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Di seguito sono pubblicati i contributi inviati per la Macchia di Gennaio.

Grrr…ancora un momento , grattami li’ sotto il collo, vicino
alle orecchie , baciami ancora, fidati dai non ti graffio , lo sai ormai
mi conosci quando apri la porta per te sono come un pupazzetto di
pezza senza spina dorsale.Ora time out , lasciami andare non stringermi
, uffa stronzetta ho fame , arrivi sempre più tardi chissà
dove vai oltre la porta, odori di cane che schifo , cosa hai portato
di commestibile , miao , grrrrr , dai apri l’armadietto lo so
che le metti tutte lì ste benedette scatolette. APRIMELA mmmh
pesce , crudo o cotto ne mangerei a quintali ora si che và meglio.
Resto, ti tengo compagnia , che faccia stanca che hai , mi metto qui
sul tavolo ho già un po’ sonno però non ti lascio
sola .
Finisci presto così giochiamo un po’ . facciamo che io
corro il più veloce possibile e poi mi
nascondo e tu mi devi rincorrere e scovare.
1,2,3 via vrrrruum che derapata , come sgommo io sui tappeti nessuno
e’ capace , brava lascia aperta la finestra e rincorriamoci sul
terrazzo così puoi fare quella faccia da infartata quando mi
metto in bilico sulla fioriera con quattro piani di volo sotto di me.
Tanto non cado, ho l’impressione che l’unica squilibrata
qui dentro sei tu quasi penso che mi porti nero ,me li dovrei toccare
se ancora ce li avessi i gioielli , no non ce l’ ho con te ma
quando ero piccolo sai quanto ghignavo tutte le volte che hai guardato
di sotto quando non mi hai trovato e pensavi che avessi preso il volo.
Basta ora se vuoi puoi andare a vedere la scatola che fa’ luce
e rumore se ci sono palle di pelo che fanno versi vengo anch’io
altrimenti sai dove trovarmi sul pile in fondo al letto. Ronf,ronf ,
sei arrivata , fai pure accomodati, svegliami, toccami, stropicciami
tanto sono ancora nel dormiveglia . Tutto spento ronf, ronf . Ho un
sogno ricorrente, un cazzo di passerotto che finalmente plana sul terrazzo
dopo mesi di appostamenti e lo studio , mi muovo al rallentatore e lo
spio, mi si sono anchilosati gli arti a stare tanto appostato ma per
il balzo non
e’ mai il momento giusto e poi mi sveglio. E’ ancora buio
, tu dormi ti arrivo vicino lo so che non
ti sei ancora abituata a questi miei appetiti notturni ma che ci posso
fare se non ho autonomia sino
al mattino. Mi guardi , ti stropicci gli occhi, un fatto non ho mai
capito perche’ mi chiami Macchia
se sono un gatto.
Il fatto grave + è che uno scrittore con l’hobby della
scrittura e del pollo allo spiedo con rosmarino, ci crede pure che gli
alieni esistAno. Così come esistono le regole grammaticali, i
drammi esistenziali, le corsie autostradali, i motivi nazionali, i vol(T)i
elettorali e Giordano Bruno. camminando nei tombini della mia città
odiata da Dio e dagli angeli con teste mozzate, ma con sette capezzoli,
notai il volto di un garofano calpestato da preti con tuniche che mi
ricordarono armature cavalleresche. “Vieni con me!” e dicendo
ciò, IL FUNGO LSD afferrò il fiore ormai privo di acqua
e sperma. Lui era potente, mastodontico, onnivoro, truculento, simile,
purpureo, fragile, ammaestrato, arancione, sangue blu, nobile, comunista,
proletario, manifestante, anarchico, freack, trandy, popolare, populista,
schematizzato, incasellato, giocava ad essere libertino, giocava ad
essere artista, SI PENSAVA FOSSE LIBERO COME UN FETO, snobbava gli snob,
snobbava gli attori televisivi, snobbava tutto e tutti, snobbava il
suo lavoro, snobbava le sue amicizie, snobbava gli operai, snobbava
i padroni, snobbava le donne, snobbava le amanti, snobbava chi non era
artista, snobbava i centri sociali, snobbava le università, snobbava
i professori, snobbava i reazionari, snobbava il popolo di Seattle,
snobbava il Presidente, snobbava la bandiera, snobbava la mafia ma non
capiva che ci faceva parte. Il boa SOMIGLIANTE AD UNA MEDUSA gli rispose:
“oggi in questura alcune prostitute hanno corrotto marescialli
con bocchini gratuiti e sborate in bocca CON INGOIO!”. Il maresciallo
trascrisse tutto sulle pagine di un taccuino, il giorno seguente LO
spedì ad un editore che, fiutando l’affare, decise di pubblicare
il saggio non logico. Il risultato fu esaltante: otto edizioni, traduzione
in tre lingue, il maresciallo si suicidò e l’editore pianse
in diretta televisiva costringendo i telespettatori ad acquistare il
libro-rivelazione. La moglie si fece un secondo marito, ACQUISTò
SICUREZZA E SPERIMENTò IL RAPPORTO ANALE CON GRADITO SUccESSO;
IL MARITO NOVELLO ERA un attore conoscente del maresciallo (anche lei
ormai era entrata nella Famiglia). Il matrimonio si svolse nel giorno
di Pasqua TRA ULIVI E PIANTI DI DONNE, nella chiesa di un paese sperduto
ai confini della torre di Babele. Gli invitati avevano il sorriso di
carta ed i pensieri borghesi ed ipocriti di chi si mostra alternativo
e libero. Di chi condanna la società e piange davanti ad un negro
che chiede elemosina ma la sera organizza feste PER AMICI CHE SI FInGONO
POVERI PER PUDORE DI MOSTRARE E PER PAURA DI OFFENDERE IL PARTITO ANARCHICO,
feste musicate da watt familiari in casati ottocenteschi all’insegna
di colacolabirracocainaerbapizzadolcicandelecolorateincensitenderosseso
ffittiimmensiorgeperdimenticareenuditàdichinonhascaledivaloriediamicizie
(comedittaturelegalizzate) e filmnonpopolari in vhs affittati da blocbaster.
