COGITO ERGO SUM?
Alessandro Alessandrini
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Certe volte proprio non capisco per quale motivo la gente non mi apprezzi e anzi mi scosti come un animale pericoloso, va bene, sarò pure un tipo un po’ particolare, magari strambo ed esibizionista, probabilmente egocentrico e un tantino menefreghista, sicuramente amante della vita e della buona tavola e nel contempo troppo spirituale e etereo per apprezzarne appieno le loro materialistiche qualità, fermo restando che il sesso è tra le cose che più cerco e contemporaneamente quello che più mi preoccupa per il suo disgustoso modo di avvilupparti un po’ come le gambe delle donne nell’atto stesso dell’accoppiamento, anche se d’altronde mi chiedo, borghesemente e retoricamente, per quale motivo queste stagioni stiano cambiando, impedendomi di capire come vestirmi senza correre il rischio di contrarre un raffreddore, ma freddo veramente, un po’ come le rotaie del tram, che vanno, vanno, vanno, per poi arrivare sempre nello stesso punto, per poi ripartire, per poi arrivare nuovamente e perdersi comunque dietro quell’angolo, dove sono stato proprio ieri, avanti e indietro, avanti e indietro, camminando come fanno gli struzzi nella savana, senza mettere la testa sotto questa terra nera, che però lì è gialla, solo qui è nera, nera come il sigaro di questo gentil signore che mi guarda e mi riguarda e al quale non posso fare a meno di dire quanto siano marci i vigili urbani, i politici, i lavavetri che mi hanno fatto impietosamente giungere al punto di riflettere in tal guisa che poi rispecchia in qualche modo il pensiero comune della gente, gente di qua, gente di là, in preda a questo bisogno di comprensione, di amore e nel contempo di fregare il prossimo, che poi sarei io o voi tutti, perché dandovi del voi mi distacco come una navicella spaziale che naviga nell’immenso blu metalmeccanico delle tute operaie, punticchiato dalle stelle, lontane e inavvicinabili per me che invece nuoto nell’azzurro del cielo, interrotto solo da quell’ovatta che mi ricorda i tempi di quando andavo a scuola e mi chiedevo quanta strada avrei fatto da grande, grande come l’albero nel giardino, ma ero ancora un germoglio verde e non sapevo, potevo solo sperare, immaginare, cantare, ballare, sollevare il mio animo fino al punto più estremo della fantasia umana e poi cadere improvvisamente sulla terrena realtà di questo mondo che continua a massacrarmi il cervello, facendolo muovere lungo questi tortuosi sentieri, senza mai mettere un punto, solo virgole, virgole, virgole