La guerra delle donne
Naïma
2500 battute

 
Piove a dirotto oggi. Sto maledicendo ogni dannato giorno che passa da un paio di mesi. In questa trincea fangosa non si respira, l’uniforme mi s’incolla addosso, ho il fango anche nel cervello.
Accendersi una sigaretta è impossibile. Sono di sentinella e non conto più le ore di veglia. So che non servirà a niente dare l’allarme per tempo, tanto non siamo pronte, non saremo mai pronte, né noi, né loro. Ed infatti non sono io a dare l’allarme ma una di ricognizione: la vedo correre verso la trincea ed inarcare la schiena sotto i colpi nemici prima di finire a terra. Per sempre.
Ho con me un fedele compagno: un mitra Thompson M1928. Certo, dal 1928 ad oggi, si è fatto passi da gigante nell’inventare nuove armi: nei secoli da allora trascorsi, si sono prodotti congegni sempre più sofisticati che avrebbero dovuto avere come sola conseguenza il rendere inutile farsi la guerra: ma questa è sempre stata strumento dei potenti, nulla a che vedere con gli ideali.
Dapprincipio si usavano armi di ultima generazione, poi qualcuno ha scelto di tornare sempre più indietro ed oggi abbiamo in dotazione proiettili e polvere da sparo, armi bianche. Con le prime avevi speranza di disintegrarti nel nulla in un nanosecondo senza soffrire, con le ultime la guerra è più cruenta, dolorosa, in un certo senso più spettacolare: i combattimenti vengono ripresi da troupes televisive in elicottero. Noi non abbiamo elicotteri, non abbiamo aerei: lottiamo corpo a corpo, rotolando nella polvere. Si combatte in zone franche, lontane dai centri abitati. Migliaia di vite umane falciate ad ogni guerra.

Le donne, portatrici di vita e di pace, rappresentano i tre quarti di una sovrabbondante popolazione che asfissia il pianeta, sottrae risorse, minaccia la sopravvivenza delle classi elette. Per questo si è deciso di mandarle in numero sempre maggiore al fronte. Per ogni ripicca tra i potenti veniamo mandate a combattere.
La verità è che tutto questo è un pretesto: ci stanno decimando. Una specie di pulizia etnica, per ristabilire l’equilibrio.

Sembra stia smettendo di piovere. Sento un boato avanzare verso di noi, finalmente il mio comandante ordina l’attacco: salto fuori dalla trincea come se avessi il fuoco nelle gambe, vedo le truppe nemiche corrermi incontro, intuisco i corpi delle mie compagne cadere al suolo dietro di me.
Imbraccio il mio mitra e sparando mi getto nella mischia, nelle orecchie nient’altro che il mio disperato urlo di guerra. Donna contro donna. Non ci sarà nessun vincitore.