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Il
Progetto Le Macchie Eventi Links Stampa |
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Chiunque può contribuire al
Progetto Rorschach.
Vorrei essere abitante in un condominio ordinato di microrganismi marini , immobile ,porosa e poter respirare sott’acqua , due occhi minuscoli che percepiscono una visione fissa e frontale . Vorresti abbandonarti abbracciata da caldi marosi ed essere riportata a riva capriolando ,vestita solo di alghe lattiginose e sassi di pomice che t’ impreziosiscono i lobi. Vorrebbe immergersi in uova di ricci donna di colore rosso,giallo ed arancione copulando nel sapore primordiale e dando alla luce una creatura di rara materia. Vorremmo vedere paesaggi all’incontrario, poter scegliere di mai emergere , vivere nell’elemento più naturale e svanire in un meraviglioso cimitero diafano. Vorreste trovare la perla nella droga salata , veder apparire
relitti camminando felici con in tasca una manciata di conchiglie rigate. ("La satira informa, deforma e fa quel cazzo che gli pare!"
Daniele Luttazzi)
Maria si stava gustando il finale del cartone disneyano "La Sirenetta", quando il telefono le fece sobbalzare le sopracciglia e le narici. Un sordo frastuono muto e sistematico, allitterante ed extra-diegetico, dietetico e transaminale. mise PAUSE al DVD piratato acquistato a Piazza Garibaldi a 733 passi dall'uscita della stazione di Napoli, vicino la bancarella che vende radio usate e protette da finestrini e lamiere, tra pizze, mandolini, baffi neri, il Vesuvio e una vecchierella che vende le sigarette. Maria si perse nella stanza mentre il telefono ancora squillava e squillava e squillava e squillava e squillava e squillava e squillava e finalmente afferrò la cornetta. La piccola era sola in casa, Maria aveva 12 anni circa 3 anni prima, quindi quando avvennero i fatti, signor commissario, avrà avuto i suoi 15 anni e soprattutto i suoi buoni motivi. La voce dall'altra parte della cornetta arrivò squillante come uno spot del dentifricio per alitosi convulsa.
"Pronto desidero la Maria!"
"Vuole la mamma?!"
Chiese incredula, sbalordita, affaticata, sgomenta, imbarazzata e assatanata di sesso, la puerile ugola di Maria.
"Quanti anni hai tu?"
"3 anni fa, avevo 12 anni!"
"Troppo complicato per me, facciamo che ne hai 18"
"Devi aiutarmi, mi servono un po' di nomi... chi ti ha comprato il DVD de La sirenetta?! IO!! Io l'ho regalato alla tua mamma perché io aiuto gli altri! Cosa pensavi che fosse! Un regalo il regalo è oggi a me, domani e te?!"
La Maria scoppiò a piangere isterica ma contemporaneamente sobria ed alticcia. Le crollò il mondo addosso ed avrebbe dovuto rimettere in ordine la stanza prima dell'arrivo di Maria Mater ex Borbona del casato di Montechiari, con ascendente Pesci amante di Antonello Venditti. Mentre le lagrime sgorgavano incessanti come uno sciacquone intasato, dagli occhi viola della pupa, il candidato alle elezioni continuava il suo comizio telefonico ed iperbolico:
"Impianti sportivi per te e per il tuo fidanzatino che così mette su un po' di muscoletti che così quando fate le sozzerie non gli viene il fiatone! Città della musica così non comprerete più Cd piratati dai marocchini che noi rispettiamo ma quando è troppo è troppo! Teatro alle associazioni che comunque non rompano troppo il cazzo. o che comunque piacciano a me.. o che comunque ci siamo capiti che qui non si regala niente che mica siamo a Fantasia! Casa delle studente dove lo studente studi, dormi, trombi e faccia i suoi bisogni che mica siamo in Francia, anche se siamo in Europa, anche se siamo in Italia! Utilizzo teatrino sperimentale per fare esperimenti sperimentali che poi lo spazio per far vedere gli esperimenti ci si pensa alle prossime elezioni! Nuovo spazio e acquisto libri per la biblioteca comunale che è da tanto che non ci vado che c'è chi ci va per me! Trasporto scolastico disabili che mi fa tanto pena la figlia della dirimpettaia e non lo faccio di certo per me che io la squola l'ho finita da un pezzooo! E poi. Contributi sull'affitto e colazione pagata per gli anziani! Fondi per centri anziani che sono sempre un problema! Assistenza domiciliare malati e disabili che prima ho detto solo i disabili, ed i malati dove li lasciamo?! Riduzione tributi locali e questa è inutile che la spiego! Sicurezza totale, che chi è insicuro potrebbe cominciare a pensare! Intensificazione del trasporto pubblico con conseguente diminuzione del prezzo del biglietto! Riduzione lista di attesa USL ed aumento lista di Nozze presso il negozio di mia zia! Viva il Socialismoooo! Poi: Cultura cultura CULTURAAAA! Istituzione di un Centro Giovanile polivalente che non so che cazzo significa ma mi hanno consigliato di crederci! Chiusura della discarica con conseguente apertura degli scarichi e delle finestre per ovvi motiviiiii! Abolizione del capoclasse nelle squole medie inferiori! Creazione di un ente teatro così chi vuole fare il teatro libero sarà libero di farlo sotto la nostra libertàààà! Potenziare le squole con un doppio strato di cemento! Sostenere l'università attraverso la ricerca di personale addetto a sostenere i professori depressi! Parchi verdi, uccellini, piazze, panchine, fontanelle, pesci rossi, farfalle! Ripristino della fauna e della flora batterica! Un moderno poliambulatorio all'americana ma statale gestito da privati che lavorano gratuitamente stipendiati da me! Prozak, preservativi e cerotti gratuiti! Abolizione della barba da sostituire con baffi e pizzetto! Abbonamento gratuito per un anno a "L'unità"! Ufficio postale a 33 metri dalla tua porta di casa! Lotta contro tutte le mafie tranne unaaaaAAAA!!"
E Maria posò il telefono, smise di frignare e schiacciò il tasto PLAY del lettore DVD. Quando Maria Mater ex Borbona del casato di Montechiari ritornò a casa, la figlia, ormai in punto di morte, le disse:
"Ha chiamato uno. uno squilibrato. non ha detto chi era. sul display è apparso il suo numero, se vuoi richiamalo. cercava te credo! Il numero è 339 3818284. sicuramente era un tuo paziente!"
Angelo Zabaglio e Andrea Coffami
Ogni fatto a cose, nomi, persone, promesse elettorali e numeri telefonici è volutamente voluto da Angelo Zabaglio e Andrea Coffami che in realtà non hanno inserito un numero privato, in quanto pubblico (?!)
![]() Una sirena sin troppo facile ai suoi occhi.
Si era mostrata in tutta la sua bellezza, in tutte le sue sfumature di rosso e d'azzurro. Poi, una volta aperti gli occhi, comprese il messaggio, lineare ma non troppo.
Il suo inconscio le aveva voluto rivelare qualcosa per mezzo di quella figura degli abissi che l'aveva scortata verso l'alto, un forte braccio avvertito fino all'ultima fase di emersione dal suo sonno profondo.
Riemersa all'aria che ristora, e cosciente che la sirena aveva il suo stesso sorriso.
Occhi aperti e un lampo nei pensieri.
Prima cosa: alzarsi dal letto e poi decompressione rapida. Spensare, si diceva, cercare di rimuovere ogni pensiero attraverso il movimento.
Intanto già preparava la colazione.
Mise a tostare due pezzi di pane nel forno, preparò la caffettiera e la mise sul fuoco contemporaneamente al latte che già aveva versato in un pentolino di latta dal colore bianco e blu. Poi si diresse verso il bagno per darsi una prima lavata.
Lui non si era ancora alzato, ma era sveglio. Come ogni mattina aveva sintonizzato la radio sulla modulazione di frequenza delle onde lunghe e per un po' era rimasto nel letto ad ascoltare notizie di deliri spagnoli intervallate da sdolcinate liriche di rumbe improbabili.
Una volta uscita dal bagno, come al solito, bussò sullo stipite della porta della camera da letto come a dire: il bagno è libero. E lui, come al solito, radio alla mano si alzò dal letto, e si diresse in bagno per compiere il rituale della rasatura. Guardò l'ora. Le lancette segnavano le cinque e trenta passate da un minuto. Un tic e tac preciso che suggeriva una situazione di orario perfetto.
Prese una lametta pulita e la infilò nel rasoio, poi strinse la vite e poggiò il tutto sul lavandino. Poi recuperò il pennello e lo bagnò per bene nel tinello d'acqua calda prima di sfregarlo meccanicamente, in un senso e nell'altro, dentro a una piccola ciotola di legno che molti anni prima aveva comprato da un venditore di spezie gallese e che conteneva ancora una discreta quantità di Crabtree & Evelyn, il migliore sapone da barba che si potesse acquistare nel Regno Unito.
Dalla cucina lo osservava, come era solita fare ogni mattina. Quell'uomo, croce e delizia della sua esistenza, ripeteva tranquillo il suo solito rito mentre scimmiottava un Fred Buscaglione che intanto veniva trasmesso da Radio Sardegna. Continuò ad osservarlo da lontano poi, tolti dal fuoco latte e caffè, gli si avvicinò lenta mentre lui si schiaffeggiava la faccia con una fresca acqua di colonia di produzione islandese dal nome Polar.
Non fece in tempo ad entrare nella stanza da bagno che lo abbracciò e lo baciò con uno scatto improvviso.
È pronta la colazione, hai fame?
