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(Roma, 1493)
Dentro quella cella l’ambiente era soffocante. L’umidità
si condensava sulle pietre e, gocciolando a terra, formava un acquitrino
che si mischiava con urina e feci. Il pagliericcio che costituiva il
giaciglio su cui riposare era completamente fradicio. Una donna tossiva
continuamente e due uomini parlottavano vicini.
- Basta! Non mi concentro a dovere! Devo ricordare una canzone da dedicare
al mio amico – gridò Timoteo guardando con occhi severi
la povera donna che stava piegata sul pagliericcio tenendo una mano
all’altezza dello sterno.
- Non posso farci niente – quasi biascicò la donna –
E’ da parecchio tempo che mi trovo in queste condizioni.
Il terzo cercava di far finta di nulla, da un lato la pena per la donna
e dall’altro la gioia che quel bel ragazzo gli volesse dedicare
una canzone. All’improvviso Timoteo con il piede gettò
uno schizzo di acquamistomerdaepiscio sulla donna, in segno di disprezzo.
- Spero che la tua fine sia vicina, non ti sopporto più –
avvicinandosi e sussurrandogli queste parole all’orecchio.
- Che tu sia maledetto – lei cercò di gridare con quanto
fiato aveva in gola.
- Alessandro… cosa ne pensi? La vogliamo uccidere noi? …
magari guadagniamo il perdono da parte degli Inquisitori – disse
Timoteo facendo l’occhiolino al suo compagno di cella.
- Ma… io… non me la sento… - ed iniziò a piangere
combattuto com’era tra il terrore di trovarsi in mano all’Inquisizione,
la pena per la donna malata e il fascino irresistibile di quell’uomo.
- Ah! Ecco! Mi viene in mente una canzone del mio amico Lorenzo…
di Firenze… - e prese a cantare -
Le cose al contrario vanno
Tutte, pensa a ciò che vuoi:
come il gambero andiam noi,
per fare come l’altre fanno.
E’ bisogna oggi portare
Gli occhi drieto e non davanti,
né così possi un guardare:
traditor siamo tutti quanti;
tristo è che crede a sembianti
chè riceve spesso inganno.
Però noi facciam senza
Di questo nostro ire addietro
È s’intende, oggi ognun l’usa:
questo è ‘l modo consueto
chi lo fa, dunque, stia cheto;
noi sentiam che tutti il fanno.
- E’ dedicata proprio ai sodomiti come te, Alessandro –
disse ammiccando Timoteo.
Dentro la cella calò il silenzio dovuto all’imbarazzo ed
alla rabbia. L’avrebbero ucciso loro, iniziò a pensare
Alessandro che non aveva gradito granchè la dedica. Il perdono
da parte dell’Inquisizione l’avrebbe guadagnato comunque,
no? Sentirono un rumore di passi che si faceva sempre più vicino.
Passi di diversi uomini. Alessandro e la donna si alzarono e si misero
al fianco di Timoteo, schiacciati al muro. Nei loro sguardi puro terrore.
Arrivò un uomo armato. Iniziò a scrutare l’interno
cella.
- Uscite dall’ombra, peccatori. Sta arrivando l’Inquisitore
della Santa Sede.
Nessuno si mosse. Tutti gli sguardi si concentrarono su Timoteo. Come
se attendessero una sua mossa.
- Uscite dall’ombra. Questa ritrosia verrà considerata
prova inconfutabile delle accuse a vostro carico!
Alessandro e la donna fecero un balzo in avanti. Timoteo stava inginocchiato
a terra a cospargersi il corpo con l’acqua lorda che stava sul
pavimento. Si rialzò lentamente e si avvicinò alle inferriate
quasi ringhiando. Dopo qualche istante arrivò l’inquisitore
nella sua tunica bianca e marrone. La tonsura era abbastanza evidente,
quasi fosse stata ritoccata da poco.
- Di quali reati contro il SignorenostroDio si sono macchiati questi
peccatori?
- La Santa Inquisizione ha portato davanti alla giustizia divina un
sodomita, tal Alessandro da Benevento, e due persone dedite alle pratiche
di stregoneria, Timoteo da Vienna e Camarilla da Roma.
- Tutti servi, ognuno a modo suo, del Maligno, mi sembra di capire.
- Esattamente Magister.
- Verranno interrogati secondo le tecniche illustrate dal Mallus Maleficarum
domani mattina appena il sole si sarà destato – sussurrò
sottovoce alla guardia in maniera tale che anche i prigionieri sentissero.
Alessandro tremava come una foglia, Camarilla iniziò a piangere
singhiozzando mentre Timoteo aveva dipinto sul volto un ghigno da animale
in gabbia. L’inquisitore fece un cenno sbrigativo alla guardia
armata e, prima di andarsene, gettò un fiore all’interno
della cella.
