La guerra delle donne Accendersi una sigaretta è impossibile. Sono di sentinella e non conto più le ore di veglia. So che non servirà a niente dare l’allarme per tempo, tanto non siamo pronte, non saremo mai pronte, né noi, né loro. Ed infatti non sono io a dare l’allarme ma una di ricognizione: la vedo correre verso la trincea ed inarcare la schiena sotto i colpi nemici prima di finire a terra. Per sempre. Ho con me un fedele compagno: un mitra Thompson M1928. Certo, dal 1928 ad oggi, si è fatto passi da gigante nell’inventare nuove armi: nei secoli da allora trascorsi, si sono prodotti congegni sempre più sofisticati che avrebbero dovuto avere come sola conseguenza il rendere inutile farsi la guerra: ma questa è sempre stata strumento dei potenti, nulla a che vedere con gli ideali. Dapprincipio si usavano armi di ultima generazione, poi qualcuno ha scelto di tornare sempre più indietro ed oggi abbiamo in dotazione proiettili e polvere da sparo, armi bianche. Con le prime avevi speranza di disintegrarti nel nulla in un nanosecondo senza soffrire, con le ultime la guerra è più cruenta, dolorosa, in un certo senso più spettacolare: i combattimenti vengono ripresi da troupes televisive in elicottero. Noi non abbiamo elicotteri, non abbiamo aerei: lottiamo corpo a corpo, rotolando nella polvere. Si combatte in zone franche, lontane dai centri abitati. Migliaia di vite umane falciate ad ogni guerra.
Le donne, portatrici di vita e di pace, rappresentano i tre quarti di una sovrabbondante popolazione che asfissia il pianeta, sottrae risorse, minaccia la sopravvivenza delle classi elette. Per questo si è deciso di mandarle in numero sempre maggiore al fronte. Per ogni ripicca tra i potenti veniamo mandate a combattere.
Sembra stia smettendo di piovere. Sento un boato avanzare verso di noi, finalmente il mio comandante ordina l’attacco: salto fuori dalla trincea come se avessi il fuoco nelle gambe, vedo le truppe nemiche corrermi incontro, intuisco i corpi delle mie compagne cadere al suolo dietro di me. |