Cam di Karale
Angelo Camba
2500 battute

Racconto ispirato al romanzo “Passavamo sulla terra leggeri”, di Sergio Atzeni.

Mi chiamo An’Helos, ma tutti mi chiamano Cam. Quindici anni fa sono nato a Karale, figlio di un incrocio fra i Cam, Iberi venuti dai mari del tramonto, e i Tond, antico lignaggio di etruschi scampati all’impero. Prima loro, adesso noi.

Da quando i punici hanno perso Karale, in molti siamo scappati. Alcuni verso nord, nel villaggio del monte sacro. Gli invasori hanno chiamato quella terra Barbagiam, ma solo perché non sono riusciti a conquistarla. Noi che siamo rimasti a sud, non possiamo mai stare nello stesso posto per troppo tempo. Loro sono spietati, ci vogliono morti e non accettano accordi. Ma è quello che ora vogliamo anche noi. Nessuna diplomazia è possibile quando è una scelta imposta.
L’ultima bardana è stata massacro. Superiori in numero, hanno torturato i prigionieri per sapere dove ci nascondiamo, ma nessuno ha parlato. Li hanno trucidati senza pietà. Quasi tutti i miei amici sono morti in quel luogo che da quel giorno abbiamo chiamato Sarda’Ra, il rumore dei sardi, la nostra voce che pur nella sconfitta ha gridato il nostro dissenso.
Non hanno neanche permesso che onorassimo i nostri morti con l’antico rito funebre. Da quando sono arrivati non ci permettono di celebrare le nostre tradizioni. Dicono che dobbiamo vergognarci, che dovremo parlare in latino e non nella nostra lingua. Ma perché noi dovremo vergognarci, che male c’è nel parlare la lingua che abbiamo sempre parlato? Anche i punici ci hanno sempre capito, poi sono arrivati loro, i romani, e tutto è cambiato.

Non so più cosa fare, mi sembra che le bardane non servano più a niente. Ormai l’isola è nelle loro mani. Inutile pensare di far cadere l’impero con le nostre piccole rivolte. Si dice che una grande guerra sia imminente, la più grande mai combattuta. I romani stanno radunando a Karale le loro navi, sono centinaia, ma c’è chi dice che saranno a migliaia ad attaccare Kartago.
All’inizio nessuno ha creduto ai punici; dicevano che una grossa minaccia incombeva su di noi. Nessuno li ha ascoltati. Abbiamo permesso che la nostra città e l’intera isola cadesse sotto il dominio dell’impero. Ora voglio partire e raggiungere Kartago, voglio difendere quella città. Ho paura, mi chiedo cosa mi aspetta, ma non c’è più scelta. Solo la salvezza di Kartago potrebbe farci ritornare ad essere padroni della nostra terra.
È il momento di salutarci Loi, amico mio stimato. Ora anche tu sei un custode del tempo, racconta la nostra storia e, se puoi, racconta anche che io sono esistito nel segno della speranza.