Tre più uno
Tommaso Chimenti
2476 battute

   Mi avevano comprato a basso costo. Avevano fatto un favore a mio fratello che giocava con la squadra Esordienti. Aveva quattro anni meno di me e segnava gol a raffica. Mi arrivava all’altezza della spalla. Le sue scarpe erano sempre pulite. Gli dava il grasso di balena. A me veniva in mente Greenpeace.
   Ero arrivato per fare panchina. E lì sarei dovuto stare a marcire come i vecchi all’ospizio con la copertina sulle ginocchia. Ero mingherlino e rachitico, le gambe da deportato.
   Giocavo ala destra. La fascia la facevo tutta, la solcavo come un aratro. Stavo proprio sulla linea. Il sette sulle spalle strette.
   Avevamo le maglie rosse e blu. Sul petto c’era cucito lo sponsor. Un lenzuolo duro di plastica. Gli avversari ci invidiavano quell’acrilico lucido. Le loro maglie gialle sbiadite morivano al confronto. Il nostro stadio era un quadrato polveroso con tre assi chiamate tribune. Per Sporting Sesto-Cerbaia c’era il tutto esaurito. Eravamo sotto 2 a 1.
   Entro nel secondo tempo. Sotto gli spalti. Mio fratello con i capelli bagnati e un pacchetto di patatine mi osservava con sufficienza da dietro la recinzione. I miei stavano in alto.
   Mia madre ogni volta che mi si avvicinavano urlava: “Attento”. Mio padre scuoteva il capo a braccia conserte: “Cambia gioco” che non ho mai capito se voleva dire di cambiare sport.
   Dieci minuti alla fine. Il tre giallo mi deride. Con la coda dell’occhio vedo mio fratello con la faccia di uno che si vergogna.
   Dalla difesa lo stopper spazza l’area. E’ quasi due metri e legnoso come un massello. Una pallonata più che un passaggio. Il terzino è concentrato a sputacchiarmi quando il pallone rimbalza. Il cuoio a spicchi bianchi e neri scende giù al limite dell’area.
   “Con quelle gambette non arriva neanche in porta”, sento dalle gradinate. Il mancino m’insegue cagnesco. Potrei avanzare, scartare il portiere. Invece tiro e basta. Così. Una bomba che s’insacca in basso nell’angolo sinistro. Le patatine di mio fratello decollano. Mio padre scuote la testa.
   “Attento”, grida mia madre. Le mani dello stopper mi colpiscono a dividersi il merito. I polmoni mi fanno eco. Il terzino continua a minacciarmi, ma ora è un po’ meno convinto. Non pensa proprio che arrivi il bis.
   Un’altra legnata dalle retrovie. Con un pallonetto brucio il portiere a valanga. Mio fratello è attaccato alla rete come una scimmia sanguinaria. Non è più figlio unico.
   “E’ il mio ragazzo”, sonnecchia mio padre, sgomitando il vicino. Senza accorgersi che è mia madre.