Ep.18 Izzo
Pier Angelo Consoli
1603 battute

Ora ridi.
Rideresti di un delirio di onnipotenza?
Rideresti di una zecca sul collo?
“Sai” mia madre dice, non smettendo nemmeno per un secondo di essere serena, “hanno comprato a Mariolino una di quelle macchine da corsa per andare sulla pista, tipo quelle di formula uno.”
“Spero solo che non si faccia male.”
Ora ridi.
Di nuovo.
Io mi chiamo in un modo che ha assunto sfumature diverse da quando qualcuno di molto famoso in Italia ha deciso di andare a cacare.
Quando ero piccolo, quando ero davvero piccolo, così piccolo che una macchina passandomi sopra non mi spaccò le gambe, avevo dei problemi di socializzazione.
Non ero triste, affatto.
Avevo dei giochi e l’amore dei miei genitori
avevo tutto quello che volevo
ero molto fantasioso
molto più di adesso.
Ora mi chiamo ancora come quel tale che un giorno ha portato i culi alla tv e so persino dire quanti anni ho.
So dirlo persino senza carinamente contare le punte delle dita, senza doverli cercare tra i pugni stretti che si schiudono. Ora ho meno fantasia e uso le parole.
Gli stessi problemi di un tempo mi schiacciano.
Non so più rifugiarmi.
Fingo persino di non chiamarmi più come quel tizio così simpatico che fa le corna mentre scattano le foto come non si fa più neanche alle elementari.
I miei si ostinano a vivere in un posto piccolo in cui torno malvolentieri, in cui tutti sono soli e nessuno è inosservato.
Ci torno malvolentieri, ma insomma non sempre ci si avvicina alla tenerezza unendosi all’altro. Spesso la tenerezza è lo spazio che ci divide.
“Mi passi la pistola?” Dice mamma
“passamela, devo fissare quel quadro”
“cade tutte le mattine.”