Pazi Šnajper
Jacopo Ninni
2497 battute

 
Dobrinja si distende come un prato mal falciato; macchie di case identiche recise ad altezze diverse spuntano da una terra dura e disidratata.
Dignitosi, appaiono qua e là ancora esseri come fiori: i più piegati come petali assetati.
Dobrinja: dopo due anni d’assedio il nome è un’eco sarcastica; mi incammino tra le macerie di quella “benignità”; su un muro una scritta: “Quando due elefanti combattono, chi ci rimette è l’erba”.
Molte case sono ripiegate su se stesse, altre isolate resistono vuote come teschi dalle cui orbite esplodono improvvisi e letali lampi: ogni giorno fiori assetati crollano appassiti.
La donna giace sul selciato, il secchio rotolato poco lontano. Al riparo tra relitti di automobili, qualcuno cerca il modo e il tempo per correre a recuperarne il corpo.
Memorizzo la finestra; conosco bene il palazzo: non è difficile individuare l’appartamento e raggiungere la stanza.
E’ lì, seduto; la schiena appoggiata al muro opposto alla finestra, tira la sua striscia di coca. Facile adesso coglierlo di sorpresa e sparargli una pallottola nel ginocchio. Rimane immobile; come un animale sorpreso e ferito, la bocca schiuma grappa, cocaina e dolore, lo sguardo fisso verso la finestra.
La stanza è un inferno di odori; scritte deliranti sul muro; croci incise lungo i bordi della finestra sembrano completare un appello urlato al quartiere e ne segnano gli assenti.
Lo guardo fisso negli occhi mentre gli lego le mani cercando di scoprire il cenno di un pensiero; quello della sconfitta dell’intoccabile o della pietà dell’inerme.
Trema; i suoi occhi rassegnati sono già lontani e cercano di fuggire oltre il mirino del fucile alla finestra, sua unica pròtesi verso il mondo.
Preparo il cartello, lego la corda a un chiodo nello stipite.
Lo sento rassegnatamente leggero mentre lo trascino e gli metto il cappio al collo; poi è facile spingerlo fuori.
Dondola, gli infilo il cartello dalla testa: una scritta nera su fondo giallo: “Pazi Šnajper”; Dobrinja ora è ai suoi piedi e tutti possono vederlo.
Mi fermo a guardare fuori; mi accorgo solo adesso di come Il campo giochi sia ricco d’erba. Da quando ne era lui il cane da guardia, nessuno ci era più andato.
Mi siedo al suo posto, fumo le sue sigarette e mi bevo tutta la sua bottiglia di grappa; rimango li per ore a fissare il cielo.
Al tramonto mi affaccio di nuovo; Il cadavere della donna non c’è più. Nel campo, due ragazzini si rotolano nell’erba fresca dietro ad una palla.
Va bene così, è quasi primavera; l’erba ricrescerà.

NOTE:
Pazi Šnajper: attenzione cecchini;
Dobrinja (lett. “benigna”, “città del bene”) è il quartiere olimpico di Sarajevo, bombardato durante l’assedio in quanto zona di confine: la strada che la univa al centro era chiamata Snajper alley.