Angelo fece cenno di sì con la testa e con calma si diressero entrambi in cucina. Sorridevano. Antonia versò lui un poco di caffè nel latte, poi si versò per sé un po' latte nel caffè. In silenzio giravano i cucchiaini nelle tazze, i bambini erano ancora a letto, e loro sorridevano come se fossero a conoscenza di un piccolo presagio che di lì a poco si sarebbe potuto verificare.
Sgranarono il pane tostato in due parti e con un coltello Angelo ci spalmò sopra la marmellata artigianale fatta con le arance di Muravera. Ogni anno un suo collega del porto la portava dal paese. Era di quelle parti e si era trasferito a Cagliari per lavorare. Forse voleva ringraziare Angelo per averlo fatto assumere o forse la sua famiglia, in paese, ne aveva così tanta che due barattoli da mezzo chilo in più o in meno non facevano alcuna differenza.
Continuarono a sorridere mentre si alzavano dal tavolo di granito freddo, leccandosi via dalle dita il sapore dolce della marmellata. Il loro era un sorriso di complicità.
Si avvicinarono l'uno all'altra, continuavano a sorridere, faccia a faccia, mentre Angelo con un braccio stringeva Antonia alla vita e con l'altro si avventurava sotto la gonna.
Il tutto fu veloce, consumato sul granito che poi non si era rivelato così freddo come sembrava.
La mattina presto era uno dei momenti migliori, uno dei momenti di intimità che non poteva essere disturbato da nessuno, neppure dai bambini la cui sveglia era fissata per le sette e mezza.
Continuarono a baciarsi distesi sul tavolo, appagati e con un leggero fiatone che tendeva a rasserenarsi.
La porta della cucina restava comunque chiusa per evitare che qualche piccolo ospite indesiderato si alzasse prima del previsto.
Ogni tanto compariva il piccolo Franco, era possibile percepire i passetti che lo conducevano dal letto al bagno. Spesso ci andava da addormentato solo per fare pipì e capitava che potesse restarci anche per cinque minuti buoni.
Una volta era capitato che si era alzato per far pipì proprio mentre loro si stavano amando. La porta era rimasta aperta ed entrambi, come avevano sentito i suoi piedi nudi sul pavimento, si erano di colpo bloccati fissando il corridoio. Franco era uscito dalla sua camera e si era diretto in bagno senza girare lo sguardo verso la cucina.
Si erano di colpo ricomposti e avevano atteso che il bambino fosse uscito dal bagno. In quei momenti di passione è indispensabile perdere il meno tempo possibile, ma Franco era restato in bagno per un tempo lunghissimo. Dalla cucina si sentiva lo scrosciare della pisciata sulla latrina, era un getto potente e continuo. Era durato per un po', con dei cali a cui seguivano delle esuberanti riprese.
Avevano sorriso e sottovoce si erano scambiati due battute.
Ma quanta ne ha?
Lascialo fare, l'arnese funziona.
Sì sì, ha preso tutto dal padre!
Tutti e due avevano riso con complicità, cercavano di trattenere i rumori il più possibile, ma nel momento in cui il diluvio del piccolo stava per finire avevano udito con stupore una potente scoreggia provenire dal bagno, un rombo di tuono che aveva smosso l'aria statica di tutta la casa. Allora si erano guardati negli occhi senza più riuscire a trattenersi, le mani davanti alla bocca e le lacrime agli occhi.
Gli spasmi delle risa avevano impedito ad Antonia di parlare. Rideva. Rideva talmente tanto che non riusciva a pronunciare quelle semplici parole:
S. sì. ass. ass. assomiglia. assomiglia proprio al padre!
Avevano continuato a ridere sino al momento in cui l'avevano visto uscire dal gabinetto. Tre anni ancora da compiere, il piccolo Franco, con gli occhi gonfi di sonno non aveva guardato verso la cucina neppure durante il breve tragitto del ritorno. Si era diretto spedito verso il suo lettino, ma prima di entrare nella sua stanza aveva sbattuto violentemente la testa nello stipite della porta ed era caduto per terra.
Ahia, aveva detto, mentre con una lentezza sonnecchiante tentava di rialzarsi per tornare a letto.
Quella mattina avevano dovuto interrompere lì ogni cosa. Mancavano dieci minuti alle sei e dopo un bacio veloce sulla porta di casa Angelo era dovuto uscire di fretta per andare al porto, rapido il più possibile per arrivare in tempo.
Tutto sommato era stato divertente.
Antonia ripensò a quell'episodio e sorrise. Angelo era già uscito e lei, stanca e con il corpo che avvertiva ancora un leggero subbuglio, si recò a letto per riposare un'altra oretta prima rialzarsi per svegliare i bambini ed iniziare la giornata.
E quell'oretta passò come una scintilla.
Come un orologio, aprì gli occhi proprio nell'istante in cui aveva deciso di svegliarsi. Diede una controllata per essere sicura. Preso l'orologio in mano lo fissò per qualche istante e sorrise, ma in realtà Antonia Mucceli non poteva dirsi veramente felice.
Tre bambini ed un quarto in arrivo, anche se per il momento aveva deciso di non dirlo a lui, ancora una volta aveva deciso di tenersi tutto dentro e non chiedere aiuto a nessuno, anche se questa volta era decisa ad andare fino in fondo, a chiarire la situazione e spaccare la testa a lui e a quella puttana se fosse stato necessario.
E si ritrovò nella burrasca dei suoi pensieri.
Tante volte aveva provato a metterlo alle strette per fargli confessare la sua infedeltà, ma niente, lui era solido e impenetrabile come una fortezza.
Eppure Antonia aveva percepito qualcosa, un atteggiamento di inconsueta inquietudine negli atteggiamenti di lui, una cosa che la faceva tremare d'ansia.
Che sia intenzionato a lasciarmi? Che stia meditando di abbandonarmi con tre bambini piccoli a carico?
Certi pensieri le spezzavano il petto. Qualche volta si era ritrovata sul pavimento in preda a delle convulsioni di pianto. Per fortuna nessuno dei bambini si era accorto di niente. Se c'era poi qualcosa che poteva farla stare peggio era il pensiero di sapersi incinta a insaputa di lui. Aveva più volte pensato di dirglielo ma non fino al punto di farlo.
Però quel giorno era diverso, diverso da tutti gl'altri e non sapeva il perché. Si era svegliata con quello strano sogno della sirena e si sentiva ancora intorpidita, ma forse la sensazione che provava non aveva niente a che fare né col sogno né con la sensazione provata sul tavolo della cucina.
Quello era il giorno giusto per rivelare il suo stato di gravidanza, lo sentiva. Fremeva in uno stato di paura e speranza che materializzava i suoi sogni e le sue angosce. Quel giorno lui avrebbe saputo e se avesse deciso di abbandonarla avrebbe commesso un atto ancora più abominevole di quello che forse era intenzionato a commettere.
Chiunque sarebbe stato dalla parte di Antonia, se avesse saputo, se lei si fosse aperta agli altri.
Ma lei si era sempre chiusa a riccio.
Antonia sembrava una donna di ferro, e benché lei non si sentisse così tutti in quartiere la stimavano perché riusciva a farsi largo fra le difficoltà della vita. Aveva la fama di chi la vita la coccola sebbene ogni tanto sia necessario prenderla a cazzotti.
Quel giorno. quel giorno. pensò che non lo avrebbe solo messo alle strette come le altre volte, che era l'ora di sferrare il suo attacco definitivo. Era stanca di porgere l'altra guancia e, nonostante fosse una donna di fede, pensò che la forza della persuasione stava anche nell'essere diretti, risoluti come Cristo che infuriò nel tempio.
Quello sarebbe stato il giorno della verità, il giorno delle confessioni e dei pentimenti, se mai fosse riuscita a convincerlo. Angelo era un burbero, forte di aspetto, ma Antonia sentiva di avere ragione, e quando una persona ha la ragione dalla sua parte può anche patire le pene dell'inferno ma tanto sa che chi sbaglia paga e chi ha sbagliato pagherà perché la giustizia c'è, per tutti.
Sarebbe finito il trasbordo da un letto all'altro per farsi incantare da quella donnaccia che lo attirava a sé dai tempi della loro gioventù. Sarebbe finita la pena di perdere l'uomo di casa e, con lui, la sicurezza per i suoi figli, così come sarebbe finita l'angoscia di non contare niente nella vita di suo marito che, se mai fosse stato possibile associare queste due parole, era stato schiavo e colpevole al tempo stesso, e perciò meglio perderlo.
Tante volte aveva chiesto lui delle spiegazioni. Tante volte gli aveva domandato cosa è lei per te? Ma niente, lui si era sempre rifiutato di ammettere la relazione.
Le aveva detto che quando erano stati giovani lei lo aveva corteggiato, ma niente di più. Diceva anche che la vedeva ormai come un marinaio russo vecchio stile, uno di quelli dei tempi in cui il servizio per il suo paese era esercitato esclusivamente nel nome del popolo e la sua immagine era quella di chi resta collassato in seguito a sbornie di vodka e fumo di preziosi sigari cubani rubati al lavoro delle fabbriche di Varadero per essere smerciati di contrabbando a quegli sporchi capitalisti che, anche se pagavano bene il servizio, erano solo un cancro per tutti gli uomini che volevano solo essere liberi, e socialisti.
Lui parlava e parlava tramite aneddoti e simbologie di mare. Questo la faceva andare particolarmente in bestia, ma ogni volta cercava di stare calma e diceva lui non sono un tuo compagno di ciurma, cambia tono Angelì che con me non attaccano le vecchie storie di mare!
Si chiese perché ogniqualvolta lei assumeva questi atteggiamenti lui s'imbufaliva sul serio.
