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A
Una macchina procedeva con prepotenza su una lunghissima strada dritta.
A destra e a sinistra soltanto campagna. Erba alta. Ville sperdute in
lontananza. La luce all’interno della vettura era accesa. Il guidatore
si stava specchiando per darsi gli ultimi ritocchi. I capelli. I peli
del naso. Le occhiaie. Le basette. Stava andando in discoteca per godersi
il fine settimana. Un ultima aggiustatina al colletto della camicia
e tutto sembrava essere fatto. Dopo aver distolto gli occhi dallo specchietto
retrovisore iniziò a pensare. Agli amici che lo stavano aspettando
per un’altra serata di bagordi. La cocaina ce l’aveva lui.
Si sarebbero divertiti, questo, almeno, era assicurato. E poi c’era
quella storia con la cameriera. Una storia che sembrava promettere bene.
All’improvviso un ombra sul ciglio della strada.
L’inchiodata.
Lo schianto laterale.
Il rumore della carrozzeria accartocciata.
La paura dipinta negli occhi.
Il terrore. La disperazione.
Il giovane rimase per un attimo all’interno dell’abitacolo
con il fiato sospeso. Gli balenò in mente anche l’idea
di fuggire. Di non cercare nulla e nessuno. Di andare in discoteca come
se niente fosse. Di tirar su roba buona che quella sì che fa
dimenticare tutto.
Comunque scese. Le luci della macchina erano accese. Per terra ben evidenti
i segni dei pneumatici che avevano tentato di aggrapparsi all’asfalto
pur di evitare quell’incidente. Percorse più di 50 metri
senza trovare nulla. Nessun cadavere in mezzo l’erba. Nessun segno
di sangue o altro. 100 metri. Ancora niente. Si grattava la testa in
continuazione. Aveva preso a far male. Non riusciva a capacitarsi.
“Cazzo. Mica avrò sognato, no?”
Un sorriso iniziò a comparire sul volto fino a pochi secondi
prima segnato dalla tensione. Si augurava di tutto cuore che fosse stata
un’allucinazione dovuta alla droga assunta o qualcosa del genere.
Stava per tornare indietro. Iniziò a guardare meglio camminando
in mezzo l’erba, facendo attenzione al canale che si trovava al
lato della strada. Niente. Assolutamente nulla. Iniziò a ridere
di cuore. Poi a singhiozzare con grosse lacrime che gli uscivano dal
volto. Poi di nuovo a ridere.
“Fanculo”
“E no! A fanculo, mio caro, ci vai tu!”
Si girò di scatto. Non ebbe nemmeno il tempo di mettere a fuoco
la figura alle sue spalle. Sentì subito una fitta al collo. Una
fitta terribile. Sembrava quasi fosse stato colpito con un coltello.
Le energie sembrarono sfruttare velocemente la via di fuga. Tutto sembrò
anestetizzarsi. Non sentì più nulla fino alla morte.
B
“Chiama la centrale. Digli di mandare qualcuno” la voce
del carabiniere era stanca, provata. Un giovane era stato trovato morto.
Disteso a croce sul cofano della macchina, ferma in mezzo alla strada.
Praticamente sgozzato. Il sangue era ovunque. Per terra. Sul cofano.
Sul parabrezza. Sul finestrino della macchina.
“Vomiterò per almeno una settimana” disse Giannoli
pulendosi le labbra con la manica della giacca. Prese una sigaretta
dal taschino interno. L’accese. Ne offrì una al maresciallo.
“Giannoli cerchiamo di verificare l’eventuale presenza di
prove. Deve aver fatto qualche cazzata questa specie di maniaco, no?”
La macchina dell’Arma era posteggiata dall’altro lato della
strada. Altri carabinieri avevano chiuso la strada duecento metri avanti,
in tutte e due le direzioni, e invitavano gli automobilisti a prendere
un percorso alternativo per arrivare al mare.
“Marescià, venga un attimo, forse ho trovato qualcosa”
C
“Ho capito… ma dopo che fai?”
“Dopo il lavoro? Questo sinceramente non lo so. Puoi aspettare
un secondo?”
Il giovane si era appoggiato sul bancone con il gomito, cercando di
avere un’aria la più interessante possibile. La ragazza
al bar sorrideva mentre faceva gli ultimi cocktail della serata.
“Mi fai un cocktail pesante?” e arrivò tutto sudato
ancora un altro avventore.
Giacomo stava per perdere la pazienza. La trattativa andava avanti da
parecchio tempo e non voleva perderne ancora altro.
