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Stavo appoggiato con i gomiti sul
davanzale. Sotto di me 6 piani di una costruzione stile anni ’70,
grigia, come fosse uscita dallo schermo durante un retrospettiva sull’edilizia
popolare nell’Unione Sovietica. Fumavo e ciccavo distrattamente
sotto di me, nel vuoto. La mente rivolta altrove. Avevo appena iniziato
a frequentare una tipa senza investirci tantissimo, a livello sentimentale.
Sembrava proprio una di quelle storie che ti fanno dimenticare il passato.
Ti prendono distrattamente. Ti assorbono e cancellano tutto o, per lo
meno, attenuano le tinte forti.
Il gatto si strusciava contro i miei polpacci ronfando leggermente.
Un’occhiata distratta a quell’essere peloso, un sorriso
e mi ributtavo su quel pensiero ossessivo.
Una storia clandestina, mi ero dimenticato di dire. La legge per la
razza faceva della nostra storia banale un amore da letteratura. La
Presidenza aveva fatto emettere una legge che vietava l’ingresso
in Italia a tutti gli stranieri (comunitari ed extra) che non avessero
soldi da sperperare nei centinaia di migliaia di centri commerciali
“Striscione” dislocati su tutta la penisola.
Dall’interno dell’appartamento un rumore di lenzuola che
sfregavano. Il sonno agitato di Mariah (non pronunciate il suo nome
come la cantante altrimenti s’incazza) sembrava riflettere i miei
pensieri cupi. No future. Chi lo diceva? Un movimento o gruppo musicale
se non ricordo male ma come si chiamava? … Bah! A che vado a pensare,
certe volte!
La sigaretta ormai era agli sgoccioli. Gli ultimi 3 tiri prima di riandare
sotto le lenzuola. Dovevo disperatamente trovare una soluzione.
Mariah era sfuggita alla polizia etnica per miracolo, ieri sera. Il
dirimpettaio di pianerottolo aveva fatto una spiata alla Questura denunciando
la presenza di un’irregolare. Per questo tipo di azioni coraggiose
lo Stato riconosceva, a cattura avvenuta del sospetto, 3000 €,
la metà di quanto offriva per un figlio di “pura razza
italica”. Chiaramente contributi una tantum. Fortunatamente, in
quel palazzo, viveva un folle hacker che teneva sotto monitoraggio qualsiasi
tipo di comunicazione che entrava ed usciva dal quartiere. Un sistema
complicato, mi aveva tentato di spiegare. Aveva un computerone che chiamava
server e si era connesso sull’unità centrale di comunicazione
del quartiere (UCC-LT2) e poi, con uno sniffer di sua fabbricazione,
filtrava qualsiasi chiamata verso Questura, Presidenza e qualsiasi altro
Ente statale. Era venuto a bussare affannosamente verso le 18.30.
- Guarda che sta per arrivare la pula etnica.
- Cosa? – il cuore aveva preso a battere all’impazzata,
la voce si era incrinata repentinamente e avevo anche iniziato a sudare
freddo.
- LA PULA ETNICA, tra qualche minuto, sarà qui!
- Cazzo!
- Dov’è?
- Chi!
- La tua donna, dov’e?
Prendemmo Mariah e la nascondemmo all’interno dell’appartamento
dell’hacker. Le consigliammo di vestirsi fino a non rendere più
visibile un solo angolo della sua pelle. Era nera. Troppo visibile,
anche solo per scendere le scale. La osservai mentre indossava qualsiasi
cosa le capitasse a tiro. Le calze, un paio di pantaloni neri a vita
bassa, una camicetta bianca ed un maglioncino nero con delle paillettes
rosa che svolazzavano ovunque e tantissime altre cianfrusaglie. Nonostante
la paura che più passava il tempo e più si trasformava
in terrore assoluto, vedendola così vestita saliva, dentro di
me, un’eccitazione senza confini. Cercai di placare le tentazioni
andandomi a lavare la faccia con acqua gelata. Scesero e dopo neanche
una mezz’ora bussò alla mia porta la Polizia Etnica. Avevo
colto l’occasione di quella mezz’ora di solitudine per liberarmi
temporaneamente di qualsiasi foto o materiale che ci ritraesse insieme.
Era poco, fortunatamente, visto che stavamo insieme da meno di 2 anni
e che, con la legge vigente, non è che potessimo andare in giro
chissà quanto. Trovai ridicola l’idea della perquisizione.