Ma non le importava più di tanto.
Ne era certa, quel giorno non sarebbe trascorso senza la prova della sua ammissione, senza che fossero cadute definitivamente le sue lacrime di diamante, in quanto di una prostituta inconcepibile e sordido amante.
Era rincasato da poco meno di una decina di minuti. Si stava lavando in bagno. Fischiettava canzoni gitane come se nulla fosse. Il bocchino d'avorio nella quale aveva inserito un sigarillo appena acceso era posato al lato della mensola che stava sotto lo specchio. Poco più sopra stava l'immagine corrispondente al volto di suo marito, indaffarato in una meticolosa pulizia spezzata di tutto il corpo.
Antonia lo osservava dalla cucina facendo finta di leggere le notizie della cronaca locale. Ormai non le leggeva più da tempo. Le solite cose scritte per lasciare tutto immutato, le solite cose che non danno e non tolgono niente a ciò che i cittadini sanno del luogo in cui vivono.
Antonia aveva pensato che sarebbe stato più opportuno levare tutte quelle parole inutili e scrivere per ogni pagina, per ogni articolo: questo accade, questo è accaduto, questo non accadrà più, questo è accaduto ancora.
Quei reportages rionali, di quartiere, non avevano più senso. Cercavano di rendere eccitanti o romantiche le avventure di chi ci abitava o di chi vi era costretto.
All'ultima pagina, quella degli annunci matrimoniali, decise di alzarsi e, gettato il giornale sul tavolo, si diresse con aria minacciosa verso il bagno.
Ti fai bello?
Eh?
Dico: Ti Fai Bello?
In che senso?
In che senso, in che senso. nel senso che non hai fatto tempo a rientrare che sei già fuori di casa!
Lo sai che oggi vado con i colleghi.
Sì come no! Adesso si chiamano colleghi! Oh Angioletto, perché non mi hai detto che cambiavi lavoro? Ti pagano meglio? Il servizio non ti pesa? O forse l'hai fatto per noi? Eh?
Il viso di Antonia si era fatto rosso tutto d'un colpo, le vene del collo e della fronte pulsavano gonfie come i flutti di un fiume in piena.
Perché non mi hai detto che per la tua famiglia hai deciso di lavorare in un bordello? Potevi dirlo sai. che male c'è a frequentare bagasse? È un lavoro come un altro!
Stai dicendo fesserie.
Ah, sto dicendo fesserie? Sto Dicendo Fesserie?
Sì, stai dicendo fesserie. Lo sai che oggi è il giorno in cui esco con i miei colleghi.
Ma chi, quelle quattro braghe fasciste che frequenti?
A parte che nessuno dei miei colleghi è fascista, lo sai che andiamo per parlare di politica e giocare a carte all'associazione marinai d'Italia.
All'associazione puttanieri d'Italia vorrai dire!
Basta Antonia! Non ti permetto di parlarmi così, mi sono fatto il mazzo fino a poco fa e ora ci manchi solo tu a farmi la catechesi! Ti ho detto carte e politica! Ma cosa ne vuoi sapere tu. Chiuso il discorso!
In un lampo fu fuori dalla porta, veloce come non mai. Antonia aveva le lacrime agli occhi. Per fortuna i bambini erano in strada a giocare e non avevano assistito alla scena.
Dalla porta vide il marito allontanarsi con passo spedito lungo viale Eleonora d'Arborea.
Chiamò Franco a sé e gli chiese di seguire il padre.
Gli disse segui tuo padre e poi torna subito qui. Non chiamarlo, lo segui e basta, poi torna subito a casa e dì a mamma dove è andato, va bene?
Franco fece un cenno con la testa. Quel bambino era così intelligente che sembrava più grande della sua età. Anche la sua corporatura lo faceva sembrare più grande, appena nato pesava sei chili e cento grammi.
Nel momento in cui gli aveva detto di andare dietro al padre, Antonia aveva pensato di dire al piccolo di chiamarlo nel momento in cui stava per entrare nella porta. Lei sapeva benissimo dove si stava recando il marito, in via San Lucifero, al bordello di Susi Lay.
Poi, bastò un solo istante per non dire niente, sarebbe stata una vendetta molto forte far vedere a quel fedifrago il volto del suo bambino mentre lui entrava in una casa d'appuntamento, ma poi aveva pensato che il danno maggiore sarebbe stato arrecato a suo figlio che si sarebbe potuto ricordare dell'episodio per sempre giacché certi fatti, certi avvenimenti, non si scordano mai.
Quando il piccolo tornò, dopo meno di dieci minuti, le disse che il papà era entrato in una porta vecchia. E poi tutti insieme, con Rafaela e Licia, avevano iniziato a chiederle chi sta là? Eh, mamma, chi sta là?
I bambini sono così, pensò Antonia, curiosi al punto che quasi non gli si può nascondere niente di ciò che accade. Ma lei comunque nascose e rispose loro che quella era la casa di un amico del babbo, una casa dove si giocava a carte.
I bambini, perso ogni interesse, tornarono a giocare in strada mentre lei si ritirò in cucina.
In testa le rimbombavano ancora quelle frasi di carte e politica. Parole che al loro interno contenevano il più bieco dei significati che non potevano essere rivelati. La differenza tra l'esser uomo e sapersi donna, la differenza tra poter parlare delle cose e doverle tacere per mancanza di qualità e attitudini.
Non si era mai sentita tanto umiliata, proprio lei che di politica ne aveva fatto attivamente il pieno quando aveva lavorato come sigaraia alla Manifattura Tabacchi dello Stato e sacrificandosi aveva mantenuto dignitosamente i suoi tre figli con un padre a cottimo, impegnato fra un giro per il mondo e l'altro. Proprio lei che sapeva che l'unico valore della politica di suo marito era quella costruita con l'egoismo e la speranza di pensare il meno possibile ai problemi della vita.
Antonia si chiuse dentro ai suoi pensieri.
O da essi si fece rinchiudere.
Seduta nella sedia di legno e rafia le riapparve l'immagine di lui che in quegli anni aveva dimostrato di amare i suoi figli, quei marmocchietti che adorava portare in spalla. Eppure si chiedeva se fosse stato cosciente di non reggerne veramente il peso. Si chiedeva se lui avesse mai pensato a cosa avesse significato per lei cercare di tirare su, far crescere dei figli onestamente.
Si era accorta che, lasciato il mare, Angelo era cambiato. Nei primi tempi lei stessa aveva provato pena per quell'uomo i cui ideali l'avevano affascinata a punto di sposarlo.
Ma aveva anche compreso che quando il rientro fu definitivo, il loro letto si era tristemente trasformato in una cella carceraria le cui sbarre erano le sue braccia, sole e in cerca di un prolungato calore.
Piangeva quella donna sola, piangeva in un silenzio che era rotto solo dalle poche gocce che cadevano dal rubinetto del lavabo.
La consapevolezza che il marito si sentisse in gabbia la avviliva comprimendole il cuore. Lui era lì, in quella casa, con il suo corpo, ma i suoi tristi pensieri erano lontani, distanti fino al punto di ignorare i problemi che quella stessa casa viveva, remoti fino al punto di farlo passare dritto e liscio davanti all'evidenza delle difficoltà familiari.
E forse anche per questo era solito scappare di casa per andare da chi di sicuro non gli faceva problemi, da chi chiedeva solo il suo corpo o piuttosto i suoi soldi. Da quella puttana di Susi Lay.
Si interrogò sul da farsi. Ore e ore di pensieri che affaticavano la mente e il corpo. L'ora di cena era passata da qualche ora. I bambini avevano smesso di giocare, avevano mangiato ed erano andati a dormire.
Era stato difficile dire loro che il padre era dovuto andare a lavorare anche di notte. Difficile, continuare a mentire in quel modo e tenersi tutto dentro.
La casa era avvolta nell'oscurità, in un solo scatto d'orologio la notte del sabato si era trasformata nel primo buio della domenica mattina, ma tutta la bontà di quel giorno di riposo non aleggiava fra i pensieri di Antonia, insonne e senza pace.
La stasi delle cose le permetteva una migliore concentrazione, o almeno questo credeva di pensare. In realtà le sue riflessioni erano mutate in un groviglio di rivendicazioni e certezze, supposizioni e accuse dalle quali lui non si sarebbe più potuto tirare indietro.
Pensò che non le importava più nulla del fatto che la gente non dovesse sapere niente, si facesse una cagata il buon vicinato e tutto il resto.
Lei quella notte aveva deciso di urlare.
E per i bambini chissà. prima o poi avrebbero dovuto sapere, prima o poi avrebbero saputo perché qualche lingua lunga li avrebbe informati. Tanto era così in quel quartiere, nessuno si faceva i fatti propri, tutti avevano uno straccio al posto della bocca, uno straccio che permetteva loro di lavare gli affari sporchi degli altri, un semplice straccio per lavare in terra, bagnato però nelle putride acque del preconcetto.
Era stanca morta, i suoi bellissimi occhi verdi erano irascibili come mai lo erano stati. Si ripeteva che ormai non c'era più ragione di controllarsi, il tempio sarebbe caduto con tutti i suoi occupanti.
Era ora di prendersi ognuno le proprie responsabilità, lei compresa. Non poteva permettere che la situazione degenerasse ulteriormente, non poteva tacere ancora su una umiliazione che continuava da troppo tempo.
Furono scosse lunghe minuti e ore che la frastornarono fino al punto di farle prendere in mano un coltello e girare per la casa in cerca di vendetta. E poi le immagini davanti a sé di lui con la puttana, le risate volgari di chi la salutava cordialmente tutte le mattine e poi se la rideva sotto i baffi in quel rione di merdosi. Avrebbe voluto vendicarsi di tutti, sconosciuti inclusi, ma poi udì la chiave entrare nella toppa.
