Lettera di un cassiere suicida
Come mi ero svegliata, con la testa sottosopra dal malumore, mi ritrovavo ancora dopo un paio d’ore nel mezzo di un ingorgo
alla periferia di Napoli, sotto un cielo bianco e compatto. In genere ascolto musica ipotizzando che in un futuro non troppo
lontano, attoniti ominidi scrutino i fotogrammi sfocati di guerriglie consumate dietro cortine di vetro. Demoniache trappole
di latta che scivolano su gomme oltre che sui binari del nostro tempo già infinitamente limitato. Eppure ieri mattina, questo
pensiero sulla vita segregata nel traffico, non mi ha sfiorato. Rimuginavo sulla lettera di un cassiere di un supermercato, riportata
da un quotidiano locale, dove descriveva le ragioni del suo imminente suicidio. Questo ragazzo di 23 anni era alienato e irrispettoso
di logiche autoconservative. Parlava di bip!Bip!Bip come di una nota stonata conficcata nella corteccia del suo cervelletto, luogo
dei cattivi ricordi. La paragonava ad un punteruolo spinto nel suo cranio da una mano invisibile. Si riferiva al rumore dei prodotti
che passano il vaglio del codice a barre. Bip davanti, bip di dietro. Miliardi di bip a fargli sordidamente compagnia. I suoi bip
insieme a quelli degli altri cassieri più la luce a neon che ti spara sulla pelle come una mitraglia. Diceva che quel bip aveva la
meglio su ogni altra occupazione della giornata. Raccontava anche di cibo e confezioni colorate trascinate per ore su un tappeto
nero. Oggetti da scrutare insieme a miliardi di acquirenti a cui formulare sempre le stesse sorridenti
domande: “Ha la tessera?” “Busta?” “Carta o bancomat?”. E poi sequenze di bottiglie abbattute come birilli dalle strattonate di quel
tappeto nero. La lettera si concludeva con una nota di inconsolabile tristezza sulle offerte promozionali. Il ragazzo diceva di
nutrire un senso di colpa sotterraneo. Sapeva infatti che ogni cibo in offerta promozionale era più deteriorato degli altri, per una
ragione o per l’altra, ma lo spirito di appartenenza alla sua azienda, gli proibiva di allertare amici e parenti. E così li vedeva
sempre più malati e poveri. Diceva di prefigurare solo caos e di non saper più collegare un significato alla parola limite. Infine, immaginava
l’intera umanità catapultata in un futuro senza povertà, lentamente rimpiazzata da un’unica immensa ricchezza nelle mani di faide
esaltate. Poi la firma: Bip! Bip! Bip! |