“ma guarda io amo il cinema, non i film natalizi che quella non
è arte precisiamo!”, “è vero, è vero,
qualsiasi cosa tu dica è vero che non mi va di pensare”;
“io adoro fellini ma anche questi b-movie che ora sono così
rivalutati, certo non li ho mai acquistati, ma un mio caro amico, caro
amico quanto te non preoccuparti, dicevo questo amico ne ha molti, li
copierò da lui che li acquista da quando è nato”
e l’amico prese ascia e mitra “da fucilare e gettare al
rogo con i loro figli nati morti!” e detto ciò sparò
mitra di proiettili nella folla, non riuscendo a colpire nessuno. il
pavimento si. Dipinse. Di. Blu. Ed i topi. Vennero alla luce proprio
nel momento in cui la

Io frugo nei cassonetti. I cassonetti dell’immondizia. Questo
è il mio lavoro. Ogni giorno, quando cala il sole, inizio metodica
il mio giro. Quattro tappe obbligate, se non trovo niente mi allontano
un po’ di più, ma è quasi inutile, vuol dire che
la giornata è rovinata.
Come me. In questo periodo ne sto tenendo d’occhio tre a ridosso
di due bei palazzi appena terminati. Stanno consegnando le chiavi degli
appartamenti. E più di qualche famiglia si è già
trasferita. Occorre essere vigili e attenti. Gli operai scaricano mobili
e accessori e buttano di tutto. Dai fogli grandi di carta da imballaggio
a scatoloni, elettrodomestici vecchi, tavole, sacchetti di viti e chiodi,
barattoli di vernice ancora chiusi... è una manna.
Questa è la prima fase del trasloco. Poi aspetto le buste della
padrona di casa. Quando le famiglie traslocano si fanno prendere dalla
frenesia e scartano qualunque cosa: vestiti, stoviglie, soprammobili,
scarpe, giocattoli, libri... Tutto deve essere bello e nuovo. Quindi
il mio lavoro diventa frenetico. Corro lì con delle buste di
plastica grandi che riservo per queste occasioni e carico quanta più
merce posso. Faccio la spola tra la mia baracca e i cassonetti, e trasporto
di tutto.
E’ una fatica immane. Vado e vengo parecchie volte e devo sbrigarmi
perché non sono la sola ad aver notato il trasloco. Polacchi,
ucraini, zingari col furgone, barboni vari si aggirano nel piazzale
come falchi sulla preda. I polacchi sono i più agguerriti. Si
telefonano ed in qualche minuto c’è qualcuno di loro che
arriva con la macchina e prende le cose più pesanti e belle.
Non posso farci niente. Oggi c’era una specchiera antica; la guardavo
affascinata, non era rotta, chissà perché l’avevano
scartata.
Ho provato ad alzarla ma era troppo pesante per me. Si è fermata
una macchina ed è sceso un uomo, l’ha vista, ha aperto
il portabagagli ed in un attimo è ripartito. Avessi qualcuno
ad aiutarmi! Ora i polacchi sono gentili con gli altri solo se hanno
birra da offrire, gli ucraini sembrano migliori, ma si aiutano soprattutto
fra di loro. Eppoi io sono una donna e devo sempre stare attenta. Niente
gesti di amicizia, niente confidenze, linea dura. Non si sa mai. Sono
stata violentata già due volte. Mi basta. Niente denunce e tribunali.
Tanto è lo stesso. Ma quando vivi come me, l’orrore te
lo tieni e basta. Questa è la mia vita. Stasera frugo tra le
buste che i nuovi inquilini hanno portato giù. Mi compaiono fra
le mani due mantelle nuove, una azzurra e una nera. In uno scatolone
trovo piatti di porcellana inglese, cinque bicchieri, due mestoli d’acciaio.
varie posate scompagnate, diverse bottiglie di profumo quasi nuove,
vestiti che appartenevano a due bambine, una intorno ai dieci anni e
l’altra di sette od otto. Eppoi camicie da uomo, golf e pantaloni.
Biancheria da donna trasparente. La signora è giovane. Sicuramente
lavora e va sempre di fretta. Non avrebbe scartato tutte queste cose
“preziose”. Ed è pure sciattona. I maglioncini delle
bambine sono nuovi ma già infeltriti. Li ha lavati in lavatrice!