Quell'istante la pietrificò.
La chiave girò tre volte e la porta si aprì lenta. Il coltello cadde per terra emettendo un forte rumore di metallo che squarciò il silenzio. Antonia non avvertì nulla, ferma la sua posizione nel mezzo dell'anticamera, con la bocca spalancata.
Notò qualcosa nella faccia di lui e di colpo non si ricordò più da dove cominciare. I suoi occhi avevano qualcosa, le labbra di lui si muovevano ma per lei tutto era avvolto da un vuoto di silenzio.
A cosa stavo pensando? Si chiese mentre lui le stava di fronte, fermo come in attesa di ricevere qualcosa.
A che cosa? Ma non seppe darsi una risposta.
Si inginocchiò per terra, le prime lacrime avevano iniziato a grondarle dalle guance.
Perché? Pensava. Perché tutto è così difficile?
Fu breve il momento che le aveva fatto perdere ogni coraggio, ogni forza. Eppure quella notte lo sguardo di suo marito aveva qualcosa di strano. Forse sarebbe potuta riuscire a risolvere la sua vita quella notte, sarebbe potuta riuscire a farlo parlare per metterlo alle strette una volta per tutte. Poteva anche cacciarlo di casa per sempre, ma il suo sguardo le impedì di muoversi, di parlare e di fare tutte le cose che aveva pensato, tutte le cose che quella sua notte avevano tormentato.
Perché la vita è così? E perché le cose che sembrano così banali a raccontarle poi sono proprio quelle che ci condizionano maggiormente? Sembra che nulla abbia un senso, tutto si muove trasformando la nostra vita, i nostri corpi che invecchiano, i nostri pensieri che decadono e che nessuno ricorderà più.
Antonia pensò di avvertire la propria debolezza nel momento sbagliato, da qualche minuto non capiva più niente, non sentiva più niente se non una volontà di abbandono che le aveva ammorbidito le idee.
Fu nell'istante in cui lo vide chinato al suo fianco che percepì quanto fosse freddo il pavimento. Poi ancora i suoi occhi e la sua mano forte che le stringeva il braccio per coglierla e portarla su, in braccio fino al loro letto.
La sensazione di risalita la riportò alla mattina di quella stessa giornata. Rivide la sirena e, nitidamente, il forte braccio che la tirava su. La sirena aveva il suo volto, il suo sorriso, la sirena era lei. La sensazione era quella giusta, il messaggio era stato lineare, ma non troppo.
Momenti che trascorrevano lenti, senza parole, solo pensieri. E poi ancora quello sguardo diverso dal solito e le labbra di lui che si muovevano. Le vide lente e vicine a se mentre esprimevano finalmente tutto ciò che in qualche modo aveva bisogno di ascoltare.
Da oggi tutto cambia amore mio.
E nessuna altra parola occorse per esprimere il loro abbraccio.![]() 8:45 di una qualsiasi mattina dell'anno lavorativo, esco per andare a studio ed in Tribunale. E' una mattina soleggiata, fa caldo, ma la tempretaura non è asfissiante. Mi sento allegro e mi convinco che questa giornata così accogliente, dolce e carezzevole sarà una giornata senza falsità ed ipocrisie, senza paure, nè passi falsi. Sì, forse solamente me ne convinco. Questa mattina mi sono svegliato con quella tipica sensazione di caduta che si ha quando si sogna e che termina con una forte reazione nervosa e di irrigidimento muscolare. Questa volta, diversamente da tante altre, mi ricordo bene cosa aveva determinato quella sensazione, il sogno non si è autocancellato dalla mia memoria, probabilmente perchè ero già quasi sveglio, a dire la verità ad un certo punto mi è sembrato veramente che fossi sveglio appena prima che mi aggrappassi al letto per non cadere. Ero ancora sotto le lenzuola, la sveglia stava per suonare e come spesso mi succede apro gli occhi qualche minuto prima, sento una leggera brezza venire dalla porta della stanza, alzo la testa automaticamente e mi sembra di vedere una forma, una figura, un'ombra che, ferma sulla soglia della porta mi dà le spalle o per lo meno così credo. Dal letto a stento riesco a delinerarne i contorni tuttavia percepisco che è girata verso l'esterno e che si sta allontanando. Cerco di capire dove, cerco di capire perchè: -ASPETTA!!!- Oltre alle fuggevoli immagini che si sono fissate nella testa, al completo risveglio, mi è rimasta addosso anche una sensazione fisica particolare: come se mi fossi trovato su una scogliera a guardare verso il basso, da solo, con la testa vuota. No, non vuota, svuotata, con la necessità di cercare disperatamente un pensiero, un qualsiasi pensiero, senza riuscire a trovarne alcuno. Ma ancor più strana era la sensazione, nonostante quella scogliera, di essere vicino all'acqua, era come vivere dentro un disegno di Escher dove i concetti di lontano e vicino sono follemente superflui, avrei potuto quasi toccarla se avessi avuto le energie psichiche per farlo. Avrei voluto almeno tentare di allungare una mano, mi sarebbe bastato anche solo potermi muovere. Mi sarebbe basato...sentire il cuore battere, mi...sarebbe...bastato...sentire...anche solo un po' di dolore. -ASPETTA!- Quell'urlo mi aveva riportato alla realtà, mi aveva effettivamente convinto di aver fatto semplicemente uno strano sogno. Mi alzo, uno sguardo di sbiego alla finestra, è una bella giornata. Doccia, barba, un bel vestito, una bella camicia azzurra, e la mia cravatta preferita, quella arancione: sì, è una giornata fantastica! Arrivo verso le 9.00 a studio, entro come al solito fischiettando e augurando un buon giorno a tutti. -Sì, sì, ho capito, ti ho già risposto- mi sento dire da una stanza. - Ma, veramente io...- ma non continuo, penso semplicemente che devo essere stato preceduto di qualche secondo da qualcun'altro dello studio. Mi dirigo verso la mia stanza e cerco di organizzare tutte le carte ed i fascicoli per la mattinata al Tribunale. Osservo la scrivania, mi devo far portare il fascicolo del processo di questa mattina. -Ecco qui il fascicolo, come mi avevi chiesto - mi sento dire dalla segretaria che è appena entrata, senza che io me ne accorgessi. - Ma, veramente io...- Non continuo neanche questa volta, probabilmente avevo lasciato detto o lasciato scritto qualcosa la sera prima. Infilo tutto ciò che mi serve nella borsa e tento di alzarmi. Per una frazione di secondo, infatti, non ne ho la forza, riesco solo a sollevare la testa, lo faccio automaticamente e mi sembra di vedere alla fine del corridoio che si allunga dalla mia stanza, una forma umana che si allontana. Non ho il tempo di pensare perchè le forze ritornano tanto rapidamene quanto veolcemente le percezioni mnemoniche spariscono. Quando esco dallo studio per avviarmi verso il Tribunale nuovamente il caldo mi colpisce la pelle, nuovamente mi si riaccende il sorriso. Sto quasi volando, non sento l'attrito del marciapiede e riesco a tuffarmi in un mondo di colori e calore tanto da lasciarmi coccolare fino all'imbarazzo. Faccio appena in tempo ad entrare nel Palazzo di Giustizia che un amico mi viene incontro come per dirmi qualcosa, lo noto dal suo modo di incedere e dal suo sguardo, non ha un'espressione ostile. Allunga una mano, penso per salutarmi: -Bravo, non era un processo difficile, ma comunque hai fatto una bella requisitoria!- Questa volta bofonchio un mezzo grazie e comincio, non so neanche perchè, a guardarmi intorno. Con una scusa mi allontano dall'amico con fare malcelatamente sicuro."Ma cosa cazzo sta succedendo!!!" penso "sto diventando scemo? Mi stanno facendo uno scherzo? Ma che ora è? Che giorno è? Che anno è?". In un attimo torno calmo perchè sono entrato in Tribunale e questi luoghi, a me familiarissimi, trasmettono conforto, mi guardo attorno e vedo oggetti amici che consentono di dimenticare la nostalgia che mi dà l'ignoto. Mi do dell'imbecille pensando che probabilmente Giovanni si riferiva ad un altro processo e non a quello di oggi, così mi avvio all'aula d'udienza. Girando l'angolo il mio sguardo sorpassa, fissandola per una frazione di secondo, la porta di una cancelleria. In quella frazione di secondo mi ritrovo sull'orlo di un precipizio stretto come una porta, con una sensazione di vertigine e di nuovo una figura che mi dà le spalle, sempre più lontana. Ancora una volta non faccio in tempo a ragionare, perchè camminando sono arrivato di fronte l'aula di Tribunale ed ancora una volta le percezioni mnemoniche spariscono. E' tutto chiuso come se le udienze fossero finite e fosse l'ora di pranzo. Mi guardo intorno c'è qualche avvocato che parlotta al telefono, qualche cancelliere che si trascina, come sempre, un quintale di pratiche. Mi convinco che probabilmente, guardando l'agenda, ho sbagliato giorno. "Succede" mi dico e torno indietro per rientrare a studio. Guardo la finestra, il sole è ancora lì, anzi ora che riacquisto il controllo sul mio fisico percepisco che sta facendo ancora più caldo così automaticamente guardo l'orologio: "L'una..l'UNA!!!!". Mi spunta una lacrima dagli occhi, mi tremano le gambe, ho paura. Ho veramente paura, sento il cuore che accellera le pulsazioni, allo stesso tempo in mezzo al torace cresce una sensazione di vuoto. L'ho sentita tante volte, la precepisco sempre quando ho fatto oppure è successo qualcosa che non mi piace, che avrei voluto fare diversamente. La conosco