Cum tucte le Tue creature
Antonio Di Pede
2500 battute

   Si sa, la scrittura ingenera prostrazione e violenza, che se un narratore non può o vuole riversare su chi gli sta vicino, sublima aggredendo chi mostra interesse sincero per il suo lavoro. Per di più dalla parte sua ha sempre l’editoria e la pubblicistica; è una violenza che si sente subito, anche con lettura. É vero anche però che, di questi tempi, chiunque deve aver a che fare con le litterae, e che, come se non bastasse, difficilmente da soli se ne riescano a contrastare le angherie: io ad esempio, quando ho da scongiurarle, non trovo altro giovamento che nel camminare, per lunghi km. Tra l’altro ormai dicono che sono uno che va da solo in montagna, che da troppo tempo non ho più una ragazza, e i miei sembrano seriamente preoccupati: «azzardi troppo». Quando poi avevo smesso di frequentare la scuola, a nessuno dei miei prossimi mancava occasione di dispensare buoni consigli, contro la mia disobbedienza caprina.

   Per una strana malìa, succede dunque, davanti ad un libro, di potersi ritrovar soli, spaesati e alieni al mondo. Il tutto s’intarsia pure bene in una bella parabola. Uno di quei giorni infatti mi cercò D., un mezzo consanguineo. É uno scapolo di 40 anni, guida per escursionisti: mi chiama spesso, anche a capo delle spedizioni. In più, non è difficile accorgersi che quando parla con mio padre, più il vecchio s’incazza per me, più lui ride col ciglio, complice amichevole, o forse irrispettoso, dei miei guai. Mi chiamò allora per andare a tartufi, perché il tubero è un rifugio dal mondo, forse, perché quando si scappa prima o poi si torna. «Ma tu scappi da tuo padre. Non troverai mai quel che cerchi! Credi di fatturarlo coi tartufi?»

   Oggi certamente potrei dire di no; e nemmeno con le litteræ, aggiungerei. Pare infatti che per quanto un figlio possa dare ad un padre, questi possa voler chiedere sempre di più, finché il suo ruolo è debole, agli occhi di tutti. Che si cresce, e che questo padre poi non troverà più il suo ruolo, salvo che il figlio sia sempre inadeguato al mondo, come un debitore, senza il suo consenso, “metafisico”. «Tu dici di aver avuto un prete per padre…» subito riprese D.; avevo appena pisciato sulla neve ghiacciata: me lo sentivo duro, raccicciato come una castagna. «Che t’importa? Tu hai vissuto una famiglia, non un padre. Uomini e donne, la volontà, il lavoro e il loro amore: nient’altro. E solo per quanto sarai parte di una famiglia, sarai veramente parte del mondo».

non scotete dal sonno l'amata
finché non lo voglia
Can 8,4