Assaggi di vita
Silvia Facondini
1727 battute

La cucina era immersa nella penombra, con le file di utensili lungo le pareti e le pentole pronte per essere usate, proprio come l’aveva lasciata il giorno prima. Il cuoco vi entrò e dispose gli ingredienti sul tavolo da lavoro. Da molto tempo ormai quella cucina rappresentava la sua casa, il rifugio della sua anima. In quel luogo ogni cosa ammiccava con complicità e faceva riaffiorare alla sua mente i ricordo più dolci. Nuvole di farina riempivano la stanza, proprio come quando, da bambino, osservava la nonna preparare la pasta per tutta la famiglia, il giorno di Natale. L’aroma del pomodoro riempiva la stanza, lo stesso che sentiva, da piccolo quando, tornando da scuola, affamato, percorreva in fretta la via, tra le file di case parallele da cui giungeva l’odore del soffritto. E poi la mozzarella filante, quella della pizza mangiata in compagnia degli amici, tra chiacchiere, risate e un boccale di birra.
L’odore della carne alla brace, che ti pizzica la gola, misto a quello acre del fumo. Mangiarla seduti accanto alla tenda, sull’erba umida. Era il primo campeggio assieme alla donna che sarebbe diventata sua moglie.
E infine la dolcezza della cioccolata, calda, con sopra la panna. Prepararla, d’inverno, quando fuori infuria la neve. Mescolare con pazienza fino a raggiungere la densità voluta. Ma soprattutto il sorriso della persona con cui l’aveva condivisa: il sorriso di suo figlio.
Quella cucina era il suo mondo, i suoi ricordi erano tutto ciò che possedeva e ogni piatto che creava era una diversa porta della sua memoria. Per questo il cuoco si considerava infinitamente ricco.