Anche giovedì
Marco Berrettini
2500 battute

Tolgo la schiena dal freddo cemento della galleria e mi sdraio su un marmo suadente impreziosito da titanio.
Oche, pernici, ombrine e squame di orata avvolgono il mio viso in una carezza salmastra.
Anna si abbassa la gonna, riallaccia gli stivali, io le guardo il cielo.
Nuvole rosate segnalano il tramonto.
Mi accendo un mozzicone sbavato di rossetto, scavo nelle tasche del cappotto.
Trovo tutto il nulla che cercavo, mi alzo e corro verso le scale mobili, il vento del deserto mi graffia i lobi.
I suoni pirotecnici di un flessibile sulle rotaie del tram m’incantano, mi siedo sul marciapiede sgranocchiando un vecchio biscotto e osservo i due uomini all’opera.
Il più giovane ha le mani sui fianchi e il casco giallo sollevato dalla fronte sudata e annerita, l’altro ha le maniche rimboccate, un ginocchio sull’asfalto, i bicipiti in tensione, la pancia molle straborda dal gilet arancione.
La borsa di New York è in picchiata.
Sopraggiunge una vettura della linea 14, scampanella e i due si interrompono, rimuovono il cartello di pericolo, uno si accende una sigaretta, l’altro si attacca al cellulare.
Sgranchisco un po’ le gambe, tra poco ci sarà il secondo atto.
Adoro queste performance urbane.
Ecco, ora è il ragazzo ad inginocchiarsi e dalle quinte entra un terzo uomo, un belloccio inguainato in un’uniforme azzurra.
Guanti bianchi, cappello a tuba smussata, piglio sostenuto, parla in maniera concitata, i due non lo ascoltano.
Entrambi telefonano, lui alza il tono, altre comparse si accalcano, suonano le sirene.
Un pinnipede partorisce nell’arcipelago toscano.
La folla applaude.
Lo spettacolo è terminato, mi alzo, mi giro, un muro di gente è fermo al semaforo rosso.
Io attraverso mostrando i pugni e grattandomi i genitali, è un codice condiviso, è come se fosse verde.
Ho caldo, entro in un bar ordino un’aranciata amara, me la servono in un bicchiere di carta.
La donna dietro il bancone gioca col piercing del sopracciglio e mi fissa arricciando il naso, poi esce e mi spinge verso la porta.
Recito Trilussa in versione Rossellini, punto i talloni e arraffo dei cioccolatini da un espositore, rovescio la bibita sulle calze optical di una studentessa che mi mostra il solco dei glutei, tolgo il pastrano e lo dono a Melchiorre.
Cammino all’indietro fino al nido della mia infanzia, raccolgo una cicca, la mastico.
Cannella e catrame.
Sorrido, chiudo gli occhi e ricompare il rosa e ricompare il nero.
Anna riannoda la felpa sui fianchi.
Anche oggi ho finito.
Domani è venerdì, alle cinque vado al mare.