Nella mia vita precedente sono stata una moglie ed una mano attenta,
le conosco queste cose. Ed il marito gioca a tennis, escono infatti
da un sacco nero le magliette, le scarpe e una vecchia racchetta. La
famiglia si è presentata: due genitori giovani, entrambi professionisti
(lo vedo dai vestiti), devono essere architetti od avvocati, chissà,
e la bambina più grande frequenta la quinta elementare... ho
trovato il suo diario ed il suo vecchio zaino che lo confermano. Mentre
sto frugando nella loro vita arrivi tu. Ciao Silvia, come stai? Ti strusci
sui miei polpacci ed aspetti che ti accarezzi la schiena. Ci incontriamo
spesso noi due. Ricordi la prima volta? Avevo fame, non avevo più
soldi, ero andata ai cassonetti ancora una volta, disperata nel tentativo
di trovare qualcosa da mangiare. Ed ecco il miracolo. La pescheria aveva
buttato tre cassette di pesce non ancora marcio. Non credevo ai miei
occhi. mentre tentavo di recuperare gli esemplari più integri,
sei comparsa tu. All’inizio mi hai davvero spaventata, miagolavi
disperatamente, poi ho recuperato un pesce e te l’ho offerto.
Ti ho guardata a lungo mentre mangiavi con grazia e perizia evitando
tutte le spine. Mi sentivo triste, nonostante tutti quei merluzzi e
triglie che per un momento è stato come se mi fossi spiata dall’esterno.
Vedevo una barbona di mezza età con folti capelli grigi, stanca
di esistere, che frugava nell’immondizia per sfamarsi. Come un
animale. Come te. Ed in quel momento (c’era la luna) mi è
venuto in mente Leopardi. Chissà perché. Reminescenze
scolastiche. nella mia vita normale, prima del buio, ho studiato e lavorato,
non sono ignorante né pazza. Mi è venuto in mente Leopardi,
dicevo, e la sua Silvia. E quasi ridevo tra le lacrime perché
immersa in quel paesaggio freddo e surreale ho ricordato il tempo della
scuola, le spiegazioni della mia gelida insegnante di lettere e ciò
che invece sedicenne, pensavo io. Silvia non era stata una tenera e
sfortunata creatura, macché... era una grandissima paracula che
si divertiva a civettare con il povero Giacomo. E in quel momento ho
sentito il bisogno di darti un’identità concreta, tangibile.
Non eri un gatto qualunque, sei diventata Silvia, la gatta barbona,
e io mi son sentita meno sola. Ora mi osservi ed aspetti paziente che
io apra i sacchetti della spazzatura e ti trovi qualche buon boccone.
Siamo sole ed è quasi l’alba, ci aspetta un altro giorno.
porterò i miei tesori dal signor Carmelo che è pelato,
grosso e con gli occhiali. Ed è più tirchio di una cozza.
Mi valuterà quei pochi oggetti rigirandoli a lungo tra le sue
dita informi da obeso e mi darà quattro spicci in cambio. Mi
fa ribrezzo quell’uomo, ma è l’unico robivecchi che
tratta con noi barboni. E gli conviene. Ha uno sguardo lascivo. i labbroni
enormi da cernia, sempre bagnati di saliva, gli occhi sono tondi e cattivi
dietro le lenti spesse, sembra un pesce malefico. E quando mi stringe
la mano e la trattiene un po’ di più tra le sue mi viene
da vomitare. Ma che posso farci? Ritorno dal suo garage e mi fermo al
bar: oggi due birre posso permettermele. Gli slavi saranno felici, si
fa festa. Domani chissà.

La senti questa puzza?
Sì, la sento, già da qualche giorno. Ha qualcosa di putrefatto,
non so…
La sentivamo da giorni ma credevamo fosse una delle puzze passeggere
della zona, quelle che senti e neanche ti chiedi cosè perché
subito ne arriva una nuova. Ma quella persisteva.
A volte le signore del palazzo cucinavano cose improponibili, ma quella
puzza era strana davvero.
L’ingresso del nostro studio di registrazione era su una lunga
balconata che si affacciava sul cortile interno del palazzo. E sulla
stessa balconata c’erano le porte d’ingresso di altri appartamenti,
quella che mia nonna chiamava "una loggia".
Era sulla porta che sentivamo quel tanfo maledetto ogni mattina, a volte
ci fermavamo a parlarne con la signora a fianco che era spesso sul terrazzo
a stendere i panni.
Ci guardava sempre con un’espressione che ci faceva sentire da
un lato i Beatles che aprono il portone di Abbey road e dall’altro
quello che effettivamente eravamo: 3 cazzoni 30enni e disoccupati.
In ogni caso era chiaro che lei avesse delle vere cose da fare: cucinare,
pulire casa o seguire il figlio piccolo che scorrazzava sulla bici sempre
col naso che gocciolava e le ginocchia massacrate, come se pregasse
sui ceci, e così la signora spariva dopo poche parole.
Ma se devo essere sincero io odiavo quell’altra signora che era
alla porta oltre la signora dei panni stesi, quella che una volta avevo
sentito dire al figlio piccolo (io ero dietro la porta): "vedi
‘a mammà? Qua dentro fann a’ discoteca!".
La discoteca?
Passavamo giorni a lavorare un suono di merda di sintetizzatore che
poi magari veniva mixato dietro a tutto (e quindi quasi inutile), cercavamo
i loop più bizzarri ed alternative, ci impegnavamo col cuore
per essere lontani da logiche commerciali e noi, noi, facevamo "a
discoteca"???!!!
Io che da una discoteca ci mancavo da anni e quando c’ero andato
mi ero pure annoiato!!!
Ma la signora vedeva passare sempre gente, strumenti, mixer e sentiva
un suono non meglio identificato come "tum-ndrang" (quando
probabilmente per lei Peppino Di Capri era quasi un punk)…
Aveva ragione, per lei facevamo "la discoteca", magari per
portarci le donne…
Dio non esiste!
Hai notato che questa puzza ha "mix-appeal"?
Che vuoi dire?