- Il solo amore perfetto è quello verso Dio. Credo che questo
fiore orientale possa donarvi la giusta ispirazione per ritrovare la
strada del Signore.
(LATINA, 2004)
All’interno della Questura la tensione si tagliava con il coltello.
L’omicidio Labanti aveva scosso tutti i poliziotti in servizio.
La mobilitazione per trovare il colpevole era stata massiccia ed era
durata tutta la notte. In quella città non erano abituati a delitti
di inaudita violenza. Dopotutto non era quella «la città
che dormiva» come l’aveva definita il Commissario Capo,
Marco Tinigri, alle nuove reclute?
In quel momento entrò il portiere del palazzo in cui la famiglia
Labanti abitava ormai da anni per un interrogatorio.
- Commissario è arrivato il portiere!
- Arrivo subito, Otinetti, fallo accomodare.
Tinigri stava finendo di assaporare una sigaretta, la prima dopo tanti
anni. Continuava a fumarla affacciato alla finestra fissando le macchine
che passavano ed i movimenti nei negozi di fronte. Non riusciva a togliersi
dalla mente il ricordo del corpo straziato della donna. Un corpo quasi
totalmente privo di sangue, preso a morsi un po’ ovunque, le dita
rattrappite per il dolore e lo sguardo fisso in una espressione di terrore.
Scosse la testa. Spense la sigaretta nel posacenere. Si avviò
nell’altra stanza.
- ‘Ngiorno Commissà – fece il portiere sorridendo.
Un’espressione che si tolse subito dal volto appena riuscì
a focalizzare l’aria turbata di quello che l’avrebbe dovuto
interrogare.
- Buongiorno Signor Braga – mormorò Tinigri – si
è ripreso?
- Be… diciamo di si… conoscevo la signora Labanti ma nun
me sarei mai immaginato che potesse fa ‘sta fine
- In che senso?
- Ner senso che la signora non usciva quasi mai de’ casa. Non
riesco a capì perché l’hanno ammazzata!
- A questo ci pensiamo noi. L’abbiamo chiamata per sapere i movimenti
avvenuti ieri all’interno del palazzo.
- Che je devo dì… ieri pioveva e c’è stato
un viavai continuo. Er marito de la signora è uscito presto de’
casa… fa il ricercatore alla CDS… quell’associazione
pe’ donà ‘r sangue… - Tinigri prese un foglio
di carta, tirò fuori la penna dalla giacca pronto a segnare qualsiasi
informazione – la moje me pare che fosse annata a fa la spesa…che
potevano esse… le 10 e mezza… le undici… perché
a quell’ora io me stavo a vedè un telefirm su Itaia 1…
- iniziò a grattarsi la testa – Ah! Mo che me ce sta a
fa pensà… me ricordo che… mentre stavano a fa la
pubblicità me pare che era rientrata co’ n’artra
persona… se conoscevano… perché lei stava a ride…
- Tinigri seguiva con attenzione – e so’ saliti coll’ascensore…
- volse lo sguardo verso il basso - poi la signora non l’ho mai
più rivista. Viva intendo.
- Si ricorda com’era fatta la persona con cui stava la signora?
Cosa stava facendo? L’aiutava a portare la spesa, per esempio?
- Era un signore molto alto, biondo, muscoloso… m’o’
ricordo bene… giacca e cravatta… ed era veramente pallido…
pallidissimo da fa paura… pe’ me quello ar mare nun c’è
mai annato…
Tinigri rimise la penna in tasca e si alzò dalla sedia dietro
la scrivania. Volse lo sguardo verso Otinetti.
- Continua tu… io vado nel mio ufficio. A proposito, chiama uno
per l’identikit così proviamo a concludere qualcosa almeno
entro questa mattina.
Rientrò nel suo ufficio. Mosse leggermente il mouse per interrompere
lo screensaver. Si accomodò. Nei plichi di fogli e cartelle ai
suoi lati cercò il materiale relativo al caso Labanti. Il rapporto
provvisorio della Scientifica, ad esempio. Da qualche parte doveva esserci
qualche straccio di indizio, no? Squillò il telefono.
- Commissario? Ha telefonato il Centro Donatori Sangue… vorrebbero
conferire per il caso Labanti… nella loro sede…
(ROMA, 1493)
All’esterno pioveva e tuonava. Dalle fessure in alto continuava
a gocciolare l’acqua e la situazione, sul pavimento, era peggiorata
molto. A peggiorare erano state anche le condizioni di Camarilla che,
ormai, non riusciva più nemmeno a dormire a causa della tosse.
