non so.
Mi giro continuamente nel letto. Non riesco a riprender sonno. I pensieri danzano nella mia testa.
Avverto un lieve dolore al centro della schiena. Riconosco di averlo anche sognato: dev'essere stato questo a svegliarmi.
 
Sogno... immagini che non mi appartengono.
Ho sempre potuto dare un significato ai miei sogni, legati da una relazione univoca con le emozioni e la vita appena vissuta. Non così adesso.
Forse sto invecchiando. a quarant'anni anche i sogni cambiano.
 
Le 3 di un'altra notte, minuto più minuto meno.
Il dolore è lì, puntuale e lancinante, come sempre: un'accetta piantata dietro la schiena, tra le scapole. Questa tortura comincia ad occupare le mie giornate, oltre che le notti. Sovrasta ogni sensazione, ogni pensiero. Sembra farsi più forte.
 
Ho reso il dolore il mio segreto, non oso parlarne a nessuno, nemmeno a chi mi sta accanto: è difficile ammettere che il tempo comincia a lasciare segni indelebili su di me mentre, chi adesso dorme serenamente nel mio letto, sembra non sentire lo scorrere dei giorni.
Le medicine non attenuano il tormento.
Nonostante la cura che ne ho sempre avuto, il corpo mi sta abbandonando. La convinzione di poterne avere il controllo è un'illusione.
 
Quando finalmente riesco a ritrovare il sonno, incontro ancora visioni sconosciute.
Queste, insieme al dolore, si sostituiscono sempre più alla vita ed ai pensieri quotidiani.
 
Da qualche giorno, alla sofferenza si è accompagnata un'impercettibile, crescente, deformazione: un mutamento. Questa notte penso di non farcela. Vorrei gridare ma non posso. Non voglio. Non voglio far pesare, su un amore acerbo, l'angoscia che mi attanaglia in questo momento: passerà... insieme agli strani sogni...
 
Un'altra notte, più tormentata che mai.
Il dolore è diventato abitudine. Si è tramutato quasi in piacere. Ora si tendono i muscoli ed un calore si diffonde in ogni fibra del mio corpo. Le percezioni sono straordinariamente intense.
Scaccio il pensiero di aver ormai toccato la follia.
È una fitta dolorosa come uno squarcio lungo la spina dorsale a decidere per me che devo alzarmi. Cado davanti al grande specchio, sulla cui superficie liquida ed impietosa, distanti raggi lunari svelano la mia figura: più del male, a strapparmi un grido di disperato orrore, è la vista della mia schiena deforme, mutante, aprirsi in due inconcepibili, inumane, immense, biancopiumate ali d'angelo.