Giorno di visita
Fiorenza Flamigni
2169 battute

 
Non facevo fatica a immaginare Marco seduto davanti alla mensola  del parlatorio, aspettare con impazienza lo squillo del telefono. In certe carceri ci si può parlare solo con una specie di citofono, senza vedersi in viso. Io evitavo di andare fin là, chiamavo al telefono, da casa. Una guardia prendeva la telefonata, controllava al computer le generalità e la password, poi dava la linea al carcerato.
La voce mi giunse lontana.
Da quali desolate pianure lo avevo distolto?
- Pronto!
- Ciao, sono io.
- Ciao.
- Come stai?
- Non so... bene.
- Sicuro?
- Sì ... é venerdì...
Però lo sentivo abbattuto. Traspariva il peso della  settimana passata lì dentro, ma anche la solitudine interiore che lo faceva galleggiare in una nebbia di parole.
- Ehi, mi desideri?
- Sì.
- Anch'io, tantissimo...
La malia della sua voce, con la voglia fisica che mi procurava, mi entrò dentro fino alle ossa.
- Inizi tu?
- No! Questa volta, tu.
- Cosa vuoi che faccia?
- Allarga le gambe...
- Fatto.
- Hai la gonna?
- Sì. Sono seduta dietro la vetrata della veranda, guardo la pioggia e sono bagnata anch'io, le tue mani scivolano sulla mia pelle, in mezzo alle gambe. Mi passo la lingua sulle labbra e...tu sei dolcissimo, mi accarezzi   l'inguine, le tue dita scivolano dentro. Sono come ubriaca, mi gira tutto e chiudo gli occhi per concentrarmi sul piacere.
-  Lui è... morbido, lo striscio sulla tua pancia, tu lo tocchi con le dita, con la bocca.
- Sì, adesso è teso e sprofonda dentro di me. Mi stringi, forte e a lungo...
Mi interruppe.
- Adesso devo agganciare...
- Ti chiamo venerdì prossimo.
- Va bene, ciao.
Guardai fuori, pioveva sempre più forte e avrei voluto piangere. Immaginai Marco alzarsi adagio, con l'espressione avvilita, seguire la guardia e ritornare in cella. Così andai in camera e m'infilai a letto, dove Marco non entrava ormai da una vita. Era passato tanto di quel tempo dall'ultima volta che avevamo fatto l'amore che ormai non lo ricordavo nemmeno più. Chiusi gli occhi e provai a riviverlo con la mente, ma niente.
Poi pensai a me, da sola in quel letto, a Marco che forse si stava masturbando, e capii che quella sarebbe stata l'ultima telefonata.
Sì, avrei smesso di chiamarlo.