Uh’anema d’a madonna ma nun capisci mai niente?!! Intendo
che si mescola spesso con l’odore dei detersivi della signora
e con altri secondo il mood del palazzo.
A volte si incrocia con l’odore della cucina della tipa che sta
sempre con il pigiama felpato, quella col cane che strilla sempre. Eppure
il nostro cazzo di odore ormai dovrebbe averlo registrato, no?
Erano discorsi frequenti, un interrogativo quotidiano da ormai 4-5
giorni.
Di solito eravamo lì il mattino, ma in quei giorni avevamo da
consegnare dei provini per tentare Sanremo…E così quel
giorno decidemmo di andare anche dopo cena, il pomeriggio Enzo lavorava.
Ci accorgemmo subito che la puzza aveva raggiunto uno stadio nuovo,
si era quasi evoluta.
Il dottor Spock avrebbe dissertato a lungo sulla cosa se fosse accaduta
su un pianeta sconosciuto. Io avrei girato canale..
Ora era mescolata all’odore che saliva dalla pizzeria che aveva
il forno all’interno del palazzo e che in quel periodo era aperta
solo di sera.
E come per una magica intuizione holmesiana concludemmo che "forse
la puzza viene dall’alto".
Mi bastò abbassarmi dove finiva la ringhiera della loggia. Inginocchiato
come un musulmano in preghiera, come un cane che annusa il terreno,
io annusavo l’aria che saliva dal basso fuori la porta d’ingresso
e sentivo forte l’odore di pizze e legna.
Mi alzai di scatto e sentii bruscamente quel tanfo nauseabondo invadermi
le narici mescolato alla pizza (il camino del forno sfogava sul tetto
ma la sera tutto il palazzo sapeva di pizze).
La stessa sensazione di "eterogeneo prima del mix" la notavo
la mattina quando per rito prendevamo il caffè al bar di fronte.
Pasquale, sempre camicia bianca e panciotto grigio, amava parlare.
Forse mi credeva pazzo per le volte in cui improvvisamente e seriamente
mi qualificavo come un agente segreto o tentavo di prendere i soldi
delle mance dal banco, ma poi scoppiava a ridere e, come per ricompensarmi
di quei 10 minuti di allegria, si concentrava sui nostri 3 caffè.
Lui li metteva in piccoli bicchieri di vetro a testa in giù nello
zucchero, preventivamente esponendoli al vapore della macchina del cappuccino,
e metteva poi nel bicchierino il caffè che non dovevi zuccherare.
Se bevevi dallo stesso punto il caffè diventava amaro dopo il
primo sorso, per averlo sempre dolce dovevi muovere, ruotare il bicchierino.
Quella sera, quel mio alzarmi in piedi di scatto fu come bere dallo
stesso punto del bicchierino da caffè.
La puzza veniva dall’alto, dal terrazzo, domani mattina dopo il
caffè la prima cosa che facciamo è andare a vedere.
Arrivammo distratti, io mi gustavo la sigaretta rituale, unica della
mattinata ma obbligatoria dopo il caffè, e rimasi all’ingresso
per non lasciare fumo di sigaretta nello studio.
Enzo iniziò a radunare scatoloni delle tastiere da portare su
nel sottotetto approfittando di questa spedizione esplorativa.
Marco prese la chitarra per cercare di ricordarsi cosa aveva suonato
(ma non registrato) la sera prima e che gli era rimasto come piacevole
ricordo. Non avrebbe mai più messo in fila quelle note, erano
andate ormai, avrebbe fatto cose altrettanto belle ma non quella.
Salimmo e ci accorgemmo del casino che già c'era: roba incomprensibile,
tavole di legno, pezzi di ferro e molti oggetti che non si distinguevano
chiaramente per il buio del sottotetto.
Abbandonai i cartoni a terra e mi avviai verso la luce del passaggio
che dava sul terrazzo, tra fili di antenne da scansare e scavalcare.
Non mi ero accorto che Enzo era già lì fuori, impalato,
a guardare a terra.
E’ un gatto?…Sì è un gatto, che schifo!
Come sarà morto?
Secondo me ha mangiato del veleno, si vede dall’espressione del
viso, è sofferente.
Le zampe sono consumate, in stato di avanzata decomposizione, e così
gran parte del corpo.
Guarda là, tra i tendini della zampa ci sta un mozzicone di sigaretta
fumata fin sotto il filtro.
Qualcuno l’ha visto prima di noi…chissà da quanto
tempo è qui.
Da quel momento ci prese una morbosa curiosità ed ogni mattina
salivamo a vedere in che stato fosse la salma che intanto puzzava sempre
meno.
Ci chiedevamo se fosse appartenuto a qualcuno, se avesse mai mangiato
un topo e fatto sesso, se fosse maschio o femmina, se conoscesse gli
Aristogatti o Silvestro.
Ognuno di noi 3 scrisse un nome su un bigliettino ed estraemmo, ci sembrava
giusto dargli un nome: uscì "Miao", era quello che
avevo proposto io, gli altri due erano Micio e Gatto, la fantasia non
c’era, era "in riunione".
Renato veniva a trovarci spesso e decidemmo di portarlo a conoscere
Miao. Restò a guardarlo ridendo mentre io gli scattavo delle
foto (a Miao).
Sto pensando di spedirle alla televisione, magari le mandano al
telegiornale, ma no, non può succedere, siamo in Italia, se lo
faccio scende in campo il Papa.
Hahahaha, mi fai morire, che te ne fai di quelle foto?