“Spendere un’intera serata con la barista di una cazzo di
discoteca. Che coglione!”
“Cosa?” chiese perchè, probabilmente, non aveva sentito.
“Niente. Niente”
“Dai…che hai detto?”
“Stavo pensando che se non ti va di uscire lo puoi pure dire.
Non ci sono problemi”
“Non è proprio così. E’ che mi vergono…
tra un po’ se non mangio svengo”.
“Si può sempre rimediare, no? Ti porto io a mangiare un
bel panino in un posto qui vicino. Non c’è problema”
Lei semplicemente sorrise. Valeva mille si, quel sorriso. Non riusciva
a crederci. Ce l’aveva fatta. Senza problemi. Era arrivato lì
dove nemmeno Fabio aveva osato. Aveva vinto la scommessa. E gliela avrebbe
fatta vedere lui a quello stronzo che non si era nemmeno presentato.
B
“Fabio Riotti…si…F-A-B-I-O-R-I-O-T-T-I….è
il nome del ragazzo, si…stiamo arrivando al comando…si…i
colleghi del borgo aspetteranno l’autoambulanza…”
il maresciallo stava parlando al telefono mentre Giannoli cercava disperatamente
di trovare qualche altra prova dopo la cocaina sotto il sedile anteriore,
quello del guidatore.
“Giannò basta… e che ancora non hai capito perché
questo è morto? Era uno spacciatore…avrà dato fastidio
a qualcuno o non avrà pagato tutta ‘sta cocaina…e
che ci vuole la scienza?”
“Marescià… mi sembra strano… tutto così
facile…può essere?”
“Eh…sempre difficile la fate voi giovani…io tengo
famiglia…su, torniamo a casa che si è fatto tardi”
Giannoli continuava a mormorare a bassa voce. Non riusciva a credere
che quel giovane fosse stato ucciso in quel modo solo per un debito
di soldi. Tutto, comunque, poteva essere.
C
“Ti piace il cornetto?”
“mmmhhhh…buooono!” faceva la barista annuendo anche
con la testa. La macchia di cioccolato le aveva fatto una sorta di baffo
scuro proprio all’angolo della bocca. Giacomo non si sarebbe fatto
pregare due volte se lei gli avesse proposto di aiutare a toglierlo,
con la bocca s’intende. L’aveva vista una decina di volte
ma non sapeva il suo nome. “’Sti cazzi” pensò.
“Me la devo solo scopare. Mica devo sposarmela”.
“Dove vuoi andare?” chiese apparentemente senza imbarazzo.
“Non lo so. Qui non avete il mare? Eh? Mi ci porti? Al mio Paese
non c’è nulla…sto qui da poco e non ho avuto ancora
il piacere di sentire quel rumore delle onde…quell’odore
di salsedine…”
Giacomo fece caso soltanto per qualche secondo che quella ragazza era
straniera anche se parlava italiano molto meglio di lui e di tanti altri
suoi amici. Doveva pur sempre soltanto scoparsela. Una motivazione che
per lui bastava ed avanzava.
Durante il tragitto era molto imbarazzato. Lei, sorridente, aveva le
mani tra le gambe. Guardava fuori, quella strada così larga,
in mezzo a tanto verde, tutta quella luce artificiale. Si gustava il
paesaggio, insomma.
“Ti piace questa città?”
“Si. Molto bella. La gente è molto calda. Mi trovo bene.
Penso che per un bel po’ mi stabilizzerò qui”
“Ma dai! Allora vorrà dire che dovrò farti conoscere
un bel po’ di posti…sempre che ti vada”
“SI! Sono proprio curiosa di vedere che gente c’è
qui intorno. Tutti i paesini che stanno sulle montagne…gli altri
paesi che stanno al mare… ho vissuto per molto tempo in un paesetto
ma avevo più a che fare con le mucche che altro”
Giacomo mise la mano sotto al sedile. Tirò fuori un pacchetto
con la polverina bianca.
“Ti va?”
“Cos’è?”
“Cos’è!…scusa, ma da dove vieni?”
“Dall’Austria…perché?”
“Non la usate in Austria roba come questa?”
“Non so nemmeno cosa sia”
“Cocaina…semplice cocaina, quasi pura…vuoi provare?”
La ragazza sembrava titubante. Giacomo cercò di sfoderare uno
dei suoi sorrisi più convincenti. Piacere. Era una sorta di vocazione.
“Fa male?”
“Noooo…ti tira soltanto un po’ su. Non c’è
niente di male. Qui lo facciamo un po’ tutti, sai?”