Alessandro versava in condizioni mentali disperate mentre Timoteo stava
perdendo la sua proverbiale arroganza, come se si stesse affievolendo
lentamente.
- Non resisto... Non dormo da diversi giorni e nessuno ci inquisisce.
Non è questa la dimostrazione che non sono una strega? Sarei
guarita da sola, no?
- Camarilla… un rimedio… volendo… ci sarebbe…
– sussurrò Timoteo che stava abbandonato sul suo pagliericcio
in un cantuccio, all’ombra.
- Quale? – domandò incuriosita la donna tra un colpo di
tosse e l’altro.
- Vuoi dormire? Basta soltanto toglierti un po’ di sangue. Calma
l’organismo… talmente tanto… che potrebbe permetterti
di dormire.
La donna aveva l’aria riflessiva. La proposta di Timoteo, in condizioni
di normalità, l’avrebbe fatta ridere di buon cuore o l’avrebbe
portata a fuggire a gambe levate. Dentro quella cella, con quell’umidità
e con la condizione in cui versavano sembrava una proposta come un’altra.
Da valutare.
- Come fai a togliermi il sangue? Non ci sono le sanguisughe…
- Ci penso io… un morso al collo… in mancanza delle sanguisughe…
Alessandro faceva finta di dormire… non riusciva nemmeno lui a
riposare dentro quell’umidissimo letamaio. Ascoltava in silenzio
quasi terrorizzato. Timoteo negli ultimi giorni gli era tornato simpatico.
Si era calmato ed era sembrato anche più affabile.
- Un morso al collo? – aveva domandato quasi inorridita Camarilla
- Sono un medico… se non avevo sanguisughe a disposizione dovevo
inventarmi qualche cosa, no? Mi si sono sviluppati, nel tempo, anche
gli incisivi… Guarda? – e mostrò la sua strana dentatura
- Perché non mi hai aiutato prima se sei un medico? – la
donna sembrava avere l’aria offesa.
- Pensavo che migliorassi spontaneamente… non credevo che la situazione
sarebbe peggiorata così tanto – ed il tono dell’uomo
sembrava tra i più sinceri che avessero mai sentito.
La donna mostrò il collo a Timoteo reclinando lentamente la testa
da una parte. Passarono solamente una manciata di secondi e l’uomo
si avventò sulla giugulare della donna e prese a succhiare per
quelli che sembrarono, almeno ad Alessandro, minuti lunghissimi. Finita
l’operazione la donna venne adagiata sul pagliericcio, addormentata.
- L’hai uccisa? – chiese piagnucolando Alessandro.
- No. Sta dormendo. Non voglio uccidere nessuno. Voglio aiutarvi.
- Puoi aiutare anche me?
- Si. Posso aiutare anche te.
Alessandro si mise a sedere sul pagliericcio e mostrò il collo
a Timoteo. Quest’ultimo si avventò con meno foga su Alessandro.
Il beneventano provò un piacere sublime sia perché l’uomo
lo stava “baciando” sul collo sia perché provava
una sensazione di abbandono corporeo. Piacere che lo fece sentire realmente
e consapevolmente colpevole delle accuse fatte dalla Santa Inquisizione
a suo carico. Timoteo abbandonò anche lui sul pagliericcio in
uno stato di sonno profondo. Sorridendo.
(LATINA, 2004)
La sede del CDS si trovava in una lussuosa villa in centro città.
Ad aver telefonato in Questura era stato il Presidente della Fondazione,
Presidente anche di una multinazionale importante. Tinigri, prima di
recarsi, si era informato. Aveva scoperto che la CDS era una fondazione
che, in breve tempo, aveva soppiantato le vecchie associazioni di donatori
del sangue. Una fondazione privata che viveva soltanto con i finanziamenti
di una multinazionale. C’era anche un loro spot, ci aveva fatto
caso da poco, che girava per tutte le televisioni. Iniziava con un tulipano
che stava morendo cadendo verso terra, quasi adagiandosi. Sul fondo,
viola e blu la facevano da padroni mischiandosi e contorcendosi. Appena
visibili dei rami secchi. All’improvviso una goccia di sangue
cade in terra. Il tulipano inizia a rivivere ed a riprendere colore.
I colori dello sfondo diventano quelli di un’estate meravigliosa.
Giallo, rosso, verde, azzurro. Fuori campo una voce calda, sensuale
e femminile dice:«Dona la vita anche tu». Dissolvenza. Fermo
immagine del logo. Un tulipano stilizzato. CDS.
- Commissario, la stavo aspettando
Tinigri venne preso alla sprovvista. Fece un balzo.
