Check Point 46
Giorgio Ottaviani
2474 battute

 
Una distesa di polvere rossa si perde a vista d’occhio. Un villaggio fatto sgombrare a forza, in fretta, mentre il sole è ancora sotto l’orizzonte.
Clangori metallici, ordini urlati, pianti di bambini. La luce delle torce violenta il buio delle stanze. Fra quelle case la concreta possibilità di trovare dei terroristi.
Il tempo di prendere acqua e cibo per un giorno. Tutti dietro la linea di sbarramento cinquecento metri fuori dall’abitato. Controlli ripetuti più e più volte.
Due sospetti terroristi sono arrestati. Tutti gli altri saranno avviati al campo profughi. Il villaggio sarà raso al suolo. Dobbiamo presidiarlo fino all’arrivo delle ruspe.
Ho paura. Stringo il calciolo del fucile. Qualche terrorista potrebbe essere ancora nascosto nel villaggio. Il nostro compito è chiaro: nessuno deve rientrare. In questa guerra non esistono civili. Tutti, anche un bambino o una donna sono il nemico.
Ora il sole è alto. Le pareti bianche delle case sembrano quasi danzare nell’aria surriscaldata.
Perché sono qui. A casa, ora, mio padre starà tagliando l’erba in giardino, mentre mia madre prepara il pranzo …ma no, cosa dico? A casa mia è ancora notte.
Casa mia è dall’altra parte della terra. Questo è un mondo diverso, irreale. Non c’è nulla che mi accomuni a questa gente.
Cerco i miei compagni, ma non siamo in contatto visivo. Il mio sguardo incontra invece due occhi di ragazza, neri come ossidiana.
Istintivamente sollevo il fucile. Le grido di allontanarsi. Non so se mi capisce. Rimane immobile.
Con la voce strozzata mi grida frasi che non capisco. Poi la sua disperazione si scioglie in un pianto isterico. Vuole rientrare nel villaggio: forse ha lasciato qualcosa che per lei è importante.
Impreco. La paura mi consiglierebbe di spararle contro, magari solo per intimidirla.
La giovane implora disperata. Se fosse tutta una messa in scena? Non posso trasgredire agli ordini.
Il suo pianto però,come l’acqua discioglie il sale sgretola le mie certezze. Tante cose in cui ho sempre creduto, di fronte a quel pianto, non hanno più un senso. Che vada come deve andare: abbasso il fucile e le volto le spalle. Potrebbe essere l’ultimo istante della mia vita, oppure l’inizio di un modo di vivere migliore.
Mi volto di nuovo. Lei è sparita. Dopo qualche istante la vedo. Tra le braccia stringe qualcosa. E’ un bambino avvolto in una coperta. Mi passa accanto. Mi sfiora un braccio. Scosta un po’ la coperta perché io possa vedere il volto del bambino, poi si allontana.