Caffè tostato
Gaia Brunello
1785 battute

“Me ne vado. Basta.”
Le parole scivolarono dalle labbra con calma inattesa, eppure del tutto naturali.

(Non era abituato a quella fermezza e capì che stava succedendo davvero.)

Era serena e decisa. Stranamente leggera.
Un moto d’orgoglio, forse un breve sguardo al futuro, la smossero da quel divano di pelle scura su cui già sedeva le giovani ore soffocanti. Da tempo vi sperimentava l’umiliazione di furiosi litigi causati dalla semplice quanto devastante assenza di fiducia. Con essa aveva subìto il sospetto, l’ingiusta accusa, l’insulto. Lì, aveva assistito impotente al tramutarsi dell’amore di lui in gelosa follia, in ira, in qualcosa che pareva ora mescolare il sesso alla violenza, mentre la sua acerba vita si ritirava confusa in un guscio di timori e rinunce.
Sedeva ancora, mentre il ragù sobbolliva borbottando, il salotto con i suoi tristi fiori finti sul tavolo era illuminato dal monitor bluastro di un computer sempre acceso, sotto le dita la superficie morbida e un po’ pelosa della tovaglia nera.
Divenne chiaro in quei giorni che era la testardaggine e non l’affetto a trascinarla quotidianamente nella tormentata storia, cui immolava il voluttuoso corpo di ballerina. A lungo aveva perseverato nella speranza di riuscire a dimostrargli l’importante errore che commetteva nel considerarla pari ad una meretrice.
Fu senza preavviso che quella sera gettò la spugna. Improvvisamente vincere non le importò più.
Stremata, prese la borsa con la sua parte di sogno e varcò la porta della casa altrui.

(La seguì petulante cercando ripetutamente di abbracciarla, ridicolo come il falso mendicante che anela all’elemosina. Ma il contatto la turbava.)

Lo respinse infine, irrevocabile gli volse le spalle.

Tornò ad avvertire l’aroma di caffè tostato che precede la pioggia d’Aprile.