Lo zabaione
Bruno Di Marco
2500 battute

Il dolce che più ha segnato la mia infanzia è stato lo zabaione, almeno quello nella versione più semplice e domestica rispetto alle ricette che poi ho rintracciato nei vari libri di cucina. Gli ingredienti si limitavano allo zucchero e al tuorlo dell’uovo, ma la vera magia consisteva nella preparazione, nel far montare quella crema lavorandola nel bicchiere con un sapiente e continuo movimento del cucchiaino, amalgamando insieme i due ingredienti base, in modo che lo zucchero venisse assorbito dall’uovo, e continuare a girare e girare fino a che non se ne sentivano più i granelli. A quel punto l’impasto diventava di un giallo pallido e la materia così lavorata trascendeva, il palato avvertiva un sapore sublime che non aveva più nulla dell’uovo e dello zucchero. La sensazione era di mangiare in realtà la passione stessa con cui avevi lavorato per ottenere quella sostanza. L’artista di famiglia nel campo zabaioni era uno zio, fratello di mamma. Fin da piccolo, la passione nel lavorare la materia prima, lo rendeva capace di realizzare delle versioni sublimi. Il tempo che impiegava sembrava eterno agli altri, ma lui era instancabile, sapeva che più lo lavoravi, più lo zabaione diventava buono e creava ogni suo capolavoro con dedizione mantenendo costante il ritmo, elemento secondo lui fondamentale per la riuscita dell’opera. Gli altri fratelli, pur amando lo zabaione, non avevano la sua stessa pazienza, e quando vedevano lo zio alle prese con il rito dello preparazione, aspettavano il momento finale e casualmente, uno o due di loro, gli passavano accanto con un cucchiaino in mano – nessuno voleva usare quello di un altro - e “ti spiace se assaggio?” . Sapevano bene che lo zio, troppo buono, era incapace di rifiutare, e si gettavano famelici su quel nettare degli dei asportandone porzioni copiose. Una volta tutti e cinque i fratelli si presentarono contemporaneamente dotati di cucchiaino di prammatica e con l’acquolina in bocca. Lo zio dapprima li guardò sgomento raggomitolandosi nella poltrona dove era solito celebrare il suo personale rito, poi si riprese e disse loro: “Solo un momento che aggiungo un altro ingrediente”. Avvicinò il bicchiere alla bocca, ci sputò dentro e lo offrì con un sorriso. I fratelli, schifati, non ebbero il coraggio di affondare i cucchiaini in quella crema divina ma fatalmente contaminata e se ne andarono delusi. Lo zio da allora in poi non dimenticò più di aggiungere il suo ingrediente particolare godendosi in pace il suo zabaione.