bene, sento come se qualcosa mi stesse premendo al centro del petto e allora io cerco di capire cosa mi vuole comunicare questa sensazione, oppure cerco di individuare la fonte di tale malessere, ma non ci riesco. Perchè devo conoscere una paura che non ha forma, non ha suono, non ha odore, io non la voglio. Desidero sentire qualcosa, toccare qualcosa, voglio precepire qualcosa di fisico, voglio dolore!!!!!! Ancora una volta sento la necessità di guardarmi intorno e di individuare qualcosa, tuttavia non so in che direzione cercare, non so che cosa. Devo uscire, mi dirigo verso l'androne centrale, giro verso la porta d'uscita. Aria, finalmente respiro, il mio cuore riprende a battere regolarmente e mi permette senza esitazione di avviarmi verso lo studio. Da lontano osservo la farmacia dove lavora una mia amica e riesco anche a sorridere perchè evidentemente, penso, non devo stare per niente bene. Decido, così, di andarle a chiedere un calmante o qualcosa del genere e recuperando un po' di razionalità sento che le forze ritornano e le percezioni mnemoniche spariscono. Mentre mi avvicino vedo uscire Carla che cammina verso di me con il suo solito sorriso-preoccupato, tipico dei farmacisti. -Ecco da quello che mi hai detto questo prodotto dovrebbe andare bene, però lo devi aiutare stando un po' a riposo, amico mio- Non ce la faccio neanche a rispondere, accenno un sorriso di gratitudine e mi prendo la busta che la mia amica mi sta porgendo. -Carla mi sta succedendo qualcosa di strano!- Assumo un tono allarmato con una voce tremolante e quasi mi convicno che forse raccontando ciò che mi sta accadendo riuscirò ad uscire da questa situazione assurda. -Ma non ti preoccupare è usuale sentirsi un po' strano se si sta male- Non posso parlare rischierei di non controllarmi e se mi dice un'altro di questi luoghi comuni da farmacista potrei prenderla a cazzotti fino a zittirla definitivamente. Ho paura, ho troppa paura, Cresce il panico. AIUTO! Tento di governare un pochino i muscoli del viso e riesco a costruire una smorfia che per lo meno mi permette di celare la rabbia da terrore che mi sta crescendo dentro e che potrei scaricare su chiunque, chiunque...chiunque...chiunque. -Guardati!- mi dico -guardati dentro, non senti più nulla, non c'è più nulla, sei vuoto.- La mia amica farmacista comprende che non è il caso di trattenermi oltre e comincia a salutarmi, -Mi raccomando, riposati-. Non posso parlare: "MA NON CAPISCI CHE HO PAURA?!?!?! DAMMI UN AIUTO, TI PREGO, NON LASCIARMI SOLO!!". La mia mente terrorizzata mi scarica pensieri indecifrabili che mi affollano il cervello e mi offuscano i centri di controllo celebrali. Scappo via. Ora sono solo, cerco di rallentare il passo mi guardo intorno un po' disorientato, mi levo la giacca cercando di attirare di nuovo il calore solare, cerco nuovamente di convincermi che se riesco a farmi coccolare ancora un po' mi ritornerà anche un briciolo di razionalità. La sensazione di vuoto che si è stabilita al centro del mio corpo per un po' passa in secondo piano, così raccolgo la forza fisica che mi è rimasta per sollevare la testa verso il sole e chiudere gli occhi. Ora sto camminando, non mi importa chi mi guarda, apro le braccia e respiro profondamente al cielo, sento il calore. Finalmente sono giunto davanti lo studio, ma non ce la faccio a salire, non posso trovare la forza per aprire il portone. Riesco a decidere allora di dirigermi verso l'auto e ancora una volta, mentre volto il capo, la coda dell'occhio percepisce la stessa inquietante figura nera di spalle, che è sempre più lontana. Mi giro di scatto per bloccare quell'immagine, urlando: -ASPETTA!-, ma tutto svanisce. Svanisce...svanisce...questa parola mi rimbomba nella testa "Ma sono veramente sicuro che ci sia qualcosa che non riesco a vedere? O sono solo io che mi sto incaponendo e si tratta semplicemente di una specie di autocondizionamento dovuto al sogno di questa mattina? Forse veramente sto covando una qualche malattia". Ma allora perchè ho così tanta paura, perchè mi sta crescendo il panico, un terrore così forte da scavarmi un abisso dentro, del quale ormai stento a percepire i confini? Una frazione di secondo prima di attivare le gambe per raggiungere l'auto ho di nuovo una sensazione di vertigine, poi mi muovo. Salgo, accendo e parto. I miei occhi sono fissi davanti e la mia testa rimane ferma. Comincio a piangere. Ora neanche più il calore della bella giornata mi riesce a consolare. Il mio sguardo è fisso sulla strada davanti a me, è immobile. Sto versando lacrime, tante lacrime inarrestabili, mi si stanno gonfiando gli occhi, mi tremano le mani, le braccia sono colpite da improvvisi scatti nervosi, respiro a fatica. Desidererei raggiungere casa mia e sentirmi confortato, però non vorrei svoltare perchè ciò mi costringerebbe a girare la testa, tuttavia ad un certo punto non posso più rimandare se voglio arrivare a casa devo farlo. Temo di intravedere di nuovo quella figura che si allontana. Svolto a sinistra, so di essere quasi arrivato, recupero lo sguardo fisso di fronte. L'occhio non precepisce nessuna ombra addirittura mi sento quasi sollevato. STOP! FERMATI! Piango. Il terrore cresce esponenzialmente così come il tremolio delle mani, mi sono accorto che si è fatto quasi buio anche se, secondo quel poco di razionalita che riesco a pescare nell'abisso, dovrebbe essere passata solamente qualche ora da quando mi sono alzato dal letto e sono uscito per andare a lavoro. La notte invece si sta avvicinando. Ora sono fuori dalla macchnina, cammino e gli occhi non riescono più a stare fermi si muovono vorticosamente come in uno stato di ipnotica allucinazione. Di fronte a me c'è un vicolo che si colora di nero. Non c'è nessuno, nessuna figura che mi dà le spalle, nessun'ombra che si allontana. Ora è tutto completamente buio. Sono morto. ![]() Dubito assai che i prof leggano Bukowski, quindi farebbero meglio ad astenersi, che loro ci fanno e basta e oscillano tra l'essere e il non essere. Ma dunque se conoscevo poco i prof dei tempi miei, quellidioggi li ignoro completamente molto, quindi se tutto è possibile che accade, non si può escludere a priori che i prof abbiano letto Bukowski, più probabile al 100 per 100 cento che ne abbiano sentito parlare da qualche studentessa intelligente ovvero qualche studentello un po' infoiato. Un brufolo qua, un brufolo là, due seghe al giorno pensando alla compagna del banco davanti, e il taccuino del vecchio porco, nascosto tra le pieghe del lenzuolo. Le femminucce più in gamba come sempre, e si sa che loro cosce e gambe e anche il resto nascosto nel segreto di quegli arti inferiori o visibile in collina sporgente, le usano spesso bene, a dar credito ai film porno, soft e affini, che girano in sala internet, o in altre sale consimili e associate, sono sempre un passo avanti, e senza scrupoli e brufoli pochi, leccano, slinguano, si toccano, da sole e in compagnia o usano gli aggeggi, specie se sono in collegio o dalle suore. E leggono altro che Bukowski, ma soprattutto non si fanno la faccia da foruncoli scoscesi (chissà cosa significa, ma ce lo metto lo stesso). Questo, è chiaro, è solo fantasia da film, ma quando la fantasia supera la realtà, come la mettiamo? Domanda frequente e irrisolta. Però se la realtà non esiste, perché porsi tante domande. Ma se adesso vorrei essere ragazzo, tutto ciò dimostra che, con buona pace di Fellini che di fantasia se ne intende ma giacché è morto se ne intendeva, la realtà esiste e gli anni passano non sono mica Fellini io, che è immortale anche se è morto, e il tempo se ne va, scorrendo sotto i ponti come il fiume. Che bella frase capolavoro che ho scritto, ci vorrebbe adesso un capolavoro di film per appiopparcela dentro. Già fatto griderà mio figlio, sentita e risentita, e non avendo argomenti solidi su cui basare la mia dimostrazione, gli rispondo ma chi se ne frega e pensa a studiare, che è il massimo della sciccheria e del valore aggiunto educativo per un genitore di vedute ampie. Tutto ciò svela, però, che tutto è il contrario di tutto, e le dieci righe, anche se bisognerebbe precisare se sono righe di computer o righe delle famose cartelle 30 righe per 60 battute, o righe bianche in mezzo alla corsia dell'autostrada, le sorpasso facilmente, e giuro sul fuoco spento che anche quando non critico, mi criticano di essere prolisso. Dite subito inconcludente, dico io, che facciamo prima, e questa qualità, l'ammetto, ce l'ho tutta, so dire tanto senza dire niente, ma se continuo per ore senza toccare il nocciolo, non me ne vanto, però mi chiedo perché, se per trentacinque anni suonati sono andato avanti così, dovrei cambiare, proprio adesso che carrozzeria e motore mostrano segni di usura prolungata: fegato, reni, cervello e polmoni hanno bisogno di una ripassata, mi restano stomaco così e così, e fegato tutto intero. Però di parole ne ho dette e scritte tante, ed è proprio una bella soddisfazione. Intendiamoci, invisibile ero e invisibile rimango, perciò non è questione di visibilità se anche lo specchio, quando mi ci metto davanti, riflette l'immagine