Magari ci scrivo un racconto un giorno e qualcuno se lo legge anche.
(Come supporto al racconto l'autore ci ha inviato anche tre foto:
foto01
- foto02
- foto03)

La ballerina volteggiava, roteava come se lo spazio fra il suo braccio
e quello del compagno fosse distorto da una nube di frenesia scaricata
direttamente dall’orchestra che corposa nella penombra pompava
un passionale tango dai lineamenti antigeometrici.
Suoni battute e gocce di sudore cadente come un lascito di energia che
tornava alla terra in un ritmo di pensieri che non poteva non coinvolgere
lo spirito da troppi anni incatenato ad una condizione subalterna rispetto
alla vitalità che chiunque aveva assaporato durante la propria
infanzia. Un tempo in cui la 127 era una macchina che rendeva felici
e nel palazzo tutti si conoscevano e non si ignoravano, ma anzi erano
pronti a dare una mano poiché comprendevano il disagio di quelle
famiglie povere, che più delle altre avevano bisogno di sostegno.
La musica riportava le immagini di una stagione chiusa in modo burrascoso
sotto il segno di un progresso che aveva indebolito l’immaginazione
e il ruolo di quei passi di cui ogni individuo non dovrebbe mai vergognarsi.
Salti e carezze che neanche l’oscurantismo della fine degli anni
’70 era riuscito a far dimenticare a coloro che avevano respirato
le atmosfere libertarie di un sessantotto libero di esistere ancora
e di un settantasei ancora attuale nei piedi e nella mente di un sessantenne.
Gli anni ’80 chic e patinati di riflessi lontani dalla volontà
della persona e del suo ambiente naturale, gli anni di una corsa sfrenata
verso il burrone dei sogni nella ricerca della felicità. Quella
futilità che veniva recisa con la crescita. Le bambine mandate
a scuola di danza, ma poi strappate inesorabilmente al loro desiderio
di diventare ballerine e rese succubi di una pressione per la ricerca
del lavoro serio che permettesse loro di pensare e sostenere la futura
famiglia, portandole però a tenere per sempre nel petto una fitta
che si materializzava ogni volta che avrebbero visto in Tv il balletto
di Heather Parisi o Lorella Cuccarini.
Fantasie e aspirazioni che come incubi tormentavano chi non era riuscito
a mantenere in piedi la gratificazione del ballo e la spensieratezza
del gioco nella crescita dei propri figli ma ora, con quel passaggio
danzante, riusciva ad estraniarsi da tutto ciò per ritornare
a quel tempo, il tempo in cui si era innamorati della semplicità
della vita, il tempo senza rughe a contorno di occhi mai stanchi e dei
primi sguardi scambiati con la persona che al buio li avrebbe accompagnati
per sempre.
Bella per sempre, pensava infatti Aldo mentre con vigore stringeva
la sua Fedora e la lasciva di scatto per farla turbinare nell’atmosfera
calda della sala e lei, fra le braccia possenti del suo spasimante di
un’intera vita, si sentiva protetta e coraggiosa per il guizzo
veloce che, con quattro giri su se stessa, le avrebbe fatto mancare
i sensi per un istante per ritornare piacevolmente stordita nell’abbraccio
del suo tenero vissuto amante.
Centoventisei anni in due e ancora tanta voglia di incontrarsi, come
quella volta che di nascosto ballarono sotto le stelle dei cieli corsi,
pensando la musica e sussurrandosi parole alle orecchie per poi finire
su un albero basso per fare all’amore come mai gli era capitato
nella loro vita da fuggiaschi. Ed in uno sguardo si rincontravano giovani
e mai stanchi per scambiarsi qualche bacio che la loro lingua parlasse,
nella speranza che l’amore sulla loro terra tornasse.
E con l’emozione per la perdita del sicuro e del razionale, spinti
dalle proprie esuberanze ad abbandonare le coste di un’isola magnifica,
iniziarono il viaggio verso le memorie della loro unione. Il loro tempo
interiore era differente da quello della prima coppia, ma con loro accomunati
dalla presenza ad un ballo che aveva riportato la passione al centro
del loro cammino. E fra loro, mano nella mano nel turbine, presero corpo
i pensieri sui sei figli che un tempo fu difficile allevare.
Il più piccolo di loro così distante dalla loro mentalità
e distaccato rispetto alle affascinanti belle canzoni di una volta,
quelle che la radiolina trasmetteva dalla mattina presto tra un gazzettino
e l’altro, nel momento in cui ci si poteva fare la barba con il
rasoio a lamette spesse ed il pennello per massaggiare la pelle con
saponi dall’odore coloniale che, per lei, era un piacere annusare
quando lui entrava nella cucina già accesa per il pranzo, lui
che aspettava la colazione accompagnata con un bacio.
E poi via verso il porto a lavorare con il pasto pronto e la speranza
di avere sempre quel rifugio che, in quella notte di tango e valzer,
dopo tanto tempo, aveva ripreso a comparire nell’animo di lui
che qualche volta, vagabondo, aveva sbagliato a non tornare da lei,
che l’amore col perdono allora e per sempre aveva fatto trionfare.
Antonia era così in quella piroetta, appesa alla vita con la
sua forza e quella che sei figli possono infondere anche nella vecchiaia.
Una gioia che nel passato, con tutte le difficoltà della giovinezza,
le aveva fatto superare la burrasca con quel vecchio e burbero marinaio
dal nome d’Angelo che sotto la corazza da grande uomo aveva sempre
avuto la sicurezza di avere una donna forte al suo fianco, anche quando
aveva navigato in mari lontani dove la mente si distrae ed il braccio
è stanco.