- Mi dispiace di averla spaventata. Piacere Riccardo Pagliaroli, VicePresidente
della CDS. Il Presidente Costantino non la può ricevere oggi.
Ci siamo noi dello staff, comunque, e le daremo tutta l’assistenza
possibile.
Il VicePresidente aveva tutta l’aria di essere un uomo di scienza.
Occhiali rotondi, faccia a triangolo rovesciato, capelli ricci leggermente
più lunghi del normale e aria assolutamente mite.
Si sedettero all’interno di una sala riunioni molto elegante.
Moquette, tavolo in legno pregiato e sedie in pelle.
- Per quale motivo mi avete convocato qui?
- L’abbiamo convocata presso la nostra sede perché il signor
Labanti, che sta arrivando in aereo da Madrid, è un nostro dipendente.
- E con questo? Avete qualche informazione che può esserci utile
e che fa riferimento alla vostra fondazione?
- Non propriamente. Sappiamo che qualcuno vuole cercare di fare del
benchmark scorretto nei nostri confronti… - Tinigri lo guardava
sconcertato, l’uomo continuava imperterrito come se stesse leggendo
una ricetta – abbiamo dovuto istituire un corpo di polizia privata
e stiamo avviando delle indagini.
- Non credete nel lavoro della polizia? – il Commissario avrebbe
voluto gridare, strillare, puntargli la pistola, prenderlo a sberle
ma doveva mantenere la calma.
- No. Non intendevo questo. Mi perdoni se le ho dato un’impressione
sbagliata. Crediamo nelle istituzioni. Tutte. Indistintamente. La nostra
è, se vogliamo, un’azione preventiva. Dobbiamo sapere cosa
succede per preservare la nostra fondazione da qualsiasi attacco esterno…
- Siete una fondazione di donatori di sangue… non riesco ad immaginare
chi possa esservi nemico – il tono era veramente stupito.
- Se ho parlato esponendomi così tanto è perché
siamo sicuri dei dati in nostro possesso. Il sangue è un bene
primario, prezioso e c’è qualcuno che vorrebbe lucrarci
senza fare troppa attenzione alle leggi che regolano il mercato. Noi
della CDS dobbiamo tutelarci.
- Ho capito… Posso parlare con qualcuno della vostra polizia…privata
per vedere a che punto sono arrivate le vostre indagini?
- Certo – e pigiò un tasto sull’interfono –
Puoi far venire il signor Ferrucci? – e rivolgendosi nuovamente
al commissario - Sa… dall’esterno sembra tutto pacifico,
calmo. Noi, invece, dobbiamo fare i conti con una associazione criminale,
tutti i giorni.
- Potevate rivolgervi alla polizia… ed evitare magari che ci andassero
di mezzo altre persone
Pagliaroli ebbe uno scatto d’ira, subito represso. Si aprì
la porta alle spalle del commissario. Entrò un biondo, muscoloso,
pallidissimo ma che non corrispondeva all’identikit dell’assassino.
- Commissario Tinigri le presento il signor Ferrucci, Capo della nostra
vigilanza.
Dopo i convenevoli di rito entrarono subito nel vivo della discussione.
- L’indagine privata come procede? – chiese con un velo
d’ironia Tinigri
- Sappiamo da quali ambienti viene il colpevole. Fa parte di una organizzazione
criminale che vuole entrare clandestinamente nel traffico del plasma.
(ROMA, 1493)
L’Inquisitore aveva preso l’abitudine di passare ogni giorno
alla cella dei 3 detenuti alle prime luci dell’alba e aveva anche
preso l’abitudine di rinviare l’interrogatorio al giorno
dopo. Come segno del suo passaggio lanciava sempre quel fiore dalla
vaga forma di un turbante. Era sempre accompagnato da due guardie armate.
Solitamente dopo qualche tempo inziavano a provenire, da un posto lontano,
grida di dolore che facevano accapponare la pelle. Camarilla, lentamente,
si stava riprendendo dalla sua malattia ed aveva attribuito, erroneamente,
questa sua guarigione ai “baci” di Timoteo. Alessandro,
invece, il gesto di Timoteo aveva iniziato a fraintenderlo. Aveva pensato
che, forse, quella era tutta una messinscena per ottenere il massimo
dalla situazione e sfogare una segreta attrazione fisica nei suoi confronti.
Per ricambiare il gesto d’affetto aveva preso a toccarlo nelle
parti intime quando si avvicinava per i suoi “baci”.