La polizia etnica era totalmente padana ed era totalmente inefficiente.
Fessa ma, allo stesso tempo, spietata. Quasi fosse una punizione aggiuntiva.
1- avevi infranto la legge. 2- ti eri fatto scoprire. 3- eri stato così
coglione da farti scoprire proprio da loro. Dovevano per forza farti
del male sul serio, no? Tenuta verde. Fazzoletto verde e bianco al collo.
Al petto appuntata una stella, quasi da sceriffo, ma molto arrotondata,
quasi fosse disegnata male. Dicevano che fosse una stella delle Alpi,
ne andavano molto fieri.
- Dov’è? – chiesero democraticamente partendo dalla
presunzione d’innocenza.
- Chi?
- La puttana negra
- Qua…- e cercai di trattenere l’istinto omicida che montava
– Quale puttana negra! Ma come cazzo ti permetti!
- Che fai lo stronzo? Vuoi che ti portiamo dentro per resistenza a pubblico
ufficiale?
- No. Dicevo solo che non c’è nessuno… nessuna…
puttana negra, qui dentro.
- Vedremo – e mi scansò senza tanti complimenti. Una mano
al petto e la spinta per mandarmi di lato.
In due ore perlustrarono ogni angolo della casa. Rovistarono nei cassetti,
sotto ai letti ed in mezzo ai cuscini del divano che tagliarono a metà
come panini. Non trovarono nulla. Era forse il loro bisogno di sfogarsi
per sentirsi poliziotti, poliziotti veri, e magari, per qualche secondo,
dimenticarsi di essere schiavi di questo sistema che li usava come ridicoli
spaventapasseri. Se ne andarono.
- Torneremo…tanto sappiamo che è qui!
Rimasi in silenzio. Tutti i miei sforzi erano concentrati per non scoppiare
in una risata sguaiata davanti alle loro facce di merda.
Mariah risalì, gli occhi assonnati. Riprese a dormire e, da
allora, ancora si agitava sotto le lenzuola.
Dopo aver gettato la sigaretta rientrai in casa. Mi fermai appoggiato
sullo stipite della porta della nostra camera da letto. La guardai mentre,
ancora vestita, aveva gli occhi chiusi, un’espressione rilassata-ma-non-troppo
e le braccia alzate, distese sul cuscino, a circondarle il volto, quasi
andassero a formare la cornice di un quadro. Sembrava una bambina. Una
bambina a cui qualcuno, da troppo tempo, stava facendo cattivissimi
scherzi con una continuità demoniaca. Le paillettes sul maglioncino
avevano perso la loro leggerezza. Qualcuna era, adesso, sparsa sul letto.
Le raccolsi. Andai in salone con quelle piumette in mano. Accesi il
televisore ed iniziai a giocarci. Trasmettevano uno di quei reality
show a cui mi avevano abituato sin dall’infanzia. Era una delle
trasmissioni più seguite nell’etere italiano. “FREEHANDS”.
Un gioco in cui un uomo veniva lasciato in una zona malfamata di qualche
grande capitale. Doveva rimanere vivo per 100 giorni. Chiaramente doveva
riuscirci senza soldi, senza un posto dove dormire. Da solo e, per giunta,
nudo. Il povero disgraziato di questa puntata stava per essere malmenato
da una banda di barboni a cui aveva sottratto alcuni cartoni per coprirsi
durante la notte. Cambiai canale. La televisione Presidenziale (6 canali
che trasmettevano programmi clonati) non era proprio quello che ci voleva
in quel momento. NO! Aspetta! Canale 56. PoliceTV. 24 ore di collegamento
con le forze di polizia di tutta Italia. Le segnalazioni, i casi eclatanti.
Arresti, omicidi ecc. Facevano una documentario su come venivano cacciati
i, e cito la voce fuori campo, “negri”, gli “ebrei”,
i “meticci”, i “rossi” ecc. Uno spettacolo indecoroso.
Nei volti delle donne che venivano sbattute a destra e a manca da quelle
bestie vestite di verde rividi i lineamenti di Mariah.
Un rumore alle mie spalle. Era lei. In piedi. Vestita. Si stropicciava
gli occhi e si stiracchiava.
-Cazzo Amelie- sentì provenire da dietro le spalle prima di poter
realizzare che Mariah era sveglia, che quella della televisione non
era lei, che...