La ragazza sembrava spaventata. Giacomo si fermò con la macchina
in uno spiazzale, in mezzo ad una strada buia. Tirò fuori dal
taschino della giacca tutto l’armamentario (uno specchio, una
banconota da 10 € arrotolata fermata con un elastico ed una scheda
di videonoleggio). Versò un po’ del contenuto della bustina
sullo specchietto. Armeggiò un po’ con la scheda fino a
formare quattro striscioline fine e lunghe.
“Ti faccio vedere come si fa. Tira prima con una narice e poi
con l’altra”
Si buttò a capofitto in quella operazione. Tirò su. Passò
la banconota arrotolata alla ragazza che imitò quasi alla perfezione
le gesta del ragazzo. Prima una narice, poi l’altra. Finito il
rito poggiò la testa sul sedile reclinandola verso il finestrino
alla sua destra. Giacomo tirò anche l’ultima striscia.
Si passò il pollice e l’indice vicino le narici per levare
qualche residuo di polvere bianca ed iniziò a tirare su, com’era
suo solito.
“Hey! Non dici più niente? Ti dovrebbe tirare su e invece…”
La ragazza non diede nessun segno di reazione. Guardava fuori dallo
specchietto.
“Mica starai entrando in paranoia. Guarda che non può farti
effetto così presto…”
B
“Marescià…ho trovato questo”
Giannoli non si voleva arrendere. Stava cercando, con l’aiuto
della torcia elettrica, un qualche indizio in maniera spasmodica, dappertutto.
Il sonno, intanto, avanzava inesorabile. Non riusciva nemmeno a stare
con gli occhi aperti o a mantenere la concentrazione per più
di qualche secondo. Doveva e voleva cercare, non c’era sonno che
lo avrebbe fermato. Alla fine tanto impegno era stato premiato.
Il maresciallo, intanto, teneva tra le dita quanto gli era stato consegnato.
Lo guardava e riguardava, rigirandolo. Non riusciva a capire cosa Giannoli
avesse voluto fargli notare.
“Giannò…ma che cazzo significa? Mi stai prendendo
per il culo?”
“Maresciallo…secondo me è un indizio…d’altronde
ci rifletta…perché dovrebbe essere da queste parti?”
“Giannò…mo’ hai rotto il cazzo…tra poco
ci stanno le prove della formula 1 e tu mi vuoi tenere inchiodato qui
per questa stronzata? Fammi il piacere…andiamocene…chè
tu ci tieni a tornare a casa almeno un weekend al mese, vero?”
Giannoli tentava di stare calmo. Il maresciallo aveva sempre la capacità
di farlo innervosire oltre ogni limite. Un uomo incredibil….
“…mente stronzo!” si sfogò tra i denti l’appuntato
“adesso se n’è uscito con la solita cazzata quando
non ce la fa più a stare in giro. Come se tutta Latina fosse
cosparsa di tulipani bianchi…fanculo…me ne vado a letto
pure io…”
C
“E tu che ne sai che reazione mi fa?”
“L’ho presa insieme a tante di quelle persone che nemmeno
te lo immagini” intanto a Giacomo stava iniziando a fare effetto.
Se n’era accorto perché non riusciva a stare zitto.
“Allora…vuoi farmi provare i brividi?” la donna chiese
a bruciapelo.
Il ragazzo sorrise. Aveva iniziato a fare effetto pure su di lei.
“Giacomo 1 – Fabio 0”
“Cosa?”
“Niente. Ragionavo fra me e me”
“Allora?”
“Certo. Non pensare che ti ho corteggiato tutta la serata e sul
più bello non mantengo le promesse”
“Facciamo come dico io, però”
“Facciamo come ti pare”
La donna, a quel punto, allungò la mano verso il giovane che
aveva la testa ed il busto rivolto verso di lei. Il ragazzo, dapprima,
non capì. Stette poi al gioco. Si doveva fare come diceva lei.
Era così strana... questa storia della mano lo metteva in imbarazzo.
“A Già’ e te che cazzo ne vuoi sapere?” si
stava ripetendo all’infinito.
“Piacere Giacomo Cosmi” disse quasi scherzando.
“Piacere Clorinda” e con uno strattone lo attirò
a se. Il giovane non oppose la minima resistenza e si ritrovò,
in un istante, in braccio a quella tale Clorinda che lo iniziò
a baciare sul collo, di lato. Si interruppe un attimo.
“Giacomo…dove hai detto che lavori?”
