Era solo sesso
Margherita Epifani
2421 battute

 
Solito venerdì sera di un solito dicembre a Milano: solito locale, solito tavolo prenotato, la solita compagna di merende.
" Cavolo, non c'è solo S. , c'è anche A.": soliti amici ed  amanti già usati.
 Meglio allora lasciare il privé per lanciarsi in pista , nella mischia di nuovi da provare.
" Ehi, ne vedo uno, è carino".
 "Ok, a me non piace, ma  comincio a lavorarmelo io per te".
Tak: il solito sfigato di turno:
 "Dai, su balliamo!",
 "Ma no, vai dalla mia amica",
 " No,  io vado a fumare".
 Un braccio mi afferra il gomito e mi porta in pista facendo ricadere in borsa il mio pacchetto di Davidoff light, perfettamente abbinato al look della serata.. Due volteggi in pista e le labbra erano già incollate:
 "Ok, ci limono un poco e poi addio, intanto continuo a lavorarmi il figo".
Pochi attimi ed ero già con le spalle al muro e lui davanti, mi baciava;
 non mi bastava.
 Sciolgo il laccio di cuoio che avevo al collo e lo porto verso di me: la mia lingua afferra la sua, prima parzialmente afferrabile, intreccia la sua e la risucchia nella mia bocca, all'interno della corona dentale, come lui, avevo capito, quella sera, non voleva fare.
" Ci sentiamo in questi giorni",
mi fa in macchina,
" Vorrei che passassi la notte con me",
 gli dico.
 A casa, all'ombra della finestra della casa sul Naviglio,  si spoglia, non guardo come sono le mutande, penso solo alla sensazione del raso della mia gonna sulle autoreggenti, sollevata per un gesto della sua mano.
Niente di tutto questo, solo mani che si aprono la strada e lui.
 Dimensioni perfette, sostenibili, adatte e piene, mai avuta una tale pienezza: entrava e usciva, usciva ed entrava, sopra di me : regolare, sistematico, quasi: missionario calcolato, ma perfetto, sempre odiato, mai stimato come allora.
1,2,3,4,5,6,7,8 volte; 2, 3 ore e bagni di sudore.
2 Appuntamento: "Casa mia o un motel?",
esordisce,
dignitosa e timorosa, dico
"Ho paura", "Andiamo a casa mia",
1,2,3,4,5,5,6,7, volte; avevo bisogno ancora del pieno provato: il vuoto mi faceva gridare la bocca dello stomaco, il languore forte, la mancanza mi soffocava. Mi faceva gridare frasi mai dette, frasi mai pensate, da non pronunciare.
Per non esplodere, per non urlare qualcosa che già sentivo di non poter mai pronunciare, stringevo i denti nella carne delle sue spalle:
"Ferma, sei pazza, non i lasciare i segni!"
"Sicuro, potrebbe accorgersene la tua ragazza"
"Si".
Lo sapevo: era arrivato il mio funerale.