La claque
Bruno Di Marco
2500 battute

Vorrei fare un pezzo ora ma ho bisogno di un favore. Mi occorre una claque. Sapete cosa è, no? Quando c’è la battuta ridete, ogni tanto un applauso qualche “bravo”. Non è onesto, dite? E mica sono le risate finte della tv, roba precotta, finta, di una tristezza. La claque no, anzi. Vi ricordate “un’americano a roma”? “Santi Bailor” interpretato Sordi come garanzia sulla sua qualità di artista dice che il nonno ha fatto “le clacchette co’ Ermete Zacconi”, grande attore della Roma primo novecento.
La claque aveva la sua dignità e dovevi essere bravo per farne parte, dovevi saper ridere sonoramente per trascinare gli altri spettatori, applaudire a tempo con la battuta, in pratica la claque era parte integrante dello spettacolo. Era ed è legittima difesa. Legittimissima contro un nemico subdolo, infame, che aspetta col fucile puntato. Appena un attore si affaccia al proscenio lo individua al primo sguardo. Lo riconosce dalla postura tipica, dall’espressione del viso e soprattutto dallo sguardo, quello sguardo che fissa negli occhi l’attore e gli lancia la sfida: “famme ride”.
Si mette di punta, come quando da ragazzini giocavamo “a chi ride prima” e ci fissavamo reciprocamente negli occhi sforzandoci di rimanere seri. Per vincere, pensavi alle disgrazie peggiori, se serviva ti mordevi la lingua. E così questo infame che fa finta di ascoltare e invece si concentra sulle corna che gli ha messo la moglie (e ha fatto bene), sulle tasse, sulla politica, se juventino su calciopoli, magari si infligge le unghie nella carne pur di non divertirsi. Non riderebbe neanche torturato con una piuma sotto i piedi. E se una sera sono in due, che ogni tanto si scambiano tra loro uno sguardo di intesa, è una tragedia. Stanno li passivi, sanno che possono distruggerti solo con lo sguardo e farlo è il loro massimo piacere.
Io mi faccio un culo così a scrivere lo spettacolo, a montarlo, a organizzare tutto, e tu godi a distruggermi alzando un sopracciglio ogni tanto e sbadigliando? Ma ti anniento io, con l’aiuto delle mie truppe scelte: la claque. La claque che ride e partecipa e più è brava più il nemico si intimorisce, lo travolge con gli applausi a scena aperta, così che gli nasce il dubbio dentro, pensa “forse sono io che non ho capito la battuta”, diventa insicuro e un nemico insicuro è un nemico battuto, conquistato, vinto. Ci vuole la claque. Serve la claque.
E ci vorrebbe sempre una claque nella vita quando quello che hai costruito viene messo in dubbio da uno stronzo annoiato.