L’ultima cosa
che vidi prima di svenire fu il maledetto tulipano. E quella maledetta
pianta grassa che mi ondeggiava davanti allo sguardo velato di sangue.
Paesaggio livido e sanguigno sullo sfondo delle mie percezioni retiniche.
Poi il buio.
Quando mi risvegliai mi resi conto di aver sognato orrendi mostri striscianti.
Dinosauri repellenti dotati di lingue sibilanti e corpacci umidi e viscidi.
Vomitai sul tavolo.
La cameriera fece un cenno all’uomo dietro al bancone che mi afferrò
per il colletto della camicia, mi sollevò di peso e mi accompagno
fino all’uscita del pub.
L’aria fresca mi fece subito bene.
Ruttai.
Il barista mi scaraventò contro un bidone della spazzatura dove
rimasi afflosciato ad aspettare che l’entrata del bar smettesse
di ruotarmi davanti agli occhi.
Quando l’ondeggìo si fu quasi stabilizzato vidi uscire
la cameriera con in mano un’inverosimile quantità di carta
accartocciata che intuii fosse servita alla pulizia del tavolo che avevo
imbrattato.
Buttò tutto nel bidone. Il coperchio risuonò plastico
e metallico allo stesso tempo nella mia testa.
Mi alzai e mi sporsi quasi per intero all’interno del secchione
e frugai a tentoni finché non raggiunsi l’involto umido.
Sorrisi quando le mie dita rintracciarono il tulipano ancora quasi intatto.
Era solo leggermente storto.
Lo annusai...
Lo osservai in controluce, poi lo addentai. Sulla corolla: strappando
a metà tutti i petali: li sentii scricchiolare tra i denti e
freddi sulla lingua.
Poi li sputai a terra.
Mi guardai intorno, respirai a fondo e risi.
- Cazzo, - disse soddisfatto allontanandosi dalla scrivania
mentre rileggeva le ultime righe sul monitor del computer, - cazzo,
questo sì che è un finale come si deve...
E così la fine c’era: adesso toccava all’inizio.
Si riavvicinò alla tastiera del portatile.
“Ero solo quella sera in quel cazzo di pub: m’avevano
rimasto solo quei quattro cornuti: e quella ragazza l’avevo già
notata qualche volta: quando si alzò per venire dalla mia parte
ebbi una sensazione di già visto.
- Ciao, - mi disse,- questa è per te – porgendomi un foglio
di carta e uscendo dal locale seguita dal mio sguardo a pesce bollito.
Era una poesia intitolata Il tulipano narcisista. Era la prima volta
che qualcuno scriveva qualcosa per me.”
Così era fatta: c’era l’inizio, c’era
la fine: a chi poteva interessare tutto quello che sarebbe successo
in mezzo?
...dedicato a Serena, vera Musa ispiratrice.
|