- Oddio mia sorella –
I giochi sembravano complicarsi. La storiella sentimentale da vivere
a pelo d’acqua - frase che continuavo come un coglione a ripetermi
– stava evidentemente precipitando in quell’abisso di complicazioni,
di compartecipazione che ben conoscevo e che ero deciso ad evitare
– E mo chi cazzo è Amelie?-
Fu quanto di meglio riuscì a sillabare, e considerato che sapevo
già la risposta, la guardai senza prestare attenzione a quanto
mi rispose.
Seduta sul divano, testa tra le gambe, con i capelli che le toccavano
il pavimento: sentivo la sua voce, rotta dal pianto, che mi raccontava
di una sorella nascosta da qualche parte a fare chissà cosa con
solo Dio sa chi.
Ascoltavo l’1% di quello che stava dicendo, - giusto le parole
chiave – mi dicevo, tanto il succo era chiaro: Amelie stava con
un fesso che si era fatto fregare dalla Pula, io invece ero riuscito
a tenerla nascosta...
Solo un momento da supereroe, per rendermi poi conto che per tenerla
nascosta io non avevo fatto proprio niente, se non abitare un piano
più in alto all’hacker del quartiere.
Ero nella merda fino al collo, ma continuavo a giocherellare con quelle
paillettes del maglione che tenevo ancora tra le mani: avrei dovuto
fare qualcosa, Mariah si aspettava che io facessi qualcosa, ma cosa?
Le mie capacità non andavano oltre il vederla vestirsi e spogliarsi
entrando ed uscendo dal mio letto...e lei lo sapeva, ma il fatto di
averla protetta la sera prima mi caricava di aspettative da parte sua,
se ero riuscito con lei avrei potuto fare qualcosa anche per sua sorella...
Stavo per dimostrare il mio cinismo dicendole che se non era per il
tizio, che avevo sempre considerato mezzo matto, ma al quale non avevo
mai fatto nessun torto – e forse per questo ora mi ritrovavo nella
merda - se non era per lui magari ora Mariah e la sorella si sarebbero
nuovamente ritrovate, quando sentii bussare alla porta.
Erano le due e mezza di notte, chi cazzo era? Mariah corse ingenuamente
a nascondersi in camera da letto, io aspettavo immobile un segno, una
ragione valida per aprire quella maledetta porta su cui il gatto continuava
a sfregarsi con non poco piacere:
- Apri maledizione- l’inquilino del piano di sopra aveva pronunciato
a denti stretti.
Di nuovo lui, aveva visto il programma, aveva creduto di riconoscere
Mariah e voleva avere notizie, da me? Che cosa potevo dirgli che già
non sapesse? Era solo un modo per piombare nella casa di un cristiano
alle due di notte senza sembrare un rompicoglioni... Mi disse che era
questione di ore e poi la Pula avrebbe setacciato tutto il palazzo e
che se non mi sbrigavo nelle prossime notti Mariah sarebbe stata solo
un bel ricordo...
Ora dovevo tirare fuori le palle prendere Mariah nascosta nella camera,
con ancora addosso il maglione di paillettes e scappare, scappare ma
dove cazzo vado? Tu dove cazzo andresti?- L’hacker mi guardò
con fare interdetto come a dire - avanti prendi un’iniziativa,
la più misera che hai...- e dalle labbra usci un -Vai dai tuoi-
Bella questa, se riuscivamo a scappare dalla Pula ed arrivare sani e
salvi dai miei, sarebbe stata mia madre a consegnare Mariah senza neanche
richiedere i 3000 euro in cambio...
Mia madre - mia zia - mio cugino, con un’associazione di pensiero
volai a lui, Andrea mi avrebbe aiutato.
Dopo qualche settimana…
Erano giorni che aspettavo una sua telefonata. Dovevano imbarcarla
segretamente su un battello che avrebbe portato degli immigrati/emigranti
in Francia. Non potevo far nulla. Per non destare sospetto. E ritornarono
a perquisire l’appartamento che avevo condiviso per due anni insieme
a Mariah.
- Allora? La puttana negra ce la vuoi far trovare?
Ero rimasto in silenzio il più a lungo possibile. Sarà
stata la lontananza da Mariah o l’arroganza di questi truci contadini
travestiti da poliziotti ma non ce la facevo proprio più a sopportare.
Due volte la Polizia Etnica dentro casa è una vera rottura di
coglioni, per chiunque.