Anche loro lì, anche loro a farsi riprendere da quella magica
frenesia che non è mai stata persa, ma solo nascosta e dimenticata,
che il passo a tempo con la nota riportava alla mente ed ai piedi la
stagione passata.
E con un giro di scala l’orchestra confondeva ed ammaliava soltanto,
mescolando in un Boogie Woogie le memorie di un tango. E si passò
alla canzone che allora Paolo Conte non aveva suonato, ma con la gioia
di conoscerla da sempre la terza coppia aveva un passo timidamente accennato.
Distesi su quel che resta dei problemi finanziari, facendo perno sulle
difficoltà che la vita gli pose davanti, quella coppia di eroi
sconosciuti ballavano intonando dei canti, in cui l’aria fresca
che si intende di primo mattino torna ad essere il motivo più
bello di vivere alla vita vicino.
Quel turbinio che anche Alba e Luigi erano intenti a provare si concentrò
nella sala dove tutte le coppie erano intente a ballare. Lei fece la
giravolta col braccio all’insù e quando fu per cadere si
ricordò dei problemi della loro gioventù, con un bambino
piccolo da allevare e poco tempo a lui da dedicare. Poi con il pensiero
degli anni e la grinta impiegata, lui la tirò su di scatto come
la loro potente scalata, immagini nuove e fresche di un ballo che da
anni non esisteva più per assenza totale di svago, Alba e Luigi
si strinsero forte nel ricordo che tutto non era stato vano, e con il
sibilo di un sax si fermarono per qualche istante, tempo in cui l’apparizione
di un sorriso riportò la carica di una forza elettrizzante.
E cento, mille anni in più gli desse il cielo quel calore che
la musica brucia, brucia in un fremito e crea vapore in quell’ambiente
appannato che era il segnale del loro piacere e ballando e ridendo pensavano
che mai più che nella vita ci si potesse sedere.
Ma per chi ricorda e gioisce, c’è sempre qualcuno che
di rimpianti un tantino perisce e nella sala dove le tre coppie andavano
avanti, c’è n’era una che i due ballerini vedeva
distanti. L’insegnante di ballo, giovane veloce e leggera e quel
povero Arturo, vedovo e solo nella notte più nera.
Fu difficile e duro conservare il ricordo del tempo in cui la sua compagna
gli teneva la mano e quando lei venne a mancare lui smise di essere
uomo e il contatto altrui desiderare. Si sentì inutile, e senza
amore è difficile dimostrare passione, ma l’orchestra si
mosse per tempo ed anche a lui fece un regalo, con quel vortice che
lui impresse alla dama si emozionò più dell’intero
scenario, e così si rivide forte, candido con lo sguardo interstellare
e prendendoci gusto la giovane donna continuò a far roteare,
come se l’inizio di tutto fosse là, ad un passo dal poter
nuovamente sperare. Per qualche ragione in un attimo tutta la sala fu
aperta ad una nuova dimensione che un giro di ballo materializzò
come nuova forma di espressione, e stanchi, appagati dai percorsi di
ieri, i sette vecchi si sentirono con quel ritmo improvvisamente leggeri
e distanti da ciò che fa soffrire, con la calma che tutto permette
di riassaporare, come il lato armonioso della vita che la vita inutilmente
costringe a far dimenticare.

Quella mattina mi svegliai con un vago sospetto che la giornata sarebbe
andata di male in peggio…così è stato….cazzo
mi porto sfiga da solo….chiamate un esorcista! Dicevo, era un
mercoledì….di merda aggiungerei. Vivo con i miei genitori
in un palazzo di tre piani, questo è di proprietà di una
mia vecchia zia 90enne, siamo 5, i miei vecchi, io e mia sorella e il
nostro micio, Leo, un gatto gran fijo de nà miciona, di razza
europea, rosso con delle sfumature bianche, insomma un gatto da paura.
La vita fino ad allora trascorreva tranquilla tra alti e bassi, esami
senza senso, e con le relativa domande del tipo “ Perché
la Madonna è calda e luminosa” al che uno si potrebbe chiedere
se avessi fatto un esame di Tradizioni Popolari o Sessuologia con Tinto
Brass…Mah?! Me lo sto chiedendo ancora! Come appunto stavo dicendo
la mia vita è….è….nà ciofega!!! Ma
non mi lamento..più di tanto. Ho un nonna, chi la vede per la
prima volta potrebbe denunciare i propri genitori adducendo accuse del
tipo “falsa testimonianza…. “Mi avevate detto che
la strega di Biancaneve non esisteva….io l’ho vista!”