Il giovane rimase sbalordito. Queste stranezze iniziavano ad infastidirlo
pesantemente. Gli interrogatori di terzo grado prima di scopare non
gli erano mai piaciuti.
“Alla CDS. Faccio il ricercatore… perché?”
La donna non aspettò nemmeno un istante. Lo morse al collo e
strappò via anche la muscolatura che lega il collo alla spalla.
Iniziò a schizzare sangue. Si mise con la bocca a prenderne i
fiotti. Iniziò a leccare. Bevve. Saziò, finalmente, la
sete.
Prima di andarsene prese dalla giacca qualcosa. Un tulipano bianco.
Lo mise sul sedile dov’era seduta fino a poco tempo prima. Si
avviò a piedi verso il centro abitato che stava distante una
decina di silometri.
“Labanti, Riotti, Cosmi… adesso Timoteo non può più
ignorarmi”.
B
“Pronto…Marescià… un altro omicidio”
“Come…e che cazzo si sono messi in testa stasera?”
“Non lo so. E’ urgente. C’è un ragazzo in macchina
ucciso quasi con la stessa tecnica di quell’altro. Questa volta
si è un po’ scatenato lo ‘spacciatore’. L’ha
lasciato completamente svuotato di sangue. La vuole sapere una cosa?”
“Dimmi Giannò… che vuoi?”
“Hanno trovato un tulipano bianco proprio vicino al cadavere.
Sul sedile a fianco”
“Vabbè…ma che c’entra…vedi Giannò…
la spiegazione è semplice…magari qualche serra avrà
bucato un altro telone e con tutto il vento che ci sta è molto
probabile siano volati dei fiori… dei tulipani…che cazzo
ne so… comunque…arrivo subito”
ANTEFATTO
Scappa. Corre a perdifiato sulla strada piena di ciottoli. Le abitazioni
si diradano. Gira a sinistra. Verso la campagna. Si ferma, si volta,
si guarda intorno proprio come un animale braccato. Riprende a correre.
Il cuore quasi le scoppia in petto. Il fiato è sempre più
corto. La strada, diventata sterrata, non le facilita certo il compito.
TAC. Un grido di dolore. La caviglia si è piegata innaturalmente.
Sembra rotta. Si volta. Tenta di riprendersi in fretta. Si china a toccare
la parte dolorante. La massaggia nervosamente. Il sudore le imperla
il viso e le attacca ciocche di capelli sul volto. Occhi sgranati, pieni
di terrore. Cerca di riprendere la fuga. Zoppica vistosamente. Qualche
metro ancora e si ferma. A destra e a sinistra della stradina dissestata
campi, solo campi. Erba alta. Esce dalla strada, si butta in mezzo alle
sterpaglie, cercando di nascondersi. L’erba si muove disturbata
dalla paura di lei, dalla sua frenesia di fuggire, sparire, scappare.
Cerca di trattenere il terrore, l’affanno, ma il respiro sembra
rimbombare in quell’atmosfera di finta calma. Nessun insetto canta
più, nemmeno quegli ostinatissimi grilli, nemmeno le fottutissime
cicale. Nessuno. Gli animali in giro non si vedono da tempo. La carestia
sta avendo i suoi effetti. La ragazza si ferma, si gira, respira. Poggia
le mani sulle ginocchia. Ne alza una e la stringe al petto. La seconda
anche. Cade in ginocchio. Inizia a premere le mani sul petto. Il braccio
sinistro inizia a far male, un dolore lancinante. IL SENSO DI MORTE
la pervade. Comincia a sentire un nodo alla gola che la soffoca sempre
di più. Prende a tossire, a cercare aria. Sul volto le si dipinge
un ghigno d’orrore. La morte è sempre più in agguato.
Lo sentiva anche lei. Essere umano. Lo stentiva anche lei, giovane vergine.
Stavo quasi per raggiungerla.
Quel giorno non mi andava di rincorrere la vittima. Mi ero svegliato
male. L’avevo seguita camminando. Odorando. Sentendo i battiti
del cuore che accelleravano e che diventavano irregolari. Il dolore
è iniziato a rimbombarmi nelle vene, come la paura. Stavo quasi
per eccitarmi. Una sensazione che non provavo da tempo. Una sensazione
che sembra regalarti lo stesso identico brivido dell’adrenalina.