di un altro, e nemmeno la questione dovrebbe essere di lunghezza, anche se le giapponesi quando vedono un negro nudo esclamano, non so cosa perché il giapponese non lo capisco, ma si capisce subito che è questione di come la cosa si usa. Qualsiasi cosa intendo, non quello che si potrebbe pensare. E lungi da me l'idea di criticare qualcuno. Se le macchie servono a fare affollare nella testa i pensieri, io dico quelli che si affollano nella mia, almeno quelli che riesco a trattenere, così la folla si dirada un poco e la testa resta più vuota. I capolavori non li sapevo scrivere prima figuriamoci se li voglio scrivere ora. In un'altra occasione forse, per adesso mi interessano solo le macchie nella loro essenza più pura, e la posizione sotto la Barbara mi intrigava, perché a volte, dovete sapere che io mi sento intrigante. Tutto qui, punto e basta e andiamo avanti. Comunque sarebbero tutte cose interessanti da trattare nel forum, che è il luogo dove tutti debbono parlare, ma i muti come fanno a parlare, e poi da piccolo, quando davvero ero ragazzo, mi hanno abituato ai forum dove tutti parlano e due o tre decidono, e poi bisogna iscriversi, trovarsi un nome d'arte, seguire la faccenda giorno dopo giorno, per vedere come cresce e il suo sviluppo. No, grazie, oggi no, mi basta una sbirciata di tanto in tanto, non ho proprio voglia di forarmi (che significa, tanto per non fraintendere la cosa, che mi iscrivo a un forum, non in altro senso anche se va tanto tanto di moda, ma se non lo feci da giovane, mi vado a impantanare proprio adesso in questa roba, che la carrozzeria va rifatta e riverniciata, il carburatore pure e i freni inibitori, si inibiscono da soli per stravizio e non per virtuoso uso, e mai, dico mai, hanno avuto una bella registrata da un meccanico di grido), grazie magari un'altra volta. Intanto vi confesso una cosa, a voi non interessa, nemmeno a me interessa, ma va detta per capire fino in fondo la situazione, e forse poi potremo dibattere e batterci e ribatterci sulla questione capitale: l'arte esiste o non esiste e via dicendo, e qui ci metterei un punto e ce lo metto. Dunque, è giunto il momento della confessione, e vi confesso con il cuore in mano che le macchie altrui le leggo appena appena qualcuna di sguincio, poi mi stampo tutto e sto raccogliendo pagina su pagina e alla fine leggerò il malloppo come un libro vero: uno, le macchie altrui così facendo, mi influenzano poco; due, forse leggendo tutto d'un colpo, capirò che le macchie producono anche arte e quindi l'arte esiste, ma seppure non esistesse si vive bene lo stesso, non è un problema di arte ma di mestiere, e chi i problemi dovrebbe risolverli, il suo mestiere lo sa fare bene, avendo imparato ab origine che sopravvivere è tutto, così fanno le leggi per far schiattare gli altri in nome di mamma e papà in primo luogo, in nome di dio in secondo luogo, in nome del popolo sovrano in terzo luogo, in nome e basta in ogni luogo. Ma sopravvivi oggi, sopravvivi domani, schiattano anche loro, quelli che fanno bene il mestiere voglio dire, e ci insegnano misticamente che i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi, anche se non si capisce bene il perché noi siamo sempre gli ultimi. E visto che ho tanta sapienza nella testa, riprendo un vecchio filo del discorso, lo tiro un altro poco e ci aggiungo che vi pare il caso che uno come me, sapiente come un fungo velenoso (questa viene direttamente dall'inconscio, ne sono certo, perché una volta mia madre si è avvelenata coi pasticcini freschi comprati al Bar Centrale e non è nemmeno morta, ma dopo un po' le è venuto il diabete, e un'altra volta mi sono avvelenato anch'io con il cappuccino ateo bevuto al bar proprio dietro l'angolo, l'unico che c'era nei paraggi del Palazzetto dello Sport, e per fortuna che c'erano quelli muscolosi che mi hanno portato in ospedale), si mette a fare questione di posti e non capisce che bisogna capire che ciò che conta innanzitutto, è l'ordine di arrivo. Credo che tutto si stia chiarendo, ognuno dice scriva tace quello che gli pare e piace, d'accordo? Forse sì forse no, ma ho il sospetto che se prevalgono i no, la macchia perde di valore, e Rorschach diventa un altro luogo di impenitenti e sagomati scrittori e scribacchini creativi e indottrinati. La premessa è che la scrittura è sempre creativa, ci vuole solo un po' d'allenamento, ma se ti alleni troppo coi giochetti, palleggi bene ma passi male la palla, in fondo anche scrivere è gioco di squadra, pure se si scrive soli soli, tu e il foglio bianco e nulla più, se non aggiungere il fatto che essere un Rorschach, dovremmo poi considerarlo un privilegio unico, che ti conduce dritto dritto, nel luogo inesistente del tuo IO. Ma visto che la montagnetta di carta sta crescendo, e un giorno, certo prima dell'eternità dovrò pur leggerlo, mi accorgerò che manca il mio racconto e forse allora e solo allora, riverniciato e vecchio, il groppo nella gola mi dirà il rimpianto di non aver svolto il compito che mi consegnerà ai posteri. A parte, comunque, che mi piacerebbe essere per sempre un antenato, ma a lume di naso deve essere terribile l'immortalità, il racconto ispirato dalla macchia l'ho promesso e lo incomincio, per non avere scrupoli in futuro, anche se mi diverte di più sfollare i pensieri così come vengono e s'affollano in sinapsi naturale e non scolastica. E non mi dite che critico, perché l'ho detto che per adesso non leggo ciò che fanno gli altri, aspetto che la missione sia compiuta. Ma il mese di maggio mi sembra il mese adatto, la vita rinasce, anche se le stagioni non sono più quelle di una volta, ho una storia vera da inventare e la macchia mi sembra perfetta. Una bella sirena, anche se è un po' pallida e non si è nemmeno pettinata. Ho tutto l'occorrente che mi serve: atmosfera, macchia particolarmente adatta e storia da narrare. A questo punto bisogna fare prima il progetto, non penserete che un racconto si fa così su due piedi seduta stante, con le macchie si può anche scherzare, ma col racconto, noi che veniamo dalla scuola dei magnifici Manzoni affiliati Verri, bisogna stare attenti, che toccando i fili sena protezione muori, e poi Baricco e la Maraini chi li sente, che s'interrompe il flusso di sillabe sonanti. Allora prendi gli appunti, abbozzi i personaggi, ti fai la scaletta degli eventi e soprattutto trami fino a stancarti, fino a che il prodotto e bello e finito. Sinceramente adesso non faccio niente di tutto questo, ma la storia me la creo secondo la mia scuola. Innanzitutto il titolo: a me piace LA SIRENA SPENTA, tanto per restare in tema con la macchia, La SIRENA SPETTINATA mi sembra invece meno efficace. Avevamo detto nelle precedenti puntate (mi sento come un conduttore di TV) che l'inizio poteva essere C'era una volta, ma adesso ci ripenso e me ne invento un'altro, intanto vi dico il nome della protagonista, che non avrà un'antagonista o forse solo una metaforica (mi sento un vero professore di scrittura), e la chiamiamo Luna, che giustifica il personaggio non perché sia lunatica, ma solo perché sogna, che poi finisce male o bene lo vedremo in seguito. Ed ecco che inizia lo spettacolo, pardon, volevo dire il racconto vero e proprio, ma già vi garantisco, abbiate tanta fiducia, che inizia ma non finisce qui o inizia solo e non finisce proprio.
LA SIRENA SPENTA
Luna aveva un sogno da quando era bambina e dopo il liceo classico, mise la sua roba nello zaino e partì per l'Accademia. Il suo paese era un paese troppo piccolo, e i vecchi in piazza, la chiamavano puttana. - Che si e messa in testa quella lì, le donne a casa debbono stare, e lei vuole fare l'artista!
- Spera di diventare famosa, che i suoi quadri li appenderà al museo, al cesso li appenderà, altro che mostre e gallerie - disse con l'aria di uno che se ne intende, il vecchio professore di latino, che una volta aveva visto le mummie ai Musei Vaticani, quando era andato a Roma con la gita della scuola, e dopo venti anni era ancora orgoglioso di quel viaggio, e non perdeva occasione per mostrare tutto il suo sapere.
Luna scese dalla corriera in Piazza Esedra, alle 15,14 di un giovedì di ottobre. In tasca aveva giusti i soldi necessari per stare qualche giorno e s'incamminò alla fermata degli autobus. Maria le aveva dato il nome di una pensione. Pensò di telefonarle, appena sistemata per la notte. Chiese a un conducente che gli indicò il 19. Respirava un'aria nuova e una sensazione strana si faceva strada dentro di lei, ma si sentiva bene, finalmente libera, diretta verso il suo sogno.
Solo Maria era stata d'accordo con la sua decisione, e prima di partire, asciugandosi le mani nel grembiule da cucina, le aveva messo in tasca qualche banconota e una scheda per ricaricare il cellulare. L'aveva vista crescere e sapeva tutto della sua bambina. Lei non aveva avuto figli, il marito non c'era quasi mai, e quando c'era, era ubriaco di alcool e di parole sentite avanti al bar. Poi era rimasta vedova, e Luna tutti i giorni andava a tenerle compagnia, raccontandole della scuola e ripetendole le lezioni, anche se Maria aveva fatto solo la licenza elementare.