Ma apparte questo piccolissimo particolare, è molto dolce, talvolta
ho anche i livelli del diabete alto per quanto lo è… sa
cucinare divinamente….e il mio fisico “asciutto” lo
dimostra nonostante i suoi 88 anni è una “ragazza”
molto arzilla, non come la sorella, quella che c’ha il palazzo,
che è un po’ più….come dire…quasi quanto
una persona dopo aver visto uno striptease della Moratti - Rosi Bindi
- Buttiglione, tutti insieme….non so rendo l’idea…si
penso di sì vi vedo già con un secchio in mano pronto
per l’uso, bè ecco uno sguardo perso verso “l’infinito
ed oltre”. Come ripeto quel giorno mia nonna , che poverina, vive
con la sorella, doveva recarsi in ospedale per dei controlli medici,
( l’anno precedente la nonnetta arzilla aveva alzato un po’
il gomito ed ero finita in ospedale in preda ad allucinazioni, terribili,
vedeva il Premier Silvio Berlusconi, con tantissime rughe su tutta la
faccia…non so se mi spiego?!), dato che mia zia non poteva restare
da sola mia madre la portò a casa nostra. Quel giorno non avevo
nessuna lezione a causa di scioperi che ormai erano talmente tanti che
non si capiva più niente, fui incaricato di fare da balia alla
zietta. Oltre a quello sguardo fisso nel vuoto, elle è anche
affetta da dimenticanza, ossia per essere più precisi, un’arterio
sclerosi galoppante. Mi faceva pena, lì tutta sola nella poltrona
di vimini…mi misi accanto a lei, intavollammò una parvenza
di conversazione, ma dopo dieci minuti, composti per lo più dalla
stessa domanda “Ma tu che fai a Roma”, capii che non era
cosa per me! Passò qualche ora, ogni tanto davo un’occhiata
alla zia e poi tornavo a giocare con il gatto, che al momento stava
strappando tutti i peli di un animale di peluche della TRUDI, che la
sorella di mia madre pagò un occhio della testa, appena entrai
mi guardò con uno sguardo interrogativo… com’è
lo sguardo interrogativo di un gatto…e che ne so l’ho visto
nà volta sola, non me lo ricordo…sono eventi che si verificano
una volta sola nella vita. Andai da mia zia, con il gatto in braccio,
e mi risedetti vicino a lei, fu allora che cominciò la Santa
Inquisizione….. “Dov’è tua madre?” “E’
uscita con nonna.” “Ah…!” dopo neanche due secondi
“ Dov’è Gina?” ( la sorella…), “E’
uscita…con mia madre…sono andate dal medico.”….
“Dal medico? Chi sta male?!” Nessuno zia… uff…stanno
tutti bene”. “Dove è tua nonna ? E quando tornano?”
La conversazione si stava facendo alquanto monotona… “Zia
quello è il gatto io sto da quest’altra parte…”
“Ah eccoti qui, Mario caro…!” “ No zia io non
sono nonno, so’ Camillo. Nonno è morto 4 anni fa!”
“E’ morto chi è morto?!” Ah….che palle,
pensai dentro di me. “ Nessuno zia”. Mi alzai presi il gatto
e lo portai fuori. Rientrai, accesi la televisione, stavano facendo
vedere pinocchio….ah no mi sono confuso…era la De Filippi
che “ballava” con Kledi….. “Ma dov’è
tua nonna?” Aridaje…..e mo’ basta….. “A
ZI NONNA E’ MORTA!” .” Oddio la mia povera sorella
è morta…..oddio San Crispino……..”In quel
momento sentii l’uscio di casa aprirsi, vidi sbucare mia nonna
e mia madre….per fortuna la visita medica era finita….e
anche la mia tortura. Con loro era anche rientrato Leo, che ogni volta
che vedeva uno spiraglio aperto correva subito dentro. Lo presi in braccio
e me ne andai in camera, cominciai a coccolarlo….grgrgrgrgrgr….faceva
le fusa a più non posso….quant’era tenero! Tirai
fuori un CD, sapete quello con tutti i suoni della natura, il mare,
le foglie che cadono, e il portiere che si fa tutto il calendario di
imprecazioni….no quello non è un Cd, è Pino, il
Portiere del palazzo che poveraccio ogni mattina spazza per terra tutte
le foglie cadute, e dopo neanche mezzo secondo cadono pure le altre…
mi mise gli auricolari e ascoltai in santa pace Beethoven e la sua Pastorale,
con un sotto fondo di onde che s’infrangono sulla riva….ah
che pace….mi addormentai con Leo sulla pancia. Al mio risveglio
avvalorai ancora di più il presentimento della mattina….era
stata proprio nà giornataccia…pure la pipì del gatto………….!
Ho un’anima ambigua. Scissa tra la ferocia e la paura. Entrambe,
dominio di una volontà inesistente.
…
Mi fermo un istante, per pensare.
…
Esito a tratteggiare quello che potrebbe sembrare agli occhi di un estraneo
un concetto arbitrario.
Estraneo, non guardare con occhi ciechi…
Mi verrebbe da esortarlo…
Riconosco che così starei traducendo la mia paura con il linguaggio
violento della persuasione.
…
Ho il cuore nudo.
Rosso vivido sanguinante.
Esposto alle intemperie delle circostanze che si divertono a trascinarlo
lungo paesaggi inesperti. Paesaggi spaesati.
Circostanze criminali, quelle, capaci di tutto.
Circostanze onnipotenti.
Le mie mani trattengono il cuore. Con la stessa paura di una carezza
che teme di rimanere inespressa. O, forse, semplicemente incompresa.
…
La ferocia è negli artigli delle mie dita.
Mani che sono esse stesse artigli.
La paura è nella difesa.
La ferocia è nella paura.
La difesa è nella ferocia.
…
Ho un cuore nudo.
Sanguinante rosso vivido.
…
Sono i miei artigli che per difenderlo
lo stanno ferendo.
…
La ferocia è nell’aver paura
di esibire il mio cuore nudo.

Una volta ho ucciso un uomo
sulla montagna di sant'Agostino
parlavamo tanto di cambiamento
e fumavamo tabacco nostrano.
Ballavamo di Amore insieme
ma non potevo giurarlo in eterno
perchè i colori non combaciavano.
