Bang!
Alessandro Alessandrini
2473 battute

 
“Bang!”. Pronunciai questa parola in modo quasi infantile, sotto voce, come facevo ormai da tanti giorni. Il dito indice della mano destra poggiata sulla tempia, lo sguardo fisso al cielo. Era diventato un bisogno, di solito mi capitava la sera, mentre montavo di guardia, come adesso. Sdraiato dietro un pilastro di cemento scrutavo l’orizzonte in cerca di qualche “nemico” a cui sparare, sapendo perfettamente che prima o poi ne avrei visto un folto gruppo avvicinarsi al nostro accampamento, sbucato fuori quasi dal nulla… Ogni giorno, ogni sera, mi chiedevo cosa sarebbe stato meglio tra l’essere ucciso, o peggio ancora, catturato…e il farla finita da solo. L’eventualità della prigionia, le sevizie, una morte atroce magari ripresa con una telecamera mi impauriva, mi sconvolgeva…molto più del poter essere additato come codardo o come pazzo. Non potevo andare avanti in questo modo. Nenche il pensiero della mia famiglia mi rincuorava…da tempo mi sentivo inutile anche per loro, ancora prima di partire per questo maledetto inferno.
“Bang!”. Di nuovo. Ancora una volta. L’avevo rifatto, senza nenche accorgermene.
Rimanere qui, voleva dire morire. Tornare, voleva dire semplicemente non vivere.
No, no…tutto ciò era assurdo, dovevo rimanere in vita, avevo già visto la morte in faccia più di una volta, nella mia mente avevo ancora impresso il viso dei miei compagni caduti.
I miei figli. Già, i miei figli. Dovevo farlo per loro. Dovevo resistere per loro.
Ma era solo uno sprazzo di lucidità…qualcosa mi stava divorando da dentro, dal più profondo della mia anima. Impossibile fermarla.E allora? Cosa fare? Cosa cazzo potevo fare?
Si era fatto buio…la luna sembrava quasi osservarmi incuriosita, voleva vedere se anche questa sera sarei tornato nella mia branda vivo oppure…
“Bang!”. Questa volta il dito rimase poggiato sulla tempia per un tempo decisamente più lungo…
No, no…resisti, resisti, mi ripetevo. Per te, per la famiglia, per gli amici.
Tra poco sarebbe arrivato il cambio, ancora pochi minuti e anche stavolta ce l’avrei fatta. Mi avrebbero salvato da me stesso, dai miei pensieri, dalle mie angosce. Ancora pochi minuti, forza, resisti, mi ripetevo. Forza.
Silenzio…
Non sentii il calore del mio dito, percepii chiaramente il freddo metallo poggiarsi sulla tempia.
Mancava poco, il compagno che doveva sostituirmi era ormai a pochi metri da me…
”Fermo, che cazzo fai?” urlò.
Sarebbero bastati pochi secondi, per salvarmi…ma tenevo sempre il colpo in canna.
“Bang!”.