Folletti e... peperoni
Stefano Meglioraldi
2477 battute

A guardarlo c’era da mettersi a ridere. Un brutto nanerottolo, vestito da bambino, che agitava al vento un legnetto appuntito, canticchiando parole senza senso. E brutto, era brutto davvero, raggrinzito come una mela dimenticata troppo a lungo in una fruttiera. Orecchie a punta, naso a punta, barbetta a punta, cappello a punta: decisamente un po’ troppo appuntito.
“E’ un folletto”, direte voi, “non l’hai mica capito?... guarda, ci ha anche il completino tirolese… o forse è un nano delle favole…appena arrivato dalla terra di Iskandar! Non l’hai mica riconosciuto?”
“Sì”, risponderei io delicatamente, “non è quello il problema… il problema è cosa ci fa a casa mia, a cavallo del mio letto, un nanerottolo schifoso, per di più con una bacchetta di legno che mi punta contro?!” Senza considerare, pensai, una cazzo di zanzara lampeggiante che mi ronzava intorno incessantemente, schizzando da un lato all’altro della stanza come un proiettile, illuminando ad intermittenza l’orrida scena.
“ Ma è una fatina” direte voi, “una dolce fatina…”. Ora, mentre me ne stavo seduto, appoggiato alla spalliera del letto, cercando di ripararmi il più possibile da quegli atroci esseri, inconsapevole delle loro intenzioni, cercai faticosamente di fare il punto della situazione. Fuori era ancora buio. La sveglia segnava le 4:00. Il pacchetto di Marlboro era intatto sul comodino. Che cazzo mi ero fumato  la sera prima?, mi domandai.
Improvvisamente udii dei pesanti rumori di passi provenire da sotto, accompagnati da un intenso odore, come di legno marcio. Poi il rumore di vetri in frantumi, probabilmente il servizio di bicchieri della festa, erroneamente posto in bella vista sulla credenza. Qualunque cosa fosse, doveva essere veramente grosso. E puzzava. E di certo non era amichevole.
Voi cosa avreste fatto? Cercai di attaccarmi a quanto di più normale c’era in giro nella stanza. Scesi dal letto, schivando la bacchetta del nano, e mi infilai le mie pantofoline a forma di cucciolo. Doveva essere la peperonata che avevo mangiato: non la digerisco proprio, pensai mentre mi precipitavo verso la finestra.
Mi appesi alla saracinesca, cercando di tirarla su il più velocemente possibile. L’unica soluzione era la fuga. Sarei uscito dalla finestra e avrei cercato rifugio a casa di amici. Sarei stato salvo. Alzai la saracinesca e rimasi sbigottito. Dall’altra parte del vetro si stendeva un’immensa foresta.
Giurai a me stesso che non avrei mai più toccato un peperone in vita mia.