Giunse anche il momento degli interrogatori. Strazianti per chi li
subiva. L’Inquisitore si era rivelato, con quei modi rassicuranti
da fervente cattolico, un grande conoscitore di torture, sia fisiche
che mentali. Alessandro, per esempio, era stato sodomizzato ripetutamente
con un ferro incandescente mentre Camarilla aveva subito delle ferite
gravi al seno attraverso l’utilizzo di due pinze gigantesche.
Ogni volta tornavano stremati da questi interrogatori. Timoteo, invece,
non sembrava assolutamente provare dolore ed ogni volta che veniva messo
alla Garrota guardava con occhi gelidi il suo aguzzino. Un giorno, però,
all’ennesima prova della Garrota, Timoteo iniziò a strillare
cogliendo di sorpresa tutti. Credevano di avere davanti il Diavolo in
persona ed invece…
- La prova che Dio è con noi – sussurrò all’orecchio
dell’aguzzino l’Inquisitore.
Le grida sovrastarono quelle di Alessandro e Camarilla che, nella cella,
si stavano contorcendo dal dolore.
- Timoteo, servo del Maligno, il tuo signore ti ha abbandonato?
- NO – uscì una voce strozzata – il mio Signore…
è anche il suo…
- Stai dicendo il falso. Il mio Dio è il Signore dei Cieli, il
tuo è il signore degli Inferi.
- NO! – e le grida risuonarono nuovamente in maniera potente rimbombando
all’interno di quello stanzone costellato di oggetti infernali.
- Vuoi confessare la tua adorazione per il diavolo? Vuoi gridarla ai
quattro venti? Solo così puoi avere salva la vita – e rivolto
all’aguzzino – Apri le finestre! Fai entrare il Sole!
- NO – gridò ancora Timoteo – Confesso tutto. Confesso
tutto.
- In nomine patrii…
- Sono quei due nelle mie celle a … - e l’affanno ebbe il
sopravvento – ad avermi corrotto… non volevo… ma mi
hanno costretto… con qualche sacrilegio....
- E allora perché strillavi? – insinuò l’Inquisitore
- Perché il Diavolo… stava uscendo dal mio corpo –
sibilò dolorosamente Timoteo che aveva l’aria stremata.
- Vuoi confessare che quel sodomita e quella strega hanno fatto un sacrilegio
su di te… incantandoti… - l’Inquisitore stava cercando
di ragionare – E allora le accuse che gravano su di te e che ti
hanno portato davanti alla giustizia del Signore?
- Questo sacrilegio dura da parecchio tempo… e mi aveva portato
a fare cose indicibili nel mio villaggio… la vicinanza, poi, aveva
reso il tutto di una potenza ancora più vincolante del solito.
- Hai salvato la tua anima. Ti sei guadagnato la vita, lo sai? I due
complici verranno condannati al rogo – sentenziò solennemente
l’Inquisitore – l’esecuzione è prevista per
domani mattina – si voltò verso l’aguzzino e non
cosciente del proprio tono cercò di bisbigliare – domani
mattina prepara il rogo per quei due e domani pomeriggio preparalo per
lui. L’ingenuità e la debolezza di spirito non possiamo
tollerarle… è come spalancare la porta dell’anima
al Demonio.
Timoteo ascoltò tutto in gran silenzio. Tornò in cella.
Rimase in silenzio recitando la parte del sofferente. I due si stavano
lentamente riprendendo dai dolori.
- Ci salveremo? – chiese Alessandro sdraiato a pancia in sotto
- Domani saremo tutti salvi – sussurrò Timoteo
Durante l’esecuzione dei due, che l’avevano maledetto dalla
Piazza tra le urla di giubilo del pubblico, Timoteo era rimasto in silenzio.
Aveva capito molte cose durante quel soggiorno. Loro e gli umani potevano
convivere sotto lo stesso tetto: quello del mondo. Dovevano, però,
mischiarsi. La vendetta. L’odio. La follia. Potevano annientarli.
L’Inquisizione aveva bruciato parecchi di loro. Li aveva presi
da soli. Li aveva fatti indebolire esponendoli al sole e facendogli
mancare il sostentamento. Li aveva bruciati. La sua fortuna era stata
convivere in quella cella con due umani. Una fortuna che non poteva
dimenticare in fretta. Avrebbe riunito i suoi fratelli in una Congrega.
Camarilla. In nome di un sentimento provato che non sapeva qualificare.
Un sentimento che aveva fatto fatica a reprimere proprio il giorno dell’esecuzione.
- Tocca a te!
Negli occhi di Timoteo nessuna sorpresa. L’avevano incatenato,
mani e piedi, con le spalle al muro. L’aguzzino si avvicinò.
Timoteo ebbe uno scatto fulmineo. Tentò di tirare un pugno in
faccia all’aguzzino che si era tenuto a debita distanza. L’ultima
cosa che sentì quest’ultimo fu il TAC della catena che
cedeva di schianto. Poi divenne cibo per vampiro.
