C'era una volta un orco...
Jacopo da Vicchio
2497 battute

L’orco Bafonchio orcheggiava giulivo nell’orto, allorquando, immantinente da loco non claro, meteoro molliccio e schifoso piombò sull’orchica capoccia causando strillame e ingiurie verso ognissanti e ognimadonne. Giastemando e saltemando l’orco non potè avere più fetida idea che quella di seder tra le zucche, ove il poco arguto topo Giobatte gaudeva sì di pezzo di putrido cacio ma facendo così medesima fine delle zucche.
Si sappia che suddetto topo, pur se poco arguto, era in gran confidenza con lo mago Astaratte, che poco in simpatia avea orchi, biforchi e fetenzìe simili.
Quale occasione, indi, per lanciargli seco brutta maledettura, causandogli le più atroci tregenda alle budella e alla panza tutta.
Così sorreggendo le suddette trippe lo orco si avviò verso l’orchica stamberga.
“Per la Madonchia delle porcazze!” eruttò l’orchica comare; “Quali pensieri travagliano il tuo pococefalo? Prima di spalmare il tu’ culo su la panca, mondalo da codella macchia assai putrefanda e assai puzzolenda. E quali atroci spetazzi escono dallo tuo deretano! pare che lebbrotici draghi sputino foco da ogni tuo orifizio”.
“Santo e putresanto il tu’ culo, o femmina; il mi’ pococefalo restò offeso da meteoro spiombato dallo nero cielo. Quando volsi i catarattici bulbi, non vidi che stelle sbriccicandule e seduto tra le zucche non udii che spiaccichìo e sputazzìo; da allora le mie trippe sembrero essere pantegane in calore. Temo la malaiattura dello mago Astaratte!”.
Tra olezzi e spetazzi nemo amico, bestia o insetto ebbe spirito sì prode da valicare codella soglia e lo povero orco, solo e tristo, dopo lo desinare si avviò a mendicare perdono dallo vendicativo mago.
Vagò giorni flatulando per le selve, incontro all’infido destino che tempi nefandi stavano apparecchiando per lui e per la stirpe orchica tutta.
Cavalcava infatti per lo querceo bosco, ardito e bello principe di rilucente armatura con bardatura degna dei reami di Persia e Iupango.
In cerca era della creatura che da giorni impestato avea la clara fonte ove pulcre dame dalla liscia e odorosa pelle  si tergeano tra ninfee e nasturzi .
Giunto che fu in una radura, non potè non avvertire tanto orrifico olezzo che l’aria tutta rendea immonda. Vista tra le selve sì orrenda bestia atta a svuotare le budella, non esitò, tra il mormorìo ammirato delle fantesche, a puntare lo splendido arco in profumato legno di libano.
Un colpo bastò, e la bionda ondeggiante capigliatura si voltò sorridente per tornare al turrito luccicoso castello.