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  L'avevo posseduto per poco quell'oggetto, arrivato in modo del tutto inaspettato.
Era un martedì qualunque. Ricordo che stavo contemplando un geko che si lavava i denti nel box di mio figlio Alfred, assente per mancata nascita, quando, come all'inizio di un romanzo giallo, un telegramma sbucò da sotto la porta d'ingresso. Il campanello di casa, nascosto da fitte concrezioni marine - il posto in cui vivo è umidissimo - era guasto da tempo. Il postino, che per mesi aveva adottato il sistema del vigoroso picchiettare sul legno massiccio della porta, fratturandosi infine le nocche, infilava quindi la corrispondenza nel sottile pertugio inferiore. L'uomo, un individuo alto e assai corpulento, pativa molto doversi chinare, sbuffava, quasi ruggiva facendolo. Una faticaccia, ma la vita è dura per tutti ed io ho sempre fatto soffrire i postini.
Mi sottrassi dunque all'ascolto di un programma di rap per audiolesi e con la più grande cautela mi accinsi ad aprire il telegramma.
C'era stato tutto quel macello sulle buste che esplodevano o facevano scattare trappole per le dita. Cosa non ficcavano dentro le buste allora! petardi morti, pile scadute, programmi di sgangherati pellegrinaggi a santuari immaginari. C'era di tutto! Ma i plichi più pericolosi erano quelli che contenevano solleciti di pagamento rivendicati da misteriose organizzazioni armate con sigle di fantasia: TIM; TOM; RAI; TELECOM; TELE DO; NAF; BRR; IRPEF; NAPS; WIND ecc. ecc.
Si può comprendere quindi che agissi con tale prudenza. In quel periodo era difficile persino comprare acqua minerale senza trovare nelle bottiglie cianfrusaglie di ogni genere, come ammoniaca, detersivi, resti di antichi insediamenti Maya o peli della barba della Moratti.
La mia concentrazione era massima. Smisi di sudare solo quando, poggiate le pinzette, estrassi dalla busta un foglio che aveva tutta l'aria di essere una convocazione da parte di un notaio. La tensione si allentò ma non è che mi sentissi del tutto sollevato: la situazione che si prospettava poteva ancora dimostrarsi pericolosa. Certi ricordi erano pur vivi in me.
Nel Gennaio di due anni prima, in un'atmosfera di intensa malinconia, avevo raccolto lo sfogo di un mio conoscente, tale Manasse, un potatore di anguille in cassa integrazione.
Era stato convocato dal Notaio Giosuè Rampolli al culmine di un periodo disgraziato, colmo di miseria e confusione.
Da tre stagioni il capriccio della moda imponeva di portare le anguille lunghe. Gli stilisti -e chi se non loro? - le proponevano intrecciate alla vita in un'insalata di strass e reti da pesca oppure attorcigliate al collo, con studiata negligenza.
Il modello corto, tipo manicotto, che per anni aveva dominato la scena delle passerelle, non andava più, era per così dire out. Di conseguenza Manasse il potatore ebbe sempre meno lavoro da sbrigare e venne inevitabilmente mandato in cassa integrazione a zero anguille. Segno cupo dei tempi, Iris, l'ultima anguilla con cui ebbe a che fare, finì addirittura per essere mangiata!!
Il pover'uomo, tra l'altro, dopo vent'anni di convivenza con quella che aveva sempre creduto essere sua moglie Elvira, aveva scoperto del tutto casualmente che si trattava in realtà di Ettore Majorana, il famoso scienziato cercato per decenni da mezzo mondo e mai ritrovato.
Il colpo per Manasse fu durissimo. Capì all'istante la ragione degli sterminati silenzi della falsa Elvira e comprese pure le sue strane, ostinate ritrosie. Venne a trovarsi in una condizione drammatica; povero, solo e confuso.
Per di più, alcuni risvolti della situazione richiedevano una lucidità ed una delicatezza che Manasse, nel suo stato disperato, non era certo in grado di dimostrare. Poteva mai chiedere pubblicamente il divorzio da Ettore Majorana senza far esplodere ovunque un casino gigantesco?
Quando fu convocato dal Notaio Rampolli ebbe dopo anni il primo conato di ottimismo. Un'immensa fortuna sarebbe stata sua? Poteva essere quella la svolta meravigliosa che la sua vita attendeva?
