Valzer d’Aprile
Stefano
2463 battute

Non il viaggio, quanto il sogno.
Nel ballo un vorticare d’idee, avvolte in musica.
Un passo, due passi, su note di valzer.

Da bambino sognava di navi, di paratie e sartiame. Da bambino sognava il respiro di una vela, il suo stendersi e palpitare di una maestà di vento.
Nella sua mente, il mare era acqua carezzata da una luce diffusa, sotto un cielo latteo, solcato di albatri. Nella sua mente una nave era un legno silenzioso, possente; una nave era un’idea che travolgeva una lenta scia di onde.

Il ponte del piroscafo scintillava della luce calda dei lampadari, e poi la musica, quella musica.
Rotta verso Ovest, e un trascinante valzer di sottofondo.
Sapeva, o almeno una parte di lui sapeva, che c’era l’assoluto bisogno di lucidità, o quantomeno di tristezza… ma la musica, quella musica.

Da bambino non sognava le navi, sognava l’idea della nave, la pura essenza. Quando s’imbarcò come marinaio, la prima cosa che vide fu il ferro. E poi le fiamme. La prima volta che s’imbarcò, chiese di essere portato nella sala macchine.
Non c’era vento a muovere il legno, ma fuoco a muovere acciaio. Eppure era esaltante l’urlare degli ingranaggi, le facce nero inferno dei macchinisti. Il mare non poteva più fermarla. Un monumento all’uomo, una forza che urlava agli dei la sua furia.

Il ponte del piroscafo, dell’enorme massa di legno e acciaio e fiamme, oscillava alle correnti di un mare freddo. La musica rallentò e assunse un movimento largo e magnifico. Le mostrine della divisa luccicavano sul blu del panno. Immagini a sprazzi, come di sonno.
Nel secondo grande viaggio, solo allora, si fermò a guardare il mare. Non era luce, ma ombra e scoprì il fascino di una muta danza difforme, del sentimento che muoveva le onde alterne, come pensieri di una mente immensa.

Era lui a ballare, o la nave? Gli scossoni erano quelli da stallone, forti e sulla musica l’ululato del vento. Seguì il valzer e le immagini.

Nel terzo grande viaggio, la vide ballare sul ponte e non ebbe il coraggio di dire una sola parola, seppe solo ascoltare il silenzio del mare. E fu un’ombra che rimase intessuta di luna e d’argento, tra i sogni.

Il valzer lo muoveva e muoveva lei, assurdo e armonioso come l’acqua salata, come i barbagli di ghiaccio, là fuori. Un ribollire cupo, vicino. Una serie di note in crescere e vorticare, che li strinse assieme e forse fu un bacio, forse fu solo follia. E poi, alla fine del viaggio, sorrise.

Il Titanic affondò la notte tra il 14 e il 15 Aprile del 1912