Monotonia Arrivano altri nuovi, oggi, come ogni giorno. Nuovi per noi, s’intende, ché pure loro hanno i portafortuna sotto le spalline, le loro giubbe macchiate, le loro cicatrici. Non ci raccontiamo nulla, quando poltriamo in branda: i posti da dove vengono sono come qui, il lavoro è lo stesso, cambiano solo i nomi, e magari qualcuno sembra pure di averlo già sentito. Il tenente no, però. Quello è diverso davvero. Non toglie mai il berretto, parla poco, dice cose strane, non mastica coca o insulti; non porta talismani: non servono più, dice. Sta con noi da due settimane e non ci conosce ancora per nome, né noi ricordiamo il suo. Dicono che venga da quell’inferno del settore due, quello che è stato spazzato via col napalm; forse per questo non si rimbocca mai le maniche: sarà pieno di ustioni. A volte con me parla, sempre laconico, mentre fumiamo l’erba, al tramonto. Gli ho detto delle cose strambe che mi pare di vedere: il sergente, i nemici con la stessa faccia di ieri, i posti dove si combatte, che sembrano sempre uguali. Noi siamo quelli che la guerra l’hanno persa – mi ha detto - non l’hai capito? Per sempre. |