Palline in buca
Roberto Cerisano
2500 battute

Nel 1973 l'Ajax batteva la Juve in coppa campioni Jackie Steward vinceva la Formula 1 io giocavo a palline: scrucchi e buca pallina, urlavo.
Avevo una ricca collezione: dalle banali in vetro trasparente, con farfalle di vari colori, alle più rare e preziose, tutte bianche che parevano di porcellana.
Le tenevo raccolte in una rete che mi portavo dietro quando uscivo, per avere scelta. Ma solo una era la mia preferita e ci giocavo sempre: trasparente appena scheggiata, con una bolla d'aria e la farfalla viola interna deformata. Erano tutti convinti fosse la migliore, dotata di un'intelligenza propria. Sul mercato valeva 20 palline comuni. Tutte le altre erano posta e trofeo. Testimoniavano disponibilità di gioco e bravura.
 
Si giocava dove capitava ma io preferivo il campo in terra rossa fuori dalla scuola. Lì c'era un pubblico vivace e forestiero.
Nelle partite di quartiere invece ci si conosceva ognuno come un guanto e si giocavano solo i tornei, duri e competitivi, con in palio solo poche palline ma molto prestigio.
Le partite fuori scuola erano dispute improvvisate, arene di galli in cui chiunque capitava scendeva a sfidarsi. Si incontrava un sacco di gente mai vista, di classi lontane, quelle girate l'angolo dove non era consentito andare. E c'erano un sacco di femmine e quello era l'unico momento in cui si poteva incontrarle liberi da ogni controllo.
Le femmine facevano il tifo e noi gonfiavamo il petto. Loro sorridevano noi ci lisciavamo le penne.
Vattelapesca quando, d'estate o comunque doveva fare caldo o comunque ricordo che sudavo a fontana quando lei mi aveva sorriso.
Uno di quinta mi aveva sfidato e chiesto in palio la mia preferita, che era un mito a scuola. A ricreazione ci venivano da corridoi lontani a chiedere di vederla. E mille altre volte mi avevano sfidato per la mia preferita. E avevo sempre detto no.
Ma lei mi aveva sorriso. Proprio mentre quel tizio mi canzonava per provocarmi.
Lei mi aveva sorriso e per lei avevo accettato.
Chissà che mi credevo?
Non mi credevo niente, quella è la natura che t'afferra lo stomaco e te lo tira dentro il cervello. È con lo stomaco che io ho sorriso a lei.
 
Scrucchi e buca pallina aveva urlato il tizio e subito aveva afferrato la mia preferita, per guardarla, ché non ci credeva.
Neanche a me era molto chiaro cosa fosse successo. Ero rimasto con i ginocchi nella polvere a fissare la buca vuota. Poi ho alzato lo sguardo e l'ho cercata in mezzo alla masnada. Il tizio stringeva in una mano la mia preferita, nell'altra lei.