Il 19 ritardava, Luna non era impaziente, sentiva che tutto andava bene, persino i ragazzi non le fischiavano dietro o l'apostrofavano con volgarità come al paese, ma la guardavano con occhi dolci nei quali si leggeva l'antico desiderio di Adamo che vede per la prima volta Eva.
....
Ora comunque mi sono un po' stancato, sono le 4,32 di mattina, e poi un racconto non si scrive tutto in una volta, salvo casi eccezionali, anzi se ci perdi tempo e non hai fretta, ti diventa anche un romanzo. Altrimenti fallirebbero anche le scuole di scrittura, dove ti insegnano a scrivere bene, e il bene non va mai d'accordo con la velocità. Solo i professionisti e gli insegnanti che insegnano scrittura, possono permetterselo altrimenti il manoscritto arriva fuori tempo massimo sul tavolo dell'editore, e i contratti, a parte le postille, sono sempre chiari sui tempi di consegna. Intanto Eva è partita e sta per raggiungere la pensione, che è un altro passo per realizzare il suo sogno. Vedremo come svilupperà la storia la prossima volta, se svilupperà, e se la macchia di giugno sarà idonea al proseguo. Ma esiste davvero l'ispirazione? Buonanotte, non ne posso più.
NOTA: Per una migliore comprensione degli eventi si consiglia di
rileggere ORA BASTA presente nella macchia di marzo
LOCATION: cimitero della Doganella-Napoli E che cazzo: sono chiuso in una bara e sento qualche cosa che mi cammina addosso.
Questo coperchio pesa, non riesco a sollevarlo, devo spingere facendo forza con la spalla.
Ho la terra negli occhi. ero seppellito.
Che ci facevo là sotto?
La fontanella per l'acqua dei fiori. devo assolutamente sciacquarmi gli occhi, non vedo quasi nulla.
Non riesco a sentire l'acqua sulle mani. che cosa strana.
Aaaah. va meglio, vedo qualcosa. oh cazzo, ho un occhio in mano, mi è caduto, ma che cosa sono diventato?
Uno zombie! Sei uno zombie di merda e hai reso tale anche me, strùnz'!
Tonino! Ma sei un mostro. hai la faccia devastata!
Dovresti vedere che cosa sei tu con un occhio in mano e l'orbita vuota. Hai un buco in fronte e mezza faccia mangiucchiata dai vermi.
Siamo morti?
E secondo te? Dio ci ha puniti, ci ha rispediti sulla terra in una condizione che peggio non si poteva.
Cioè siamo veramente morti viventi? Non è un sogno o un incubo?!
Ora ti do un calcio sulle palle e tu mi dici se ti svegli, ok?!
Ahiaaaaa. ma fa male. Credo si siano staccate. dico davvero.
Hahaha, non puoi vedere il mio sorriso dato che mi hai sparato in faccia e una faccia non ce l'ho più, ma vai sulla fiducia: sto ridendo.
Ora raccogliti le palle e pensa a cosa fare.
Tu mi hai messo in questa puttanata horror-mistica e ora mi tiri fuori.
E come facciamo ad allontanarci di qui? Facciamo spavento.
Procuriamoci dei cappelli o maglie coi cappucci per coprirci le facce, siamo dei mostri.
Apriamo altre bare e li cerchiamo?
Strùnz', secondo te seppelliscono la gente coi cappelli? Entra in quel furgone che sta scaricando i fiori, allontaniamoci da qui.
Dove starà andando?
E che ne so? Appena rallenta saltiamo fuori. adesso che va piano, vai!
Aaaah, s'è staccata una mano, è rimasta attaccata al portellone del furgone.
Che te ne fotte? .tanto sei morto.
Ah è 'overo ma mi poteva servire!
Cerchiamo di entrare in quel supermercato, ma entriamo da dietro.
Guarda, questi devono essere i vestiti degli operai, pigliati questo cappello, cerca di tenerlo molto basso sulla fronte per coprire il buco del fucile. io metto questa felpa col cappuccio, ma ci servono le scarpe, siamo scalzi. e degli occhiali per coprirci gli occhi fissi.
Reparto abbigliamento e calzature. azz, che bella roba, manco da vivo mi mettevo cose così, e me le metto mo'. che strunzata che è a vita.
Cammina guardando i banchi, cerca di non farti notare ed evita le zone affollate.
Toni', sai che sembra?
Cosa?
L'andarcene in giro nel supermercato, con tutta questa gente viva che fa la spesa. mi pare Zombie, il film del supermercato assediato dai morti viventi. ma la situazione è tutta al contrario!
Era un porno?
No, era un horror degli anni '70.
Non l'ho visto!
Ora cerchiamo di uscire, passiamo di qui che non c'è nessuno, vieni, è il reparto libri.
Gesù, ma quella non è la guagliona tua? Quella su quel cartellone.
"La mia storia con uno psicopatico". Ha scritto un libro quella zoccola!
LOCATION: studio medico Dott. Miccio
ORE: 19:00 del 6 aprile 2004 Quanto credi che ti abbia aiutato scrivere il libro?
Sicuramente dal punto di vista economico un sacco.
Poi mi ha aiutato a riflettere, a superare lo shock, a rileggere meglio gli eventi.
Il mio uomo che fa una strage... sai, non ci credevo quando mi avvisarono. Era. era impensabile. Certo era un tipo strano, ma non era cattivo.
Tu pensi che sia uscito di senno?
No, come ho anche scritto nel libro, è stato Tonino, il suo amico-guardia giurata.
Ma dai giornali non si evinceva questa cosa. E comunque ha ammazzato anche il suo amico...
Ma io lo so, lo conoscevo Tonino e anche il mio ex me ne parlava.
Era un poco di buono, era stato coinvolto nel rapimento di un ragazzo giapponese mesi fa.
Tonino era un personaggio inquietante, completamente fuori di testa, senza senso del reale.
Ed è cambiata tanto la tua vita?
Sì, mi sono anche avvicinata all'Islam. Ora frequento una moschea, sto pensando di diventare musulmana.
Non so, è come se i suoi discorsi, quelli del mio ex intendo, mi avessero spinta ad allontanarmi dal cristianesimo.
Ha lasciato un segno profondo.
LOCATION: Deposito sotterraneo-supermercato
ORE: 20:00 del 6 aprile 2004
Passami un attimo quel libro...
Non mi perdere il segno, stavo leggendo che ha anche parlato del mio sogno di fare lo skipper, tutti i cazzi miei ha raccontato! Ma io voglio guardare le fotografie! Voglio vedere come eri ridotto appena morto. Strùnz', mi tieni qui vicino e ti guardi le foto? Che c'entra? Sulle foto del libro sei morto di fresco.
Piuttosto questa stronza ha speculato sulla vostra storia d'amore, ha fatto un bordello di soldi con quello che hai combinato tu!
Hai ragione, Toni', vorrei mangiarmela viva, sono così incazzato!
Non sei soltanto incazzato, è che ora sei uno zombie e hai desiderio di carne umana, siamo ridotti veramente 'na chiavica.
Usciamo da questo deposito, il supermarket avrà chiuso, no? Mangiamo qualcosa e poi.
E poi ti dico io cosa facciamo: cerchiamo questa zoccola della tua ex e ce la mangiamo viva.
Lascia che ti consigli io, ti sei sempre fidato di me, no?
La pistola per il massacro chi te l'ha data, eh? Io, no?
Tu leggevi che adesso lei frequenta una moschea... Ok, andiamo lì e la ammazziamo in maniera spettacolare, davanti a tutti.
Sì, mi ha sputtanato con un libro pubblicamente e pubblicamente le do fuoco.
Non è una bella idea? Sarà una cosa d'effetto.
Certo, si potrebbe fare. Cerchiamo qualcosa per fare una molotov, nel supermercato c'è tutto, andiamo!
Hey, che fai? Attento a non farti sentire dai custodi notturni.
Ho battuto la testa contro uno scaffale e. cazzo, cazzo! S'è staccato un pezzo di fronte e cazzo. ho il cervello che pende di fuori.
Rimettiti il cappello, lo terrà dentro.
Ma come si costruisce una bottiglia incendiaria? Come fanno a farsele in casa? Merda, non vendono benzina nei supermercati!
Aspetta, il banco della carne. aarhhhghhh.gnampf.
Toni', ma non sa di niente!
Ma non abbiamo più il senso del gusto?.
Strùnz', che credevi? Siamo morti!
Neanche l'olfatto abbiamo perché secondo me puzziamo come i cani morti.
Sai che facciamo? Riempiamo dei sacchi di bottiglie di alcool e le diamo fuoco davanti alla moschea: niente molotov, non ne siamo in grado, ma il fuoco sì, quello appartiene a tutti.
LOCATION: moschea IMAM BUKHARI vico p.zza nuova-Napoli Fortuna che è incustodito, qui.
A che servono dei custodi in una moschea? Cosa rubi qui dentro? E poi loro mica temono attentati.
Restiamo nascosti finché non la vediamo, appena arriva sbuchiamo fuori e le spruzziamo alcool addosso.
Tu spruzzi e io accendo, ti va bene, Toni'?
Perché io con un occhio solo non ho il senso della profondità, me lo spruzzerei addosso o sbaglierei la mira di sicuro.
Poi con una sola mano spruzzerei da una sola bottiglietta, meglio se da due, no?
Va bene. Facciamo una prova, ma stai attento.
Spegni quella sigaretta.
Aspetta... che strano, Toni', aspiro ma non la sento. forse ho rubato le light?
Macché light? Hai una perdita, ti sta uscendo il fumo dal buco dietro la testa.
