Porfiria
Antonio "Zì 'Ntonio" Liccardo
2500 battute

Corridoio buio. Busti, quadri e mobilia.
Una porta di acero chiusa. Accanto una finestra adornata da una notevole tenda.
«DOTTORE!»
La porta d’acero si spalancò e una donna in veste da notte corse via con in una mano un candelabro d’argento a tre braccia, provocando una folata di vento forte da animare la tenda.
Le candele illuminarono i busti: uomini dall’aspetto fiero. I quadri raffiguravano scene vittoriose. Il profumo del legno fresco dei mobili si mescolava a quello della cera sciolta delle candele.
La donna ansimava tenendosi con l’altra mano la lunga veste candida per non inciampare correndo. Le tremava il volto. Per il bagliore. Per la preoccupazione.
Voltato l’angolo, un lungo drappo verso un portone enorme.
«DOTTORE!»
Con quell’urlo porta e tappeto parevano una bocca bramosa con lingua di demone.
La donna rallentò, disgustata, proseguì comunque. E aprì la spessa porta.
La stanza, da letto, ospitava al centro un’alcova di dimensioni imponenti e sopra questa una coperta raffinata: in subbuglio e imbrattata di sangue.
«Maestà» guaì la donna che trattenne un singulto.
«Chi ti ha chiamato, serva?» gorgogliò rabbioso l’uomo a letto, ansimando come fosse uscito dall’acqua poc’anzi.
«Vado a chiamarvi il dottore, Maestà» fece la donna. Non appena si girò, trasalì.
Qualcuno, immobile, sulla porta, le disse: «Potete andare», e la domestica scappò via.
«Dottore!» piagnucolò l’uomo a letto, «Di nuovo membra e fame son in subbuglio!» e sputò grumi scuri sulle lenzuola ricamate.
«Mantenete la calma, Maestà» intimò l’altro, con occhi di pietra. «Diversamente, terrò inopportuno somministrarvi la cura» (l’uomo a letto non reagì a questo) «e nutrirvi».
«Bramo! Bramo il vostro cibo!» ululò Sua Maestà, emettendo animaleschi versi.
«Orbene?», chiese il dottor. Willis, senza emozioni.
«Sia la cura!» fece adirato il re, ma continuò libidinoso «e sia il mio vitto
Rigido, Willis gridò nel silenzio «Pietanza al re!», quando somministrò un calice al re, il quale bevve d’un fiato e scagliò lontano la coppa.
La serva di prima tornò piangendo con un vassoio coperto. Il re annusò e sbavò bile e sangue.
La donna alzò il coperchio e rivelò una lepre. Impaurita. Viva.
Il re balzò sull’animale, squartandogli l’addome con un morso e ricavandone le interiora con le dita artigliate. Liquidi e budella colavano sul letto.
Willis gelidamente prese nota e scrisse:
“La Pazzia di Sua Maestà Re Giorgio III di Hannover peggiora.
Ed è continua la mia cura d’Antimonio.
Dr. Willis, Palazzo Reale, Inghilterra, 1789 a.d.”