La Fedelissima
Roberto Celani
1911 battute

La Fiat 500 si arrampicava lentamente lungo il passo delle Capannelle e i tornanti della Piceno-Aprutina scorrevano lenti sotto il passo del volitivo insetto ronzante.
Il brontolio del motore sotto sforzo era la consueta colonna sonora del viaggio.
Tornare al luogo d'origine per la mia famiglia aveva il solito copione.
Eppure incollavo uno sguardo sempre impaziente al finestrino mentre si sgranava il rosario dei paracarri bianchi e neri lungo il ciglio della strada.
I miei occhi bambini attendevano con ansia l’ultimo bivio. Ancora pochi metri, un'ultima curva e il profilo della Fedelissima sarebbe comparso davanti a noi, con l’immutata fierezza di un tempo.
Eccola lì, ora la vedevo: un transatlantico arenatosi tra le colline sopra un terrazzo di travertino.
La piramidale schiera di fitte costruzioni, sembrava sostenere e difendere la sommità dell’altura e i resti della fortezza che dominava da sempre le terre di quel lembo d'Abruzzo.
Con le spalle all'Appennino e lo sguardo verso l'orizzonte liquido del Mar Adriatico.
Civitella del Tronto doveva essere apparsa così anche ai diversi eserciti giunti in prossimità delle sue mura nel corso dei secoli.
Baluardo settentrionale dell'ex Regno di Napoli, con le sue pietre consumate, evocava i lunghi ed inutili assedi e le strenue resistenze che gli erano valse l’appellativo.
Al termine dell’erta finale, il varco di Porta Napoli, c’introduceva in un piccolo mondo perduto, fatto di affetti e familiarità.
Ma per me era anche l’accesso ad un fantastico universo cavalleresco nel quale la mia fantasia cittadina trovava praterie per poter galoppare libera.
E così, tra appiccicosi baci di zii e nonni, diventavo un impavido eroe in calzoncini corti. Salutato dalla guarnigione con scoppi di archibugi, onori militari e vessilli innalzati al rullar di tamburi.
Un condottiero coi denti da latte, ma con l’incrollabile certezza di non accettare mai la resa.