Gli occhi del demone
Stefano Meglioraldi
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La luce spettrale del neon delineava una figura imponente, in quel momento immobile, dai lunghissimi capelli che gli scendevano fino alla vita. Di color rosso sangue, incorniciavano un volto grottesco, spaventoso. Due occhi vivaci, troppo normali, troppo umani, facevano da contrappunto ai lineamenti orribilmente deturpati del viso. Le labbra erano spaccate perpendicolarmente in più punti, rivelando denti demoniaci, appuntiti e pronti a dilaniare. Spesse cicatrici attraversavano il volto, e dove queste incontravano il naso, si aprivano maggiormente, sottraendone ampi pezzi. Anche il corpo, interamente nudo, era martoriato in più punti. La sua struttura, massiccia e muscolosa, era più simile a quella di un uomo, ma ne faceva eccezione il seno rilevante e la mancanza del sesso. I nervi e le vene spiccavano in rilievo sulla pallida pelle, completamente glabra. Era un demone.
Un demone come ne avevo visti tanti, ultimamente. Ma ancora ero terrorizzato dai loro occhi. Occhi terribilmente umani. Occhi normali, non assassini. Occhi simili ai miei...
Solo un vetro mi separava da quella creatura. Nella stanza dove mi trovavo, la “stanza degli orrori” come era stata ribattezzata, non c’era niente. Né una sedia, né altro, solo un vetro. C’era naturalmente una porta, la porta d’ingresso, dietro la quale si trovava la normalità: un mondo fatto di illusioni, popolato da gente ignara di tutto. Dietro quella porta si poteva incontrare il dottore indaffarato, il parente seduto accanto al capezzale del malato, l’ausiliaria sorridente che spingeva il carrello del cibo, e più in là, persone affaccendate al bar dell’ospedale. Fuori dall’edificio, gente che camminava, macchine che sfrecciavano per le strade. Migliaia, milioni di persone, alle prese coi normali problemi di ogni giorno. E soprattutto ignare di questo. Ignare del progressivo diffondersi di simili esseri, e che presto avrebbero preso il sopravvento. Stavano crescendo di numero. E non si capiva come, né perché. Dietro ogni demone vi era una volta una persona umana. Altrettanto ignara. Com’era possibile? Diressi un pugno contro il vetro. Il demone fece lo stesso. Ancora. E ancora. Il demone ripeteva ogni mio gesto meccanicamente. Niente da fare. Il vetro non si rompeva. Mi buttai per terra, piangendo, mentre una massa di capelli che sapevo non appartenermi si riversava sul mio viso. Un viso rovinato. Un viso che non era il mio. Un corpo che non era il mio. Perché quel vetro non era altro che uno specchio.