Troppe righe ritorte nell'anima
e qua e là stracci sparsi di giochi
quello blu stava sotto, non serviva
quello rosso mi ha dato coraggio.
Avevo sempre voglia di un bacio
e scappare davvero non aiuta.
Lo spinsi, allora, di sotto. Morto.

Medusa s'arriccia i capelli, specchiandosi in una pozza.
Già sa che tra breve, un uomo che compie un destino, regalerà la sua testa a una dea.
Il sangue del mondo pulsa nei suoi capelli, orfici simboli di mistero.
Volto di marmorea e scolpita bellezza, perle di nebbia su un collo sottile
- Sorelle, fiamme d'orizzonte, dove siete?-.
Medusa, che non può amare, aspetta, da sola, la morte, un mostro nel cuore.
Si assopisce il colore dietro le montagne, calano, lunghe, le ombre.
Medusa, seduta,-labbra di ciliegia-contempla la sua caviglia perfetta. Tristezza la prende, ogni sera, l'attanaglia piano e la sazia.
La sua voglia di essere in grado di leggere negli occhi d'un altro antiche mattine, sonnolenti lontananze, sognanti inverni, singhiozzanti acque, inconsce paure, brucianti sospiri, si perde, riflessa in globi di nerofumo.
Quale vita è, la vita che ti condanna alla paura degli sguardi degli altri?
Una vita-scalinata ripida nel vuoto, vertigine della tua infanzia, che s'apriva a ventaglio sul mare. Guardavi, Medusa, giù nel vuoto, verso il mondo, la paura di non trovare un possibile appiglio per vivere.
La vita, tremendo respiro, e l'altalena del Tempo, mistero d'ambrosia, han cancellato i sorrisi, labbra di mora; han generato il tuo strazio in attimi d'oblio.
MOSTRO. Spiriti serali, ectoplasmi prigionieri di urla e dolore.
Medusa che non sa amare, aspetta la morte, da sola, i capelli saettanti e nervosi.
MOSTRO, ma mostro di pensieri, d'esistenza, di colori e d'arcobaleni temperati da acque di cristallo, d' alisei di paure, di confusione d'uragani, di fertili sogni, d'azzurre lacrime, di corallini sorrisi.
Nei giorni perduti a rincorrere il mondo, Medusa già sapeva.
Nel fuoco d'uno sguardo, occhi vuoti, di pietra: ecco il MOSTRO-Scappate, ecco il mostro! Attenzione! Uno sguardo e v'impetra! Correte, il roveto già brucia! La strega! Capelli-serpenti d'ebrea! Imbracciate i forconi! Prendete i fucili! Non guardatele gl'occhi! Crucifige! Venite! Correte! Attenzione! Una donna! Senz'anima! Lebbrosa! Bianca forma insonne!Attenzione: uno sguardo e v'impetra!-
Una vita scoperta di gesti vuoti, di chi, libero, senza guida, si riempie la bocca di rose mature e concrete.
Medusa, stasera, la chioma scoscesa che s'agita viva, attende, tra le note sommesse del volo degl'ultimi uccelli.
Medusa, sguardo di notte senza stelle, si stringe le mani di schiuma.
Aspetta, serena, l'uomo che, solo, potrà cercarle lo sguardo.
La vita, fuori, spigola le ore e acuisce il Tempo, mentre pallide ombre rinnovan lo sgomento.
Medusa si veste d'una fumosa ragnatela di luce: nessuno ha mai contemplato la bellezza rappresa del suo corpo stupendo -Ah! il Mostro! Fuggite!Uno sguardo e v'impetra! Ecco, prendete le pietre, lanciatele addosso a Maria Maddalena! Attenzione, ché mangia i bambini! Scappate! Sparate! Comunista! Di certo ha anche un piede caprino! Attenti! Uno sguardo e v'impetra! -
Medusa si stende sul viso un profumo potente, che tradisce l'incanto.
I capelli si agitan, vivi: il suo cuore sta contando le ore.
Verrà, S'ergerà su di lei. Vanterà un'impressione di occhi.
L'ha spiato, Medusa,-oh! SI!- tante volte.
E' sicuro, beffardo. Un po' le somiglia: taciturno, fronte stellata, assente sovente, con occhi che volano via.
E' forte, placido e misurato nei gesti. Non spreca. Ebbro si sé. E' un uomo. Un semplice uomo.
Verrà, porterà tutta la sua deserta normalità: unico fra tutti, occhi profondi, dove aleggia la sua notte.
Medusa si liscia i capelli con un pettine dai denti di luna, silenziosa.
Nell'ombra la parola senz'eco diventa presenza.
Il mostro si alza, denuda il suo corpo di statua timorosa: lui è l'unico che potrà mai amarti .Bianche conchiglie i tuoi seni.
Il mostro-Attento, Perseo!- è scaltro. Adesso sembra normale, ma guarda! : serpenti i capelli, crepuscolo gli occhi!-Attento! Uno sguardo e t'impetra!-
Trasparenti occhi riflette lo specchio, muti, occulti profumi di gioie, colmi di luce e di musica arcana, colmi d'amore.
Scivola il corpo in quest' isolata ora di morte.
L'uomo nero raccoglie la testa in un drappo. Il mostro è morto.
S'accende, lontano, nel mare una luce di seta.
Medusa si perde nell'ultimo remo.
I capelli si agitan ,vivi.
Perseo li sente, tra le sue mani di foglie aggrapparsi alla notte.
Medusa ascolta felice il fiato e l'uomo nell'aria.
Tragicamente alzate, le palpebre riflettono il buio.
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