Il cappellaio magico
Graziano Lanzidei
2492 battute

Sento il freddo scivolare sulle guance, infilarsi tra i capelli e correre alle mie spalle. Sono fermo da mezz'ora, davanti ad un negozio di cappelli, con le mani infilate nella tasca del giubbotto. Mi guardo intorno, passeggio, mi abbandono ai pensieri. Ho provato a chiamarla, ma non risponde. Non ho il coraggio di andare via ma non ho la pazienza di rimanere. Il proprietario del negozio mi guarda dal bancone, ogni tanto s'affaccia, dopo aver sistemato i cappelli vicino la vetrina, e si mette sulla porta. Accendo una sigaretta dopo l'altra, ogni tanto prendo il cellulare dalla tasca e gli do un'occhiata per vedere se è arrivato il suo messaggio. La mia immagine è riflessa sulla vetrina. Sono questi i momenti in cui la vista riesce a dare un senso alla nostra goffaggine, al nostro senso di inadeguatezza, alla nostra ansia. L'angoscia che ho dentro è ritratta in quel ragazzo sulla trentina, dall'aspetto appesantito, che si guarda, smarrito. “Hai d'accendere?”. Faccio un balzo. E' il proprietario. Ha una sigaretta tra le dita. La porta alle labbra e rimane in attesa. Lui, appena la fiamma tocca il tabacco e la carta, fa un tiro profondo. Quando caccia fuori il fumo dai polmoni, quasi sbuffa. “Mi hai messo l'ansia addosso” fa, mentre guarda qualcosa alle mie spalle. Accenno un si, solo ondeggiando la testa, su e giù. Cerco di allontanarmi, di tagliare corto la conversazione. Lui continua a fare tirate lente, profonde. “Stai aspettando qualcuna, vero?”. Il freddo continua a darmi il tormento, si è concentrato sulle gambe, adesso. Me le avvolge nella sua stretta ghiacciata, con l'unico scopo di rendere sempre più tormentato questo momento. Non ho mai sperato così tanto che entrasse un cliente in un negozio di cappelli. Guardo il cellulare, mentre lui aspetta una mia risposta, poi l'orologio. E' un'ora che sono qui, ad aspettare che lei arrivi e mi sciolga con un sorriso, che cacci via questa rabbia con un bacio sulle labbra, e riesca, come sempre, a vincere ogni senso di insicurezza. “A me una volta è capitata la stessa cosa” dice il tizio. Butta la sigaretta, poi fa per entrare nel negozio. Si volta. “E mi ricordo che mi sono messo a fare una lista delle cose che non mi andavano giù. Arrivato alla seconda pagina ho buttato via tutto. Ho preso un altro foglio e ci ho scritto una sola parola. L'ho lasciato attaccato ad un muro, proprio lì dove dovevamo incontrarci”. “Scusi” faccio io “e cosa ha scritto?”. Lui rientra, nemmeno si volta, ma risponde. “Vaffanculo”.