- La puttana negra se n’è andata. E’ inutile che
cercate…
- Se n’è andata? Lo sai a cosa vai incontro con questa
dichiarazione?
Deglutii, me ne rendevo conto ma se non fossi esploso verbalmente probabilmente
sarei esploso fisicamente.
- Vuoi dire che sono reo confesso di aver nascosto un’immigrata?
- Bravo. Vedo che la fica nera non ti ha dato alla testa… Sei
sveglio. Un coglione sveglio… La conosci la pena prevista?
- Non me ne frega un cazzo!
- Ah Beh! Vediamo se continua a non fregartene dopo 3 anni di carcere
Lo odiavo. Quel poliziotto di merda. Ridicolo. Con quel suo naso rosso
e con quegli occhi da pesce esposto troppo a lungo sul bancone. Quel
verde imperante in ogni parte del suo vestiario dava al tutto un sentore
di ridicolo che prendeva la gola. E soffocava. Per non morire asfissiato,
per non finire in galera, per gli insulti a Mariah e perché mi
stava umanamente sulle palle non riuscii a trattenermi.
Era di fronte a me. Le braccia lungo il corpo. Mirai al naso, con un
pugno. Andò a segno. Non avevo la più pallida idea di
quanto potesse far male colpire l’osso. Il dolore alla mano era
lancinante. Il poliziotto barcollò per qualche secondo. Prima
che l’adrenalina, causa dolore, terminasse la sua azione nel mio
corpo sferrai un calcio balordo. Alle palle. Stramazzò al suolo.
Presumibilmente svenuto. Scappai lasciando la porta aperta. Scesi le
scale più in fretta possibile. Sfrecciai davanti alla portineria.
Presi la macchina parcheggiata lungo il marciapiede antistante la mia
abitazione. Al navigatore indicai “Casa di Andrea”. Dovevo
sperare che il poliziotto si svegliasse il più tardi possibile.
Altrimenti mi avrebbero braccato come una bestia feroce. Come la Peggio
Bestia della Presidenza. La pena prevista per aver aggredito un poliziotto
era di 10 anni. Aggiunti ai 3 per aver nascosto un immigrato diventavano
13.
Ero ormai vicino casa di mio cugino. Il navigatore indicava che, in
condizioni normali di traffico, sarei arrivato tra 5 minuti percorrendo
la strada a 90 km/h. Accellerai e superai i 120 km/h velocità
massima consentita in tutta la Presidenza (si poteva sempre comprare
una wild card ma costava troppo).
Accesi la radio. Avevo dentro un CD.
“Povera patria,
schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame che non sa cos’è il pudore
si credono potenti e gli va bene
quello che fanno e tutto gli appartiene….”
Tutto, prendetevi tutto. La mia casa, la mia macchina, i miei vestiti,
le mie palle piene…tutto…tranne Mariah…. sul display
del navigatore la Polizia mandò un messaggio inequivocabile.
- Lei è in stato di arresto. Accosti. Al più presto verrà
prelevato da una squadra di polizia. La ringraziamo per la collaborazione.
Cancellai il messaggio con un vaffanculo mormorato a labbra strette
a sottolineare la violenza del gesto e il disprezzo. Dal display notai
che mancavano 2 minuti all’arrivo. Andrea, l’ultima persona
che ci rimaneva per sperare in un futuro migliore, insieme. La villetta
a schiera era come al solito elegante. Senza tanti fronzoli. Mio cugino
era in giardino, seduto su una sedia.
- Mariah dov’è?
- E’ al porto. Sta per essere imbarcata sul battello. Tra pochi
minuti sarà in salvo.
- Cazzo… già al porto… non dovevi chiamarmi?
- Non ha voluto. Gli addii ha detto che non gli piacciono.
Inutile stargli a spiegare che volevo andare con lei. Quella storia
nata in maniera del tutto casuale e fortuita mi aveva assorbito e coinvolto
ogni oltre aspettativa. Volevo vivere insieme a lei, per sempre, lontano
da questo paese di merda. Iniziai a correre verso la macchina. Da lontano
si sentivano le sirene della polizia. 13 anni di galera stavano arrivando
di gran carriera. Girai la chiave. Partii. Interrogai il navigatore.
Doveva trovarmi la strada più breve. Preso da questo continuo
smanettare con la tastierina applicata appena sotto i bocchettoni dell’aria
condizionata per poco non tranciai una vecchietta che da lontano si
stava agitando e mi stava maledicendo. Mancavano 10 minuti al porto.