Andò. Che dico, volò nell'ufficio notarile per poi scoprire che quel deficiente di suo zio Bjorn era morto, scagliato nel Mare de Nord dalla piroetta di un lastrone di ghiaccio sul quale assurdamente sostava, riflettendo su cose di nessunissima importanza.
Pertanto Manasse, quale unico erede di quel cretino, venne in possesso della più completa e desolante collezione di CD e memorabilia di Gigi D'Alessio che si fosse mai vista in Scandinavia.
Ospitai il potatore di anguille in casa mia per una settimana, raccogliendo il suo pianto on damigiane da dieci litri ognuna prima di fargli capire, con il massimo tatto, che era il caso che ne uscisse per affrontare di nuovo il mondo.
Fu dunque a dispetto dell'inquietudine che quei ricordi mi suscitavano che presi a leggere la prosa neutra del Notaio Alcide Zampanò.
Appresi così che mia zia Augusta, la sentivo nominare per la prima volta in vita mia, era venuta a mancare di schianto dopo centosei anni di strenua resistenza.
Seppi anche di non essere di diritto l'unico suo erede ma, ed ora era la voce del Notaio Zampanò in persona ed assiso in trono a recitarmelo:"E' certamente l'unico parente che mi sia simpatico in quanto, non avendolo mai conosciuto, non l'ho mai avuto tra le palle, a differenza di quella muschiosa congrega di umanoidi stercorosi che di sicuro mi hanno accorciato l'esistenza, rendendomela quasi per intero una vera schifezza."
La prosa colorita dell'estinta mi indicava quindi unico intestatario del bene più prezioso che ella avesse posseduto.
Ad onta di una natura resa di ghiaccio dalle traversie che da sempre si trastullavano col mio destino, commisi lo stesso errore di Manasse, umano ma imperdonabile: mi feci delle illusioni spropositate. Scoppiai in una risata convulsa, fuori luogo, che sdegnò vistosamente Zampanò ed ebbe l'effetto di accentuarne la somiglianza con un'enorme vongola di pietra. Mi ricomposi solo dopo che uno dei mezzemaniche del Notaio mi ebbe sparato addosso una secchiata di orzata.
Un ottimismo delittuoso mi pervadeva tutto.
Attesi, ero scosso da brividi di eccitazione, che Zampanò estraesse dall'immensa cassaforte del suo studio qualcosa di così prezioso da cambiarmi la vita.
Ma l'ombra del potatore di anguille si stagliò su di me quando infine fui in grado di vedere il COSO.
Era il più grande gattone di ceramica decorata che fosse mai apparso nella nostra galassia.
Pressoché seduto, era alto quanto un puma e per quanto ingombrante fosse, tentava un'espressione patetica, malinconica, quasi depressa.
Ghirigori bluastri serpeggiavano sull'intera superficie lucida del corpaccione in ceramica.
Era un oggetto micidiale.
"Lo tenga da conto - chioccio il Notaio - è cinese e di grande valore."
La bugia notarile era più che odiosa, era inammissibile, inconcepibile, inaccetabile visto che il piedistallo sul quale poggiavano le zampacce dell'amabile felino portava, vistosa e in caratteri latini, la scritta Ming, con tanto di svolazzo!! Almeno per quel pomeriggio, la frase appena detta, costituì l'ultima cazzata pronunciata da Zampanò. Il micione era tanto grosso quanto fragile e non fu difficile per il cranio pelato ma coriaceo del notaio farlo a pezzi quando glielo scagliai contro.
Non rimpiango ovviamente l'eredità perduta. Lo rifarei.
Ho invece nostalgia dei mesi passati in galera a non fare un cazzo e a parlare con gente interessante.
Ho molto imparato da costoro; cose incredibili che si possono fare nella vita, tantissime cose. Troppe perché la mia pigrizia mi conceda di metterle in pratica.
Nell'intimo mi sento però arricchito, maturato, ispessito direi.
E' sul piano operativo che sono ancora un po' in ritardo.
Da due giorni sto in poltrona a riflettere.
Guardo il geko, visibilmente invecchiato, che si pulisce la dentiera nel box di mio figlio Alfred, assente per mancata nascita.