Veramente? Dici da qui?.
Strùnz', attento a non girare la bottiglietta.
Cazz', la bottigliettaaaaa. Toninooooo. aaaaaggghh... ooooh.
Ahhhh, anch'io cazzo... Cazzo, stiamo andando a fuoco.
Non vedo più niente. uff... coff. aghhh.
Location: sconosciuta
ORE: sconosciute
E ora dove siamo andati a finire? Sembra un deserto, è pieno di sabbia. di dune. guarda là, sta venendo uno col cammello.vuoi vedere che.
Allah?
Dici?
Secondo me è Allah, siamo andati a finire da tutt'altra parte.
Certo che un bel po' di responsabilità ce le ha pure lui.
Lo tieni sempre appresso quel posacenere?. e dammi, dammi!
FINE ![]()
Sto in attesa Ci sarà un segnale Immobile Tutto è relativo Sto in attesa La notte metamorfica genera paura Ti ho amato per come pensavo tu fossi, Desidero la mia Presenza, desidero scomparire quando mi vergogno di ciò
che dico o faccio, desidero non vergognarmi di ciò che dico o faccio,
desidero giungere dove non sono mai giunta, desidero affacciarmi fuori
e scoprire che non avevo ancora visto nulla, desidero alzarmi al mattino
come se fosse una cosa necessaria, desidero…desidero sapere sempre
cosa desiderare. Il canto, l’incanto, desiderio e pianto,
Il naufragio Procedevo senza più vedere, di quella ricerca il fine ultimo,
il senso e le ragioni annacquate, in quel buio abisso, sprofondando. Insieme a me anche altre disgraziate anime terrestri, che non erano uomini
“Cosa sarà?” mi interrogavo “tale oscura, ed
ammaliante forza che ci sospinge in questa direzione? Sarà forse
la morte? che si appresta a rivelare in un sol colpo a tutti noi il mistero?
Ed io insieme a queste creature? Cosa avrò in comune?” In mezzo a quella che sembrava essersi trasformata in un a pista da ballo,
le siluette dei miei compagni di sventura danzavano volteggiando sul filo
delle acque. Non c’era altra via di scampo. Chiuso in quella corazza mi preparai ad affrontare il peggio. Ma il peggio arriva sempre quando meno te lo aspetti, così mi trovai d’un tratto a planare di almeno 5 metri sulle onde. La chiglia, infatti, incontrato il dorso di una balena si impennò all’improvviso ed io sobbalzato finii in acqua. Il turbine di incoscienza mi travolse e ed alla mia immobilità si aggiunse quella folle corrente. “Giù Questa ultima canzone sussurrai al mio cuore e da li più nulla……… L’Approdo “Svegliati eroico amico.. sono giorni che sei assopito su questo
scoglio!” “Giunto alla fine delle onde, ti abbiamo trovato a galleggiare senza più coscienza.. sappiamo bene cos’è successo! Abbiamo udito le parole e dal nostro regno la regina di Atlantide ha mandato noi, le sue ancelle a trovarti!” Figure angeliche di donna con lunghi crini mossi mi attorniavano accarezzando il mio viso. Qualcuna con le sue dita spargeva del dolce sale sulle mie labbra. Biondi e bruni ricci si poggiavano sul mio petto per sentire se in me pulsasse il battito della vita. Qualcuna mi baciava la fronte ed io davvero pensavo di essere finito in paradiso! “Siamo contente che sei vivo! Abbiamo passato questi giorni, dopo averti condotto qui, a cospargere la tua pelle con alghe marine per proteggerti dal sole!” Ancora confuso chiesi a quelle magnifiche creature seminude “ Dov’è il mio overcraft dov’è la mia tuta per gli abissi ?” “Non temere non ne ha i più bisogno”. Mi accorsi solo allora di essere nudo come il primo giorno che venni al mondo, e loro, maliziose, risero del mio imbarazzo, ma a quel punto vidi anch’io meglio le loro figure. Erano sirene! Lunghe pinne compendiavano il loro corpi che sino all’ombellico erano di donna. Mostravano floridi e turgidi seni abbronzati che non feci a meno di accarezzare. Loro mi lasciavano fare, entusiaste del mio vigore, e, compiaciute dalle mie carezze, continuavano a baciarmi. Questo gioco, che mi diede finalmente consapevolezza di essere vivo, durò sino al tramonto… La partenza Una brezza tenue accarezzava ora le rocce. “ E’ il momento
d’andare” Rivolgendosi a me una di quelle sirene. “ La
notte c’è nemica poiché più oscure sono le acque
e la nostra regina vuole conoscerti”. Le mie compagne allora mi presero
per le mani per trascinarmi in acqua. “Come faccio a seguirvi? Io
non sono un pesce! Affogherei di sicuro senza la mia attrezzatura per gli
abissi!”. “Non temere amico!” disse una di loro e portandomi
sul fondo si avvicino e mi baciò. Un bacio profondo e prolungato.
“Ti daremo noi l’ossigeno! Con i nostri baci!”.Ciò
non lo disse parlando. Proseguivamo dunque scendendo tra le profondità che diventavano
sempre più scure. Ogni tanto una di loro ritornava a baciarmi dandomi
un po’ di quel soffio vitale. “Coraggio siamo quasi arrivati.. vedi la giù quella montagna
inabissata? Li è il nostro regno..”. Procedemmo, dunque, verso il pendio della montagne sino ad un punto dove
quelle luci si concentravano. In quel punto un varco. Mi accorsi avvicinandomi
che le stelle di quel firmamento erano una miriade di meduse. Il palazzo della Regina – l’incontro Intorno a me apparve una sala enorme. Li dentro, custoditi come in un
grande museo, c’erano aerei di ogni epoca con l’eliche e a
reazioni, elicotteri, imbarcazioni di ogni tipo, pure un galeone con la
bandiera pirata ed un sommergibile con una grande stella rossa e la scritta
CCCP. In un angolo riconobbi il mio overcraft. “Ti aspettavo. Mio futuro sposo. Ben venuto del regno d’ Atlantide. Il regno delle cose perdute e mai più ritrovate. Qui per secoli noi sirene abbiamo custodito il segreto della civiltà scomparsa a causa dell’egoismo degli uomini, che invidiosi del suo splendore vollero depredare il regno dei suoi tesori. Ma per vendicarsi il re dei mari Poseidone, padre di tutte noi, volle che qui sotto il triangolo delle Bermuda, vi sparissero tutti coloro che vi fossero passati e, quindi, trasformati in delfini. Questo fino a quando un uomo non giungerà fino a noi dopo aver superato il vortice e la tempesta. Costui diventerà il re d’Atlantide ed allora la grande civiltà sommersa riaffiorerà donando agli uomini l’antica arte della telepatia, cosi che la sincerità regnerà sulla Terra. Tu sei giunto fino a qui perché io ho letto nei tuoi pensieri e ho visto il coraggio e la limpidezza nel tuo cuore. ”. Detto questo la sirena si volto “Dimmi dove sei così che io possa avvicinarmi a te.. vivo ormai da mille secoli nell’ombra ed i mie occhi non vedono più..” Interdetto da quelle parole mi avvicinai alla stupenda Regina delle profondità
e le presi le mani. Lei percepì il contatto e risali fino al mio
viso.
Rito e preghiera per ARIANNA “ADORATELA.
De sidera. Quel giorno Donovan esce di casa per offrirsi al miglior offerente. Donovan esce di casa quando gli sembra che tutto sia già accaduto. De sidera. Le strade molli del suo quartiere, le tinte drappeggiate del cielo, il fiato corto della gente di corsa, lo catapultano in una solitudine multiforme. Una solitudine acquatica in cui si sente subito annegare. A Donovan sembra di fluttuare tra gli sguardi assenti e lividi dei passanti, la cui destinazione guerrigliera lo sollecita ad annientarsi contro i muri dei palazzi. Cammina quasi strisciando contro quelle chiazze di intonaco che era franato forse proprio a causa dello sfregamento dei passanti più timidi. Le palpebre eclissate gli consentono di osservare la superficie piana e mobile dei marciapiedi, riuscendo a evitare gli urti grazie a una sotterranea idiosincrasia per il contatto umano. Si sente tiranneggiare dalla pesantezza. I passi pieni con cui sfilaccia le strade pronunciano il ritmo accelerato del suo cuore. Decide di tornarsene immediatamente a casa.
- Signore, non è colpa sua.
Due occhi scuri e immensi lo fissano, senza impertinenza. Donovan si immobilizza per un istante, e in quell'istante gli pare di precipitare in se stesso. Così, tutt'a un tratto, gli sembra di rientrare in sé. Non riesce a dire niente. Soltanto, cerca di scostare quello sguardo oltrepassando il corpo che gli si para davanti.
- Non scappi, signore! Non scappi!
Scappare? Donovan si chiede se stia veramente scappando. Continua a camminare, e anzi accelera il passo.
- Se scappa, signore, perderà se stesso.
Donovan decide che, sì, avrebbe perso se stesso.
Soffia sulle candeline, cucciolo di mamma. Soffia e spegni il pianto, piccolo bimbo. Esprimi un desiderio, e lasciati cullare. Esprimi un desiderio, e credici davvero.
- Dove sei andata???
- Sono uscita a fare la spesa.
- CHI VUOI PRENDERE IN GIRO, TU, EH?
Lo schioccare sordo di uno schiaffo.
- LASCIAMI, MI FAI MALE!!!
Parole impastate dal pianto. Rumore di vetri rotti. Il tonfo di un corpo cha cade sul pavimento duro.
- TI VEDI ANCORA CON QUELLO, VERO?
- LASCIAMI