Dovevo farcela. Accellerai oltre i 140 km/h. La macchina fece partire
una segnalazione alla Centrale di Polizia. 1 anno di galera per eccesso
di velocità oltre i 140 km/h. 13 più 1 fa 14, dalle mie
parti. Cazzo, stavo diventando un eroe?
Al porto la sorveglianza era completamente sguarnita. Nessuno nella
postazione di controllo all’entrata, nessuno nelle vie buie e
zozze del porto stesso. Sembrava completamente deserto. Delle persone,
sul molo 5, si stavano imbarcando dentro una motonave. Parcheggiai vicino
alle transenne che separavano la zona aperta al pubblico dai moli. Presi
a correre disperatamente. Gridavo il suo nome con tutto il fiato che
avevo in gola. Dalla parte nascosta della barca iniziò ad uscire
del fumo nero. Era gasolio. Quell’odore inconfondibile che mi
stava entrando nei polmoni mi fece capire, ad un tratto, quello che
stava succedendo. Stavamo per dirci addio e scoprii che nemmeno a me
gli addii piacciono così tanto. Iniziai a correre più
velocemente possibile. Non ero mai stato una gazzella ma in quei momenti
mi sembrò di volare. Anche lì iniziai a sentire le sirene
della polizia. Erano entrati nel porto. Solo e soltanto per me. La barca
iniziò ad allontanarsi. Lentamente. Le gambe ormai sembravano
formare un mulinello. 5 metri. 10 metri. La barca si allontanava sempre
di più. Presi la decisione solenne. Dovevo spiccare un salto
per cercare di arrivare sino alla barca. Era una soluzione impossibile
ma ero sicuro che Mariah avrebbe fatto qualunque cosa pur di fermare
quella imbarcazione nel caso qualcosa fosse andato storto. Come un’atleta
durante una gara di salto in lungo puntai il mio piede destro sull’ultimo
mattone del molo. Misi quanta più energia mi rimaneva nelle gambe.
Cercai di saltare nel modo migliore. Come avevo visto mille volte durante
le gare di atletica. Un bel salto arcuato per coprire la maggiore distanza
possibile. Tutti pensieri vani. Appena spiccato il salto iniziai una
parabola discendente. E subito l’acqua. Solo in quell’istante
mi ricordai di non saper nuotare. Cercai di muovermi, di agitare braccia
e gambe, di non farmi prendere dalla paura. Iniziai a scendere sott’acqua.
Risalii con una spinta sovrumana delle gambe. Vidi, in maniera sfocata,
l’immagine di Mariah sul ponte che si sbracciava. Quelle paillettes
viola che venivano agitate dal vento… quant’era bella! Nera
lucente. I capelli ricci al vento. La figura snella. Riscesi sott’acqua
e riaffiorai con la faccia rivolta verso il Molo. La polizia aveva la
macchina con i fari puntati verso l’acqua. Due poliziotti con
la pistola tesa aspettavano soltanto il momento di vedermi morire. Se
non fosse successo entro breve avrebbero provato a darmi una mano. Perché
continuare a combattere? C’ero riuscito. Si erano presi tutto.
Compresa la mia vita. Tutto tranne Mariah, che ora era in salvo su quella
motonave.
“Mare mare mare voglio annegare
portami lontano a naufragare
via via via da queste sponde
portami lontano sulle onde”
E poi solo buio…
- Bienvenue en Corse, Monsieur. Son épouse attend
Guardai intorno. Non ricordavo assolutamente nulla. Aprii gli occhi
e davanti c’era un dottore con il camice bianco e Mariah al suo
fianco sorridente. Con quel maglione addosso. Quel maglione che mi aveva
fatto impazzire in tantissimi modi diversi. La chiamai vicino a me.
Si chinò.
- Dove siamo?
- Siamo in Corsica, siamo arrivati. Hai dormito per tutto 2 giorni.
Non preoccuparti di nulla. Ora siamo profughi politici. Possiamo ricostruirci
una nuova vita.
Si girò e rivolta verso il medico pronunciò, in perfetto
francese.
- Est-ce-que vous pouvez sortie, svp ? Nous voudrions rester (soli)
Il medico fece un sorriso e uscì.
Mariah ne approfittò subito e mi diede un bacio appassionato.
Con indosso quel maglione con le paillettes, ormai sfatte. Avrei mai
potuto comprargliene un altro?
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