Zombies
Binah
2472 battute

Io li riconosco al volo, loro, dall’odore, dagli occhi. Li vedo aggirarsi tra di noi, frequentare le
nostre palestre, mangiare nei nostri ristoranti e viverci gomito a gomito.
Io la conosco benissimo quella sensazione di pericolo, quell’impressione nascosta e subdola di saper qualcosa che però non si rivela completamente, qualcosa di terribile intuito ma mai capito. Ci sono passato. La prima volta è stato per caso: da una grata su un parcheggio ho visto quella donna china su quell’uomo sdraiato, quella sua bocca aperta spalancata, rosso acceso, quelle gocce di spavento colarle sul collo, impastarle i capelli, la bocca di lui aperta su una parola congelata che non ho inteso. Ma sono rimasto lì a guardare. A fissare quegli occhi che mi osservavano, che mi si infilavano negli occhi come spilli acuti; quell’immagine oscena terribile che mi inchiodava entrambe le ginocchia al suolo, mi pietrificava le mani, mi chiudeva la gola. No no no no no una cantilena come un ronzio da dentro nelle orecchie. Li ho rivisti migliaia di volte quegli occhi, trapananti come spilli. Occhi ipnotici, appuntiti. Ogni volta era come se mi riconoscessero e il terrore è diventato il mio compagno di gioco. Non ho più trascorso un minuto senza voltarmi di scatto, scandagliare la folla, scrutare sotto le porte delle toilette, ascoltare il più piccolo rumore. Tacchi, fruscii, ticchettii, scorrere di acqua. Sempre in piena luce per evitare le ombre. Senza più mangiare, senza più dormire, senza più vedere nessuno, senza più capire, senza più provare altro che paura. Paura paura paura. E poi il volo libero. Come lanciarsi da un aereo in volo senza paracadute. Godere i secondi che separano dal grande niente, arrendersi al vuoto, diventare nell’aria una conchiglia smerigliata dal mare. La fine. L’inizio. Ora li riconosco, quelli che vivono nella paura: mi passano di fianco cercando di incrociare il mio sguardo, tremano di un tremore insano anche quando si preparano un caffè, sono sempre più magri e più stanchi e cercano di lottare inutilmente per non diventare quello che io sono, che quelli come me sono. Rimangono fermi al loro posto mentre noi facciamo carriera, stanno chiusi in casa a tremare mentre noi ci godiamo la città, sopportano in silenzio umiliazioni e degrado e quando finalmente puoi chiudere i denti su di
loro, hanno i nervi tanto tesi da faticare a masticare. Lottano fino all’ultimo contro la cura al  loro terrore. A chi piace essere per sempre la vittima?