Sperma e arena
Carlo Miccio
2500 battute

 
La prima a parlarmene fu Lidia, una matrona etrusca dalle tettone asimmetriche e sapiente nell'arte della fellatio. Mi disse che il Colosseo è immenso, e che la mia verga nubiana, al confronto, ci faceva una ben magra figura.
Non ero mai stato a Roma, e allora non sapevo ancora del filo sottile che univa la mia verga al Colosseo, un filo su cui sospeso stava il mio stesso destino.
E adesso, sostenendo su quel filo sottile tutta quest'immensa arena - che mai avrei immaginato così grande - il sole in viso e le gradinate stracolme di rumorosa plebe, cerco senza riuscire il volto dell'imperatore, il divino Eliogabalo. Ma tutto ciò che vedo è solo un crudo destino in attesa: trenta schiave d'oltremare, nude e allineate sotto la tribuna imperiale, in attesa dei miei servigi.
Le regole sono poche ma chiare: provocare un orgasmo in cadauna schiava, utilizzando unicamente il proprio membro virile, prima che sopravvenga il tramonto. Per posta la vita.
All'inizio sembra tutto facile: prima una procace babilonese, poi un'inerme ancella tebana al contempo timida e ingorda, poi ancora due berbere con cui improvviso un numero lesbo che strappa un applauso alla curva. Priapo-oh oh, canta la folla, e all'ora septima tocco quota diciannove: ho eiaculato due volte e ho ancora trenta clessidre abbondanti prima del tramonto.
Mangio della frutta e mi concentro.
Dopo la pausa, affronto in rapida successione quattro cartaginesi indemoniate, e dopo di loro due gemelle macedoni che mi strappano altro seme prezioso. Devo nuovamente fermarmi per riposare.
Al rientro è subito dura: davanti a me una siriana sdentata dalla pelle colore ocra e un culo da babbuino. Glielo infilo dappertutto, ma quella continua a ridere e scherzarmi davanti al pubblico, che adesso mormoreggia deluso: favamoscia risuona in tribuna, mentre annego tra le sue cosce e mi dimeno con veemenza, ma senza efficacia alcuna. Spingo e stantuffo, ma la troia siriana non fa una piega, anzi ride, la stronza, mentre inutilmente spremo sudore sulla sua vulva traforata, e lo stadio s'accende di osceni clamori. Sento la folla che inizia a fischiare, afferro disperato il culo della siriana e mentre ritento l'assalto avverto i sensi mancarmi e rotolo al suolo. La rena del Colosseo mi riempie la bocca mischiandosi alla schiuma della mia rabbia, la troia ride, il pubblico mi urla pederasta, il sole è al tramonto.
Eliogabalo sporge in fuori il suo pollice verso: adesso è ora di mostrare come muore uno schiavo nubiano. Sic et simpliciter.