Marta, la gatta
Diego Pizzorno
2496 battute

“CHIUDI LA PORTA PA’! LA MICIA E’ DIVENTATA MATTA, ED ENORME!“
Ma non sentii alcuna porta sbattere, solo tonfi e oggetti cadere. Aprii allora la mia, infilai il corridoio e, svoltato in fondo, quasi ci picchiai contro. Il pelo bianco, quasi lucente e tutto gonfio, Marta, la gatta, ora alta quanto me, impegnava mio padre in una complicata lotta greco-romana. Superato l’assurdo, balzai ad afferrarle le spalle, poi mi buttai indietro, e, cadendo a terra, mi franò addosso, a peso morto. Ci fu un suono, come di sciabole sguainate: quelle unghie, che ora dimenava furiosa, pancia all’aria.
“CHIUDI!“ gridai a mio padre, che già aveva chiuso la porta.
Marta balzò a terra, a un metro da me, sulle quattro zampe, ed io scattai in piedi, brandendo una sedia. Era ora una corrida e Marta mi girò intorno, sbuffando come un toro.
“MALEDETTE CROCCHETTE!” feci allora. E quella, pressandosi le zampe sulla pancia, ululò risate spaventevoli, di voci da film horror, prima di poggiare lenta, di nuovo, le zampe anteriori a terra. Aveva occhi rossi e un furore sul muso. Spiccò un salto, felino per davvero, ed io, che, temendo di ferirla, avevo gettato a terra la sedia, avvinghiato, fui travolto. Capitava spesso di avere il suo muso umido sulla faccia, ma mai come allora. Tentai di respingerla, ma mi rimase aggrappata, anzi s’artigliò e le punte delle unghie, acuminate, mi s’infilarono nella schiena. Che male! Avrei certo fatto meglio a chiamare il 113!
S’alzò, tenendomi tra le zampe come una fisarmonica. Dovevo pesarle troppo, perché barcollava. Gl’artigli erano spine troppo dolorose per una qualche reazione, e Marta avanzò incerta. Quando rinfoderò le unghie, piombai sul divano. Nella botta, avvertii sollievo e dolore. Marta mi guardò, ridendo ancora, con tutti i polmoni, poi girò verso il corridoio, la mia camera e il mio letto. Tutto perché, andando a dormire, avevo voluto chiuderla fuori dalla porta.
Andai alla riscossa. M’avventai ancora sulle spalle e la sballottai per la stanza. Sentendo fischiare l’aria, capii che allora m’avrebbe graffiato sul serio. Ormai sul punto di divincolarsi, la scagliai contro la parete, e due quadri ondeggiarono, uno si infranse. Caricai allora il pugno, alzando il braccio come un supereroe, e mi gettai, a testa bassa, contro Marta, che si voltò in un ghigno. Nel bianco del pelo, s’accese un bagliore accecante, una luce fortissima. Scagliai in aria il cuscino e il lenzuolo. Su di un fianco, boccheggiante e sudato, diedi il mio buongiorno al mondo.