Estate
Francesca Campanozzi
2499 battute

   Trovammo la buca solo cinque minuti prima del coprifuoco.
   Era stata Ben, naturalmente, a scorgere quella strana fessura tra i mattoni e a capire che eravamo riusciti a individuare il punto che, sulla mappa, corrispondeva alla x, il punto dove si trovava il tesoro. Il fatto che fosse nel muro di cinta della nostra villetta al mare non ci parve strano, ma ci sentimmo parecchio stupidi per non esserci arrivati prima.
   Mia cugina Verbena si chinò per verificare di averci visto giusto, scostò leggermente uno dei mattoni che sembravano essere messi lì a casaccio fino a sfilarlo del tutto e i suoi occhi incontrarono il buio di una piccola e umida fossa.
   “Ci siamo”, sentenziò soddisfatta levando lo sguardo su di noi. Con gli occhiali impolverati e il viso abbronzato a così poca distanza dal suolo, pareva una talpa appena uscita dalla tana.
   Gli occhi di Diego mandarono un lampo. “Infila la mano e tira fuori la roba, cosa aspetti?”
   Ben scosse la testa e si alzò in piedi rassettandosi il vestito rosa ormai malconcio. “Il buco è troppo piccolo e noi non abbiamo più tempo.”
   “Mancano ancora cinque minuti, stupida, il tempo lo abbiamo.”
   Mi sentii in dovere di intervenire, più per il timore della punizione che mi sarebbe toccata se avessi fatto tardi che per difendere mia cugina, cui tenevo molto meno che a Diego, il mio migliore amico delle vacanze. “No, dobbiamo essere a casa alle sei per fare la doccia.”
   Diego mi lanciò un’occhiata carica di disprezzo e io mi vergognai.
   “Dai, ora sappiamo dov’è, possiamo scavare domani”, buttai lì.
   “Al mattino andate in spiaggia”, decretò lui con freddezza.
   Io chinai lo sguardo e Ben riprese la parola sicura di sé, come sempre, anche se lei i dieci anni li aveva appena compiuti. “Ci troviamo qui domani alle tre con le palette di plastica.”
   Diego si strinse nelle spalle lasciandoci intendere di averlo annoiato e che, fosse stato per lui, avrebbe scavato a mani nude portando alla luce il tesoro senza tanti complimenti. Ci mollò lì senza neanche salutare e trotterellò verso casa.
   A quel punto Ben stracciò la finta mappa e la lasciò cadere a terra, calpestandola. “Non ce lo voglio, Diego, nel nostro gruppo.”
   “Ma è mio amico”, obiettai seguendola verso il cancello di casa.
   “La mappa l’ho trovata io, quindi decido io”, fece lei impietosa, mentre la sfilava di tasca con delicatezza e osservava il teschio accanto alla x e alle misteriose parole SC RADIATT quasi del tutto illeggibili, ormai.
   “Va bene”, mi arresi seguendola dentro. “Ci andremo solo noi due.”