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“Come si sbagliava Emily Dickinson!
La speranza non è quella cosa con le piume. La cosa con le piume
è mia nipote. Bisogenrà portarla da uno specialista...!”
La celebre battuta di Woody Allen mi venne subito in mente quando vidi
la camicetta che indossava Dorothea Patanè quel giorno.
La sua visita giunse inaspettata. La domenica mattina casa mia si trova
nelle stesse condizioni di un emporio devastato da un tornado o dell’abitazione
di un geometra scandinavo dopo che questi abbia ricevuto i numerosi
parenti di Frattamaggiore che non vedeva da anni. Quello poi era un
periodo particolare, c’erano problemi delicati da risolvere, per
cui il poco spazio lasciato libero dal magma di cianfrusaglie che accumulavo
senza soste, lo utilizzavo per la tradizionale seduta di psicoanalisi
con Manfred il geko.
Non ricordo com’era iniziata la cosa ma sta di fatto che Manfred
attraversava da mesi una fase di blocco psicologico con riflessi alimentari.
Dio solo sa perché, ma in lui si era insinuato un inspiegabile
senso di colpa nei confronti delle zanzare delle quali da sempre si
cibava. Aveva di conseguenza impostato la sua dieta su basi vegetariane.
Mangiava il muschione che riveste le pareti della mia stanza da letto,
col tempo aveva assunto un innaturale colorito verdognolo ed io subivo
gli effetti dei suoi rimorsi. Già, perché la psiche delle
zanzare non è certo tenera come dimostrava di essere la sua.
Felicissime della tregua militare, ne avevano immediatamente approfittato
per eseguire su di me tante e tali trivellazioni da farmi somigliare
a Bruno Vespa dopo un perentorio attacco di scarlattina.
Così, tutte le domeniche mattina, con santa pazienza, cercavo
di parlare con Manfred, di ricordargli i millenari meccanismi della
natura, l’implacabile ragion d’essere della catena alimentare
e via dicendo. sembravo il cugino scemo di Piero Angela ma al momento
i miei sforzi apparivano fatica sprecata: lui non riusciva a sbloccarsi.
Suo nipote, preoccupatissimo, era venuto a stare da noi e grazie al
cielo si era subito rimboccato le maniche. Si ingozzava di zanzare per
due. Aveva messo su parecchi chili, non si è mai visto un geko
così a quell’età, ma i miei bubboni stavano scomparendo.
Fu proprio mentre nel pieno di una delle nostre conversazioni stavo
mostrando a Manfred un cartello di stampo razzista col ritratto denigratorio
di una zanzara e la scritta SONO STRONZISSIME! STERMINATELE!, al fine
di condizionarlo positivamente, che sentii un deciso bussare alla porta
d’ingresso, subito seguito da una robusta salva di ruggiti e bestemmie.
Il campanello di casa è pressoché introvabile, celato
da alghe, plancton e conchiglie e, ovviamente, anche avendo l’incredibile
ventura di riuscire a stanarlo, non funzionerebbe. La porta del mio
appartamento ha invece la caratteristica peculiare e infida di sembrare
fragile, quasi diroccata. In realtà ha una fibra d’acciaio,
guai a chi ne sottovaluta la consistenza, la paga amaramente. Ne sa
qualcosa il postino che a furia di picchiettare si è ritrovato
i moncherini e nessuno spazio per allacciare il suo Rolex contraffatto...
Quando, trascorsi alcuni secondi dallo spegnersi dell’ultimo gemito
aprii la porta, inquadrai l’attraente figura di Dorothea Patané
ancora un po’ sofferente, fasciata da una leggera camicina con
piume rosa svolazzanti sul petto e microgonna celestina in plexigas.
Era come sempre straordinaria, la donna più bella e seducente
del creato.
L’avevo conosciuta due anni prima in circostanze singolari. Attraversavo
un periodo bohemienne dopo aver trascorso alcuni mesi in carcere, condannato
per manomissione di notaio. Il tempo passato in galera mi aveva regalato
il privilegio di conoscere e di conversare in cella con personaggi eccezionali,
dai quali ero rimasto affascinato. Pensate ad esempio ad Aristide Mercalli,
sbattuto dentro per aver letto brani scelti dell’Odissea ad una
massa di pensionati in fila alle Poste Centrali. Ricorderete certo anche
l’aristocratica figura di Giuseppe Gioacchino Tiremm Innanz, il
tornitore che pur essendo stato sorteggiato tra milioni di individui,
aveva rifiutato di concorrere al telequiz “La Sbobba!!”
ed era stato quindi condannato a quattro anni per comportamento antisociale.
E’ difficile incontrare gente di tale tempra nella vita di tutti
i giorni. Per questo, uscito che fui di galera, mi ritrovai, senz’arte
né parte, a confrontarmi con la noia. Per un po’ stetti
a baloccarmi col nulla ma fui ben presto costretto, senza soverchio
entusiasmo, a riprendere la mia vecchia occupazione di scrittore di
gemiti e ansimi per le produzioni porno. Mi rendevo conto di essere
cambiato e di lavorare senza troppa ispirazione. A volte, per cercare
a tutti i costi di essere originale in quel campo così ristretto,
combinavo guai. Fui strapazzato ad esempio da un regista di un metro
e quaranta di altezza per aver fatto esclamare “In fede mia lo
stupore mi pervade!” ad una attrice cinese nudissima, nella scena
in cui viene circondata da sessantacinque nani vogliosi nell’angusto
bagnetto di servizio di un cascinale in Romania.
Al di là dei problemi di lavoro, la verità è che,
mancandomi lo stimolo intellettuale che i compagni di cella mi avevano
fornito per mesi, ero sfinito dallo spleen e tendevo ad infilarmi in
situazioni estreme.
