Il viaggio più lungo
Alfredo Bruni
1907 battute

   Alle 8,40 la nave Santa Immacolata del Gesù, salpò per le Indie lontane. Spense il televisore e schiacciò nella mano il pacchetto vuoto, per buttarlo nel cestino.
   Da due anni, i suoi unici viaggi erano quelli da una stanza all’altra dell’appartamento.
Terminò la sigaretta e viaggiò fino al bagno.
   I capelli incominciavano a ingrigirsi sulle tempie. Li ravviò, con un gesto che non faceva da tempo. Da quando lei era salita sul taxi sotto casa, col biglietto della nave nella borsetta.
   Da allora solo Ugo era entrato in quella casa, portandogli dal centro commerciale dove lavorava, le poche cose che gli servivano. Le sigarette e la birra, innanzitutto, poi qualche scatoletta di tonno, un po’ di pasta, il pane.
   Alle nove lo aspettava una partita a scacchi col computer. Nello specchio vide una persona ancora viva. Si masturbò senza provare piacere, e uscì dal bagno. Il raggio di sole illuminava la polvere, che leggera levitava nell’aria. Sembrava una strada che bisogna seguire.
   Scese in fretta i ventotto gradini, e quando fu sul marciapiede, il mondo sembrava un vortice che stava per inghiottirlo. Attese il verde e attraversò la strada. Una paura strana, insidiosa e sottile, faceva di tutto per paralizzarlo.
   Al bancone del bar, per fortuna, c’era Angelo. Si guardarono, ma Angelo non fece domande. Tutti e due pensavano all’infanzia, che insieme a Ugo e agli altri, avevano vissuto giocando in quelle strade.
   “Fammi un caffé e prestami qualche spicciolo per l’autobus.”
   “Hai deciso di partire?” chiese Angelo, riemergendo dal vapore.
   “Vado da Ugo, al centro commerciale.”
   Il 46 non era affollato, ma lui restò in piedi, a guardare fuori dal finestrino. Scese dopo dodici minuti. L’insegna era grande e scintillava al sole. Il cuore gli batteva forte dentro il petto e gli sembrava di aver viaggiato un secolo. Felice varcò la soglia, dove la porta di vetro si apriva da sola, senza bisogno di bussare.