La stessa frenesia. La stessa voglia di correre. Ed infatti accellerai
il passo. Piombai su di lei. Bionda, occhi azzurri, slanciata ma allo
stesso tempo formosa. Per fortuna non pensavo più a quelle cose
ormai da tempo. L’avevo fatto qualche volta, prima di bere. L’avevo
fatto ma non mi era piaciuto. Tutta quella fatica per un gesto animalesco
che voleva simboleggiare l’amore perfetto. La guardavo mentre
lei, stesa, aveva sempre quel ghigno stampato sulla faccia. Il ritratto
del terrore. Un simbolo d’orrore. La mano sinistra era rattrappita
proprio davanti alla faccia che, per metà, era appoggiata a terra.
Le gambe tremavano quasi avesse gli spasmi. Mi chinai ed iniziai a bere
il sangue che usciva come da una botte di vino appena bucata col coltello.
La trasformai. Volevo regalare a quell’angelo che aveva conosciuto,
così da vicino, la sensazione della morte, una sensazione nuova,
strana: le ali dell’eternità. La mia prima trasformazione.
Ne avevo sentito parlare mille volte. Non l’avevo mai fatta. Una
cosa indescrivibile. Potente. Affascinante. Quasi meglio della sete.
Sicuramente molto meglio di un accoppiamento animalesco.
Ero tornato nella tana. L’avevo lasciata stesa a terra. Si sarebbe
risvegliata con la sete. Avrebbe bevuto. Avrebbe ucciso. La bestia dentro
di me era quasi sazia di sangue e di sensazioni. Non avevo voluto nemmeno
pulirmi. Volevo mantenere il più a lungo possibile quell’odore
di sangue sulla bocca, appena sotto le narici. Era quanto ci voleva
per godermi fino all’ultimo la natura. La mia natura. Avrei ucciso
ancora. Avrei voluto ricercare fino all’eternità quelle
sensazioni. Non potevo esagerare, comunque. L’azione dell’Inquisizione
era stata davvero un pericolo, soprattutto negli ultimi giorni. Ne sapeva
qualcosa il mio simile Teodoro che, ora, non poteva certo raccontare
la sua triste esperienza. L’avevano prelevato la mattina, in casa,
mentre cercava di riposarsi dopo una serata di caccia infruttuosa. L’avevano
torturato con ogni mezzo possibile. L’avevano preso e messo in
una cella fetida, da solo, continuamente esposto al sole. L’ero
andato a trovare e avevo provato tristezza. Per la sua condizione, per
il suo essere lì, in balia degli eventi. L’hanno messo
al rogo, insieme a tanti altri, ed è morto bruciato tra innumerevoli
grida di giubilo. Non avevo potuto fare nulla per salvarlo. Un’esperienza
vomitevole. Gli umani hanno la nostra stessa sete di sangue, solo che
non vogliono ammetterlo.
“Come ti chiami?”
“Clorinda” solo un attimo di silenzio. Aveva ripreso a parlare.
Si era voltata ed aveva disegnato in volto un ghigno animalesco. “Sei
stato tu? Eh? Sei stato tu a rendermi la bestia che sono?”
La guardavo con calma. La mia solita calma.
“Clorinda. Non sei una bestia. Conosci soltanto meglio la tua
natura. Sei diventata una succhiasangue. E’ solo, semplicemente,
questo”.
“Solo questo?” aveva gridato con la voce quasi rotta dal
pianto “Ieri ho ucciso una famiglia. 8 persone. Vecchio, uomo,
donna e cinque bambini. Mi sono accanita sull’uomo. L’ho
voluto punire. Era quel bastardo del fattore che si trova appena fuori
città. Mi violentò nel suo fienile, quand’ero ancora
una bambina. Ho iniziato alzando le coperte e togliendogli i panni che
aveva indosso. I pantaloni. Ha un sonno pesante. Non si è svegliato.
Ho iniziato a prendere in mano il suo membro. L’ho leccato. L’ho
messo in bocca ed ho iniziato a succhiare... Esattamente come mi aveva
obbligato a fare tanti anni fa puntando contro la mia gola lo stesso
coltello con cui sgozzava i maiali. Appena ha aperto gli occhi ha sorriso.
Pensava, forse, di sognare. Ho iniziato a stringere i denti. Ho sentito
che il sangue iniziava ad uscire. Ho iniziato a bere. Avidamente. Senza
freni. Ho iniziato a mangiare. Pezzi di carne sanguinante. Palle piene
di piscio e fluido seminale. Scavavo come una bestia feroce quando mangia
la sua preda…”
“E’ la tua natura… Clorinda. E’ solo la tua
natura”
“Non è la mia natura. Almeno non quella con cui sono nata.