Una sera uscii di casa diretto verso la buia periferia.
Avevo avuto un’imbeccata sicura ed ero deciso a gustarmi una bella
mostra d’arte clandestina..
La mostra, montata tra grandi cautele nell’abitazione privata
di un bidello lituano si intitolava “I Tesori del Gabon”.
Mentre mi affrettavo verso la mia meta cercando di non dare nell’occhio,
venni improvvisamente intercettato e bloccato da un tizio col bavero
dell’impermeabile alzato, un cappellone da gangster ben calcato
sulla testa e spessi occhiali scuri. Ora, la cosa buffa è che
anch’io, che forse mi ero calato un po’ troppo nella parte
del clandestino, ero conciato nello stesso, identico modo. Altro che
anonimato! Erano le dieci di sera, era buio , non pioveva e faceva un
gran caldo. Eravamo entrambi vistosi e ridicoli. Il tale, tuttavia era
in vantaggio su di me: aveva una pistola e con l’esibizione della
medesima ed un grugnito, mi convinse subito a seguirlo. Mi resi ovviamente
conto di essere incappato in una retata. Erano operazioni abbastanza
frequenti con le quali si rastrellavano persone beccate a non guardare
la televisione nelle ore consigliate o che, peggio ancora, boicottavano
il divertimento notturno, ostinandosi a frequentare biblioteche abusive
o mostre d’arte clandestine. Di solito coloro che per insipienza
o per sfortuna venivano acchiappati, erano dirottati a forza e senza
tanti complimenti verso i locali aperti tutta la notte: discoteche,
pubs thailandesi, videoristonarghilèbar, paradisi del samba o
altro ancora.
Fui stipato in un autobus pieno zeppo, pigiato ben bene assieme a decine
di persone pallide per lo spavento. Molti dei rastrellati, uomini e
donne dall’aria colpevole, stringevano tra le mani i cataloghi
delle mostre che avevano appena fatto in tempo a visitare prima di essere
presi. Sui loro volti congestionati dalla tensione, leggevo la mia stessa,
orribile paura, quella cioè di essere trascinati a fare il Karaoke
in qualche immenso discopub nippobrasiliano. Scoprimmo tutti ben presto
che non sarebbe andata così, quella sera. Forse andò peggio.
Finimmo tutti al corso di merengue tenuto dall’improbabile maestro
Ciro Duarte presso i locali della palestra “El Coguaro”.
Fu devastante.
Quando fummo finalmente rilasciati verso le tre del mattino, molti tra
noi versavano in condizioni allarmanti.
I nostri vestiti erano stati sequestrati e ci avevano imposto panni
così sguaiati da farci sembrare una di quelle deprimenti comitive
Babatour appena risputate da un soggiorno superdivertentissimo a Santo
Domingo. Ricordo perfettamente il pianto sommesso, educato vien voglia
di dire, di un anziano e civilissimo signore, umiliato da un camicione
acrilico a fioroni gialli verdi e rossi e da un paio di bermudoni fucsia.
Sua moglie, una donna pienotta con le varici, indossava un bikini di
strass nero. Ancora fuori di sé, emetteva di tanto in tanto dei
flebili “Ola!” e “Carramba!”. Le avevano schiaffato
del gel azzurro in testa...
Incredibilmente, tra tutti quegli sciagurati, io mi sentivo bene. Durante
il corso coatto di merengue avevo conosciuto infatti Dorothea Patanè.
Una meraviglia di quel calibro non poteva certo passare inosservata.
In effetti, mi disse poi che era stata la prima a farsi pizzicare all’uscita
di una mostra dedicata all’Arte Religiosa a Togliattigrad.
Scesi dall’autobus ci eravamo ritrovati vicini nel locale e nel
corso della nottata avevamo capito di essere sulla stessa lunghezza
d’onda. Avevamo finto di ballare il merengue, parlando intanto
di ragtime, jazz, buon rock ed altro ancora, sparando di frequente un
bell’ “Olé” per non dar nell’occhio.
Sfuggiti infine alla pesante aria di spensierato divertimento tropicale
che si respirava all’interno della palestra “El Coguaro”
ed alla sospettosa cura di Ciro Duarte e dei suoi guardiani in bermuda,
ci sentivamo una cosa sola.
Concludemmo la storia a casa mia e fummo a un passo dal concepire Alfred,
il figlio che non ho ancora avuto.
Da allora non ci siamo più persi di vista e la nostra relazione,
troppo atipica per essere definita un fidanzamento tradizionale, ci
regala comunque gioia e complicità costanti.
Per questo la sua apparizione, quella domenica mattina, seppur piumata
e inaspettata, mi rese ancora una volta felice.
Mentre Manfred il geko continuava a rimirare poco convinto il ritratto
razzista della zanzara che gli avevo fornito e suo nipote si ingozzava
di insetti dalle parti della finestra, Dorothea con un gesto fulmineo
ed un gran sorriso mi agitò davanti al naso due colorati tagliandini
di carta.
“Si va in vacanza mio adorato – trillò garrula –
ce lo meritiamo. Due biglietti aerei per un soggiorno di sogno in Giamaica!!
Pensaci, cannoni e reggae come piovesse...!”.
Spaventata dal mio improvviso barcollare, si affrettò subito
ad aggiungere:”Dai, scherzavo. Giuro che stavo scherzando. Dio!
Sei bianco come un cencio...”
Due giorni dopo, felicissimi, partimmo per una vacanza all’insegna
di una sana tetraggine tra le cupe atmosfere delle cattedrali gotiche
del Nord Europa.
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