Tiri liberi
dottor caligari
2494 battute

E al processo come ti sei dichiarato, s'informò il mio compagno di cella. Ci conoscevamo da cinque minuti: era il suo benvenuto. Balbettai senza rispondere. Ho capito, concluse: giochi con noi.
Più tardi chiesi a quale gioco alludesse. Dopodomani, disse. L'ultimo venerdì del mese. Il giorno della partita, qui da noi. Ero smarrito. Basket, chiarì: sai giocare, no?
A dir il vero non calcavo un campetto da pallacanestro dai tempi del liceo. Cosa ti porta da queste parti, volle sapere il mio coinquilino durante il riscaldamento. Be' m'hanno incastrato, spiegai: diciamo che è tutto un malinteso. Scoppiò a ridere. Ma certo, disse, e mi batté la spalla: proprio come me.
Poi mi illustrò il quintetto avversario. Dalla tua sinistra. Jerome, violenza carnale. Recidivo. Si è scopato praticamente di tutto. Anche qui dentro. Occhio alle chiappe, amico. Ramon, triplice omicidio. Gang giovanili. Fedina penale lorda a dodici anni. Noto come lo scotennatore delle periferie. Ergastolo. Nulla da perdere, tranne questa partita. Beauford, rissa aggravata. Mentre quindici agenti provavano a bloccarlo, lui stringeva in pugno il bulbo oculare di una delle vittime. Fanno già trecento chili di muscoli. Ma passiamo a Freddie. Basta così grazie, l'interruppi. Ora preferisco concentrarmi sugli schemi.
In realtà studiavo un trucco per sfuggire al massacro. Non potevo nascondermi dietro le schiene dei miei: tutti smilzi e piccoletti più del sottoscritto. Pensai che per una volta si poteva dar partita vinta: niente da fare, un secondino aveva già lanciato in aria il pallone. Pensai di simulare un infortunio: non feci in tempo, avevo già beccato una gomitata nel fianco. Mezzo piegato, cercai di non ricevere passaggi, ma in un rettangolo da basket è difficile sparire. Rimediai una ginocchiata nello stomaco, un florilegio di graffi, tre calci nelle palle. Ma fu una testata dello scotennatore a un secondo dal timeout a mettermi ko.
Entrai nel mondo dei sogni, dov'ero un pallone che rimbalzando finiva incastrato a testa in giù nel ferro del canestro. Mi svegliai e ora il male al capo era sparito: alto due metri e dieci, indossavo una casacca NBA e fintavo per una bomba da tre.
Mi svegliai di nuovo e ora un paio di guardie mi sollevavano di peso da terra e mi schiaffeggiavano per restituirmi i sensi. Il mio corpo riprese a urlare di dolore, mentre tutti mi spingevano verso la lunetta avversaria. Ricevetti palla. Nessuno mi saltò addosso. L'arbitro fischiò. Fallo a favore: tiri liberi e rimessa.