Mentre lo facevo ho provato un’emozione forte…non so nemmeno
io come definirla… una sensazione tra il favoloso e l’inquietante.
La cosa che mette più tristezza è che non mi sono vendicata.
Ho soltanto saziato la mia natura. Ho nutrito il mio organismo. Basta”
“La classica reazione. Hai ancora qualche residuo di ragione,
Clorinda. Vuoi ancora spiegarti tutto. Tenere tutto sotto controllo.
Prima o poi te ne libererai e la coscienza non ci sarà più.
Vivrai solo per sfogare la tua natura”
Passarono i giorni, le settimane ed i mesi. Il paese stava iniziando
a precipitare in una peste senza che vi fossero dei segni tangibili
di malattia. Le persone morivano, dissanguate. Nessuno riusciva a capire
perché se non rifacendosi al Diavolo e a qualche entità
maligna. Morivano in parecchi. Quasi una persona al giorno. L’Inquisizione
aveva iniziato a spazientirsi ed il capo, Domiziano, aveva cercato di
capire, a fondo, come stavano le cose. Li avevo aiutati. Gli avevo raccontato
la mia verità. Avevo fatto la spia, avevo ucciso, avevo preparato
il rogo, avevo fatto tutto quanto mi era stato chiesto. Ero il loro
boia. Uccidevo su commissione persone con cui, magari, avevo anche avuto
a che fare. I corpi li mettevo sul rogo io oppure li andavo a gettare
nelle fosse comuni se la morte fosse stata diversa. Prima o dopo la
morte bevevo il loro sangue. Dovevo pur mangiare no? E se vogliamo in
tutta questa storia dell’Inquisizione il più umano ero
proprio io. Li avrebbero uccisi comunque. Se non avessi fatto io il
boia lo avrebbe fatto qualcun altro. Almeno evitavo alle persone che
dovevano subire il rogo un dolore straziante. Clorinda, intanto, cercava
di placare la sete che le ardeva in gola. Beveva continuamente. Uccideva
senza pietà. Senza ragione. La causa della peste era proprio
lei.
Arrivò l’Inquisizione. Quella con la I maiuscola. Domiziano
si era rivolto al Papa per chiedere maggiore assistenza e Sua Santità
gliel’aveva data volentieri. Nelle nostre montagne erano sempre
attecchiti mille movimenti di protesta, mille eresie. Volevano spazzarle
via, una volta per tutte. Clorinda continuava nella ricerca forsennata
di cibo come se niente fosse cambiato. Io cercavo, invece, di tenermi
quel posto da boia cercando di apparire il più spietato possibile.
Nei racconti dei nuovi inquisitori, dopo la loro classica bevuta all’osteria
di Clorinda, venivano dipinte scene di massacri collettivi ai danni
degli infedeli. Intere città di traditori fatte sparire dai boia.
Sangue che scorreva a fiumi e che, alla fine, veniva asciugato dalla
potenza del fuoco purificatore. Scene che allettarono la sete mia e
quella di Clorinda. Decidemmo di consegnarci. Di tentare la scorpacciata
grazie all’Inquisizione. Un paradosso che stuzzicava ancora di
più la sete. Saremmo sfuggiti, nulla poteva fermarci e avremmo
ripreso la nostra attività. Mettemmo noi stessi in giro voci
strane sui nostri conti. Clorinda mi accusava ed io accusavo lei. Un
compito non certo difficile. Bastava semplicemente dire la verità.
Passò poco tempo. Una mattina ci vennero a prendere. Con il sole.
“Timoteo da Vienna. Lei, per i trascorsi in seno all’Inquisizione
locale, è destinato ad essere sottoposto all’insindacabile
giudizio della Santa Inquisizione di Roma che verificherà le
accuse di stregoneria a suo carico”.
“Clorinda da Vienna. L’inquisizione locale verificherà
le accuse a suo carico. Dio darà il Suo giudizio”
Lo sguardo di Clorinda la diceva lunga. Seppure fosse sempre assetata
e avesse fatto di tutto per soddisfare la sete, la sua giovane vita
da vampiro imponeva un’alimentazione costante ed una esposizione
al sole davvero minima. Bastava veramente poco per ridurla in uno stato
pietoso. E la pietà non era proprio il punto forte dell’Inquisizione.
Mi trasportarono via in fretta e furia. Solo molto dopo seppi, per vie
traverse, che nonostante i posti differenti il nostro Inquisitore fu
lo stesso. Lo chiamavano il Magister. Si diceva fosse spietato.
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