(LATINA, 2004)
Il Commissario Tinigri aveva preso a girovagare per la città
durante la notte insieme ad alcune guardie della CDS. Le prove tradizionali
non c’erano. Le deposizioni non avevano portato ad alcuna pista.
Quella era l’unica via: seguire le indicazioni della polizia privata.
Era entrato nel mondo della perversione notturna di quella città,
che aveva considerato, sbagliando, sempre troppo tranquilla. Feste a
base di droga, sesso e alcol. Violenze gratuite tra bande... Quella
sera, all’interno di un locale che dovevano controllare, un gruppo
stava suonando musica Hip-Hop. Lui stava battendo il tempo sul tavolino
con il vigilantes biondo della CDS, tal Girolamo Giovanni, che sembrava
completamente insensibile al ritmo incessante. Due tavoli più
in là una banda di persone. Erano Loro, almeno una parte di Loro.
All’improvviso un ragazzo con il berretto ben calato in testa
si alzò in piedi, scostò il giubbotto, prese qualcosa
dalla tasca interna. Si avviò verso il palco con un braccio disteso
lungo il fianco. A pochi passi dal gruppo musicale (composto da 3 persone)
iniziò a fare fuoco. Gli spari rimbombarono nelle orecchie di
tutti. Nel locale tutti si avviarono follemente verso l’uscita
quasi camminando uno sull’altro. Tinigri e il poliziotto privato
rimasero seduti. Finita l’esecuzione quelli del tavolino si avvicinarono
ai corpi delle vittime ed iniziarono a raccogliere il sangue a terra
con le dita e presero a leccarne la punta, quasi fosse Nutella. Tinigri
a vedere quella scena prese a respingere rumorosamente conati di vomito
che montavano con sempre maggiore intensità. Si girarono tutti
nella loro direzione.
- Un Castigatore!
Il biondo prese velocemente la pistola all’interno della giacca
cacciando un «Maledizione» a denti stretti. I 3, in un baleno,
cercarono di guadagnare l’uscita. Uno di loro venne trafitto alle
spalle da un proiettile. Cascò a terra. Iniziò a bruciare.
- Cosa cazzo hai fatto! Cosa cazzo hai fatto! – Tinigri prese
a gridare.
- Ci avrebbero sparato loro – disse lui quasi a giustificarsi
- CHE CAZZO DI PROIETTILI HAI USATO? – a Tinigri non importava
della sorte di quel cristo, non di quello almeno.
- Proiettili in dotazione alla polizia privata della CDS – rispose
con sicurezza Girolamo
- Devo dichiararti in arresto… – nel mentre tirò
fuori la pistola e gliela puntò contro – Puoi avere tutti
i porti d’arma che ti pare, quei proiettili non sono legali, ad
occhio e croce
- E’ meglio che vieni in sede con me – il tono del poliziotto
privato si era fatto gelido.
- Che fai mi arresti?
- Vieni con me, stronzo! – anche il biondo puntò la pistola.
Tinigri lasciò partire il colpo che trafisse alla spalla Girolamo,
quest’ultimo arretrò di qualche passo. Per qualche secondo
fuoriuscì del sangue. Qualche secondo ancora e sulla mascella
di Tinigri arrivò, velocissima, una botta terrificante con il
calcio della pistola che gli fece perdere i sensi.
Si risvegliò all’interno di una macchina che correva sulla
statale, stava sul sedile posteriore insieme a due energumeni che non
lo perdevano di vista un momento. Stavano andando fuori città.
Era buio. A destra della superstrada che stavano percorrendo c’era
un bosco fitto. Dopo poco entrarono in una piccola città. Arrivarono
davanti ad una discoteca. Andarono nel privè e poi da lì
entrarono, attraverso una porticina a specchio, in un ampio locale popolato
di giovani e meno giovani. Ballavano una musica incessante il cui ritmo,
grazie alla potenza delle casse, ti entrava nello stomaco e ti faceva
vibrare cuore e polmoni. Alcuni erano impregnati di sudore, altri, invece,
sembrava fossero appena entrati. Si agitavano tutti, indistintamente.
Il biondo si fermò, controllò l’orologio e fece
cenno agli altri di lasciare il Commissario. Tinigri controllò
all’interno del giubbotto. Niente. Si erano presi tutto l’armamentario,
com’era ovvio.
