Schegge in grembo
Donatella Franceschi
2477 battute

 
In questo momento avrei voluto non aver litigato.
In questo momento avrei voluto non averti voltato le spalle, tu che timidamente tentavi di saggiarne una, come per riattivare tra noi quello stesso contatto, quello stesso legame, che io avevo appena reciso.
Ho scalciato, buttato giù la spalla con rabbia; ho sbuffato e ho fatto un passo avanti; un passo che mi allontanava ancor più da te.
Vi era come un sentimento di repulsione, di rancore che mi possedeva.
Di paura… certo, vi era anche quella.
Saperti là, a rischiare la vita mentre io piangendo ti imploravo, le mani che andavano a strappare i capelli che proclamavi di amare tanto; niente è valso a dissuaderti, né le mie lacrime, né i miei lunghi capelli neri che aggredivo con ferocia, né il mio amore.
Niente ti avrebbe mai dissuaso dall’abbandonare la causa, i tuoi compagni. Niente.
E poi star nascosto, come una marmotta sotto terra, non lo volevi.
Non volevi correre guardingo come un topo, attento sempre a non cadere in qualche allettante trappola.
Non volevi sgusciare in bui cunicoli sotterranei, per sbucare, talvolta, a ricevere soltanto saettanti ceffoni dai raggi del sole.
No, tu non lo volevi.
Sì, io lo sapevo.
Tu che mi cercavi con i tuoi occhi, gli stessi che avevano rapito la mia anima al nostro primo incontro.
Occhi grandi; lo sguardo mite a volte sperduto, fragile di chi non sappia ancor bene chi essere e cosa dover divenire nella vita.
Grandi occhi dalle iridi incallite come la corteccia di un abete, brulicanti e pastose come un campo imbevuto di rugiada.
A volte, nel tuo sguardo sempre così aereo si ammassava una fitta bruma; così avvenne quel giorno.
Eri triste.
Non ti potevo scorgere.
Lo sentivo, lo percepivo soltanto, dalle tue parole, dal tono della tua voce, dai tuoi timidi gesti che con asprezza scacciavo lontano da me, dai tuoi movimenti pacati, dal tuo silenzio prolungato e lacerante, dal rumore dei tuoi scarponi sull’erba secca.
Non mi voltai neanche allora, neanche quando ti sentii ormai lontano, ma forse ancora raggiungibile dalla voce umana.
Un grido forse… ma io restai muta.
La bocca serrata.
La voce insabbiata.
Non mi voltai.
Ora, avrei voluto farlo.
Ora che sento urla di soldati troppo vicine e echi di bombe pulsare fragorose.
Ora che sento il cappio della morte segarmi il collo.
Ora so che avrei voluto correrti dietro, ghermire il tuo nome al vento e abbracciandoti, dichiararti il mio amore, forse eterno… ora chi potrà mai dirlo?
Ora che ormai è troppo tardi per poterlo scoprire.