La danza delle bandiere
Laura Vicenzi
1270 battute

 
Chernobyl è il nome di un’erba, l’assenzio, una pianta al veleno che cresce libera ora in città. Solo l’asfalto qui non è radioattivo.
Le strade, osservate dall’alto degli ultimi piani, sembrano tracciare scacchiere grigie: i giocatori, fugaci ombre nere che tagliano l’aria provenienti dal nulla stregato, sanno bene che ogni mossa è uno scacco matto. Alle finestre danzano fantasmi di panni stesi, lenzuola messe ad asciugare in una fresca giornata d’aprile fermata nel tempo, a vent’anni fa. Li guardo muoversi lenti: sventolano, tracciando immutati cenni di diniego, sembra che dicano “NO...NO...NO...”. Sono bandiere col colore della resa che resistono, che non si rassegneranno mai alla loro inutilità. Giù in strada appaiono a fermo immagine, proiettate sui vetri a specchio, foto annerite d’ignari eroi. Spenta la grafite impazzita, mille angeli buoni color di cometa sono caduti trafitti dai chiodi. Intorno un silenzio assordante fa fremere l’aria immobile e toglie il respiro. Lentamente, senza più difese, si piomba in una claustrofobia che racchiude l’animo in una prigione a cielo aperto. Gli alberi sepolti mi chiamano, le loro grida rosse implodono all’interno di sarcofagi vuoti. E le bandiere bianche continuano a ricordare al mondo: “NO...NO...NO...”.