Il deejay iniziò ad aumentare il ritmo della musica. La gente
iniziò ad agitarsi sempre più velocemente. Qualcuno sembrava
avere gli occhi rigirati. Lo stesso deejay agitò un braccio con
il dito indice puntato in aria. Tutti si fermarono, quasi con il fiato
sospeso. Velocemente il dito schiacciò un tasto gigante sulla
parete. La musica si fermò. Le luci si accesero. Si iniziarono
a vedere dei fili trasparenti ovunque. Correvano sul soffitto. Correvano
per terra, sotto il pavimento trasparente in plexiglas. Correvano anche
fino alle casse. Tutti insieme iniziarono a colorarsi di rosso. Velocemente.
La musica riprese. Le luci ripresero la loro azione stroboscopica. Erano
rosse, come il fuoco, come il sangue. All’improvviso, di nuovo
silenzio. Qualche secondo di silenzio irreale. La gente, comunque, continuava
ad agitarsi, una parte in maniera convinta, con gli occhi chiusi, quasi
in estasi, altri per puro spirito imitativo, con gli occhi sgranati
aspettando di vedere cosa stesse per succedere. Dalle casse, dal soffitto
e dal pavimento iniziò a schizzare sangue. Sangue ovunque. Con
quell’odore tipico che ti entrava nelle narici. Sangue sui vestiti,
sulla pelle. Dopo pochi istanti anche Tinigri era fradicio. Alcuni continuavano
a ballare estasiati, con la bocca aperta a bere il plasma. Altri, invece,
terrorizzati cercavano una via d’uscita, altri ancora vomitavano,
altri, per terra, giacevano svenuti. Il biondo e gli altri si erano
messi intorno al Commissario in cerchio, a mo’ di protezione.
Successe l’irripetibile. Iniziò un massacro irreale e sistematico.
Una parte degli avventori di quella discoteca ultraclandestina iniziò
a mangiare tutti gli altri avventori. In un attimo tutti stavano addosso
a tutti e mordevano e mangiavano e bevevano sangue come bestie affamate
ed inferocite. Tinigri vide una ragazza che si era nascosta dietro le
casse, sottraendosi a quei momenti di follia pura. Stava tremando. Per
un attimo gli occhi del Commissario e della ragazza si incrociarono.
Un uomo rasato con dei grossi tatuaggi persino sul cuoio capelluto sentì
l’odore della sua paura. Come una bestia iniziò ad annusare
nella direzione della ragazza. Aveva appena finito di massacrare e sbranare
e dissanguare un cinquantenne dall’aspetto giovanile. La prese
con una forza sovrumana per i capelli ma la prima volta gli si spezzarono
tra le dita. La seconda, invece, venne sollevata di peso e portata davanti
alla cassa. L’uomo/ bestia la spogliò con foga. La sdraiò
a terra. Le divaricò le gambe e prese a bere il sangue dalla
sua figa, mordendogliela e strappandone pezzi di carne. Le grida di
dolore della giovane si sovrapposero a tutte le altre. Dopo poco svenne.
Dalla figa l’uomo rasato e tatuato passò a tutto il resto
del corpo con la stessa passione. Non c’era nulla di sessuale
in quello che aveva fatto. Era una furia. Irrefrenabile.
Portarono il Commissario Tinigri via da quell’immondo macello
di carne umana.
- E’ il nostro Capodanno. Il Capodanno della Camarilla.
Tinigri non aveva la forza per fare nulla. Né gridare, né
reagire, né vomitare. Era completamente inerme. I due energumeni,
difatti, lo stavano trascinando di peso. A parlare era sempre il biondo,
Girolamo, che aveva il tono di chi voleva giustificarsi.
- Adesso capirà tutto, Commissario, la stiamo portando dal Presidente.
- Non capirò mai la ragione di quello che è successo lì
dentro – le parole sembravano provenire dagli anfratti più
nascosti dell’anima di Tinigri, ancora sottochoc.
Il poliziotto privato prese a sorridere con un ghigno che veniva riflesso
nello specchietto retrovisore. Tinigri chiuse gli occhi, voleva assentarsi
per un po’.
Si risvegliò per il rumore del brecciolino schiacciato dalla
macchina. La villa era immensa. C’erano anche i nomi delle vie.
Davanti la casa c’era piazzale Alessandro da Benevento. Il cuore
del Commissario, nonostante quel riposo, riprese a battere insistentemente.
Entrarono nella villa. Si ritrovarono subito all’interno di un
immenso salone. All’altra estremità un uomo dietro la scrivania.
- Ti stavo aspettando – e la voce rimbombò in tutta l’enorme
stanza.
- Aspettavo con ansia l’ora di rivedere la tua faccia di merda,
Timoteo.
- Magister… non sei cambiato affatto dopo tanti secoli.
- No. Abbiamo un conto in sospeso io e te, ricordi? Dopo tanti secoli
sono riuscito a trovarti.
