L'assalto
Aldo Strale
2328 battute

 
Iniziarono a bombardare all’alba. Per noi era lo stesso se fosse stato a mezzanotte. Le luci alte dei candelotti segnalatori tempestavano il buio. Quanto desiderai il buio! Eravamo restati svegli tutta la notte. Lo sguardo fisso sull’estremità accesa della sigaretta. Unico focolare per le nostre e anime stanche. Il capitano aveva consigliato di dormire. Ma il sonno era troppo simile alla morte, anche se avvolte chiudevo gli occhi desiderandola. Poi quasi come un sogno mi apparivano i volti di lei e delle nostre due bambine e, in quell’abbraccio onirico, trovava riposo almeno il mio cuore. I bombardamenti furono intensi: più lunghi sarebbero stati più tempo avremmo avuto per uscire dal torpore della trincea e apprestarci a quella giornata, che forse per molti di noi sarebbe finita ben prima che il sole avesse asciugato la brina. Così come da tante crisalidi, i corpi di centinaia di uomini, prendevano forma di insetti affamati. Sciame di vespe accecate dal terrore.
“Avete mai fatto footing la mattina? No? Vi vedo un po’ fuori forma.. Beh stamani bisognerà che corriate” disse il tenente. Furono le uniche parole che si sentirono echeggiare tra i cunicoli. Poi il silenzio si impadronì dei fossi, in attesa che un fischio prolungato sovrastasse il fragore delle bombe.
Duecento metri, per raccontare quel risveglio. Cento passi per scaldare il volto, al sole di mezzogiorno. Le impronte avrebbero tracciato sentieri di vita. Storie umane. Amori, glorie, rimpianti. Il balletto della guerra su terra da coltivare. Avrebbero raccolto il sangue, come mani congiunte per porgere acqua, alla bocca assetata. Accesi un’altra sigaretta. Io che non fumavo, riempivo i polmoni dell’unico calore a me concesso. La mente fu svuotata a lungo e neanche gli scoppi sentivo più. Poi il mio sguardo iniziò ad incrociare quello dei miei compagni. Occhi fermi. Il nostro ultimo saluto. Strinsi forte il fucile con le due mani e montai la baionetta. I petti palpitarono e risuonarono all’unisono in un ronzio vibrante. La faccia rivolta alla parete di quella fossa putrida e le punte degli stivati ancorati ai tramezzi di legno.
Ripiegati su loro stessi, i corpi erano ora pronti a distendersi come molle e a protrarsi oltre l’ombra. Poi un fischio raggiunse i timpani trasformandosi in un brivido lungo la schiena.
E noi corremmo...