Di cappa e spada
Non lo videro – il destino – in quel fuoco. Il cupo ruggire tumido sapeva di rabbia. Di rabbia e pioggia. Pioggia che cadeva, sfrigolava sulle fiamme e svaniva nell’attimo di solida tenebra rotto dall’incontrarsi di spade. Spade nate dalla stessa mano per incontrarsi quel giorno. Per finirsi in quel giorno. Era emersa dal buio splendente di un rogo vicino, quella lama, per lancinare la notte di colpi e dissetare di vendetta il suo filo. E per lo stesso scopo era attesa. S’intricavano in una ragnatela argentea, e nel loro palpito ferreo risuonavano due cuori. Due cuori a battere per la stessa fiamma. - L’hai uccisa, vile! - - Si è uccisa! - Si fermarono. Occhi scuri, abiti di raffinato nero e bianco uno. Occhi azzurri, panno blu di cavalleria l’altro.
- Lei ti amava. - Dietro allo scuro degli occhi il suo amore, spento ancor prima di nascere, covato per una vita, negato. Dietro all’azzurro degli occhi il silenzio, l’errore, il rimpianto, l’onta, la rabbia. Doveva partire, era la sua vita, il suo destino, la sua scelta; lei non l’aveva capito e quel momento rapito d’un bacio non l’aveva voluto rimpiangere, aveva troncato così il ricordo in un rapido grido ed un volo, concluso sotto il balcone, tra i mirti, per terra.
Davanti allo scuro delle pupille il bagliore argenteo del ferro e il clangore. |