- Sono contento. Per una volta il tuo Dio ti ha dato una mano, no?
Tinigri iniziò a sorridere. Erano terminate tutte le finzioni.
Aveva organizzato quasi 600 anni di vita per ritrovarsi, prima o poi,
faccia a faccia con Timoteo. Aveva visto o fatto morire un po’
di persone per quello scopo. Creature del Signore che erano state sacrificate
all’interno di un disegno divino. Nessuna condanna dell’Inquisizione
poteva non essere eseguita. Lui era lì per questo. Il soldato
del Signore.
- Voglio eseguire la condanna – e appena finito di parlare prese
a picchiare selvaggiamente i due energumeni più il biondo. In
poche mosse i 3 erano stesi a terra in una gigantesca pozza di sangue.
Con le mani unite a formare una ciotola il Magister prese a raccogliere
il plasma per portarselo alle labbra. Si rigirò verso Timoteo
con le mani ed il mento sporco di sangue – Siamo soli Timoteo.
- Lo vedi? Ora sei uguale a me. Quando si rincorre il male, alle volte,
si rischia di diventare il male stesso, Magister. Non c’è
più nulla di umano. Solo rancore. Rancido rancore covato nei
secoli. Come esiste l’amore perfetto esiste anche l’odio
perfetto. Il tuo nei miei confronti, ad esempio.
Il Commissario inquisitore iniziò a escogitare qualche piano.
Stava riflettendo. Aveva preso dalla tasca un tulipano. Lo rigirava
fra le dita. Timoteo, intanto, lo osservava con aria distaccata. Aveva
ottenuto quello che voleva.
- Non senti quel morso alla gola che ti prende ogni volta che si fa
sentire la sete? Eh Magister? Non lo senti?
- …
- L’amore perfetto obnubila la mente dell’umanità,
Magister – in mano aveva un piccolissimo telecomando. Spinse l’unico
tasto presente. Dal soffitto iniziò a provenire uno stridio fastidioso.
Il Magister ebbe soltanto il tempo di guardare in alto. Una pioggia
di argento fuso gli piovve addosso. Le carni del commissario presero
a bruciare. In pochi secondi rimase soltanto il tulipano, in terra,
a ricordare il passaggio del Magister – Amore perfetto ed odio
perfetto sono prerogative della divinità, caro Magister. Agli
esseri imperfetti obnubilano la mente.
(ROMA, 1493)
Timoteo era riuscito a fuggire dal carcere completamente incustodito.
Le vie della città erano quasi deserte. Cercava di camminare
il più velocemente possibile ma il sole stava facendo un pesante
effetto di indebolimento. La determinazione, comunque, era più
forte di qualunque ostacolo. Doveva scappare ma, per l’ultima
volta, voleva rivedere Camarilla e Alessandro. Tra le viottole intorno
alla piazza delle esecuzioni rimediò un vestito e del cibo grazie
ad un viandante, poi abbandonato morto in un angolo buio. Coperto, mascherato
e rinvigorito dall’abbondante pasto si avvicinò al rogo
dei suoi due “amici”. La pila ancora bruciava. Al di là
del fuoco era chiaramente visibile il palo e la forma umana delle persone,
morte, che vi erano legate. La gente avrebbe seguito lo spettacolo fin
quando non si fossero spente le fiamme da sole. In prima fila il Magister
quasi in estasi mistica, sul viso riflessi i colori del rogo che erano
anche i colori del dolore e della morte. Si avvicinò silenziosamente.
Intorno grida di giubilo miste a preghiere. Arrivato alle spalle mormorò
all’orecchio dell’Inquisitore.
- L’amore perfetto obnubila la mente dell’umanità,
Magister – quest’ultimo non ebbe nemmeno il tempo di girarsi.
Timoteo morse il collo dell’inquisitore cercando di mettere in
pratica la Generazione. Finita l’operazione si dileguò.
Giusto il tempo di allontanarsi a sufficienza e la folla si accorse
di quanto successo all’Inquisitore Generale di Roma. Spontaneamente
si organizzò una sorta di caccia all’uomo, si doveva dare
una risposta forte al Male, così era stato gridato dagli altri
Inquisitori. Gli uomini iniziarono a massacrarsi vicendevolmente. Il
sangue prese a scorrere per le vie. Le case dei potenziali sospetti
vennero incendiate. Vennero regolati i vecchi conti. Vecchie ripicche,
odi privati. Timoteo ringraziò per tanta gentilezza. Cibo senza
fatica. Cibo che, dopo poco, iniziò a fargli anche schifo perché
frutto di una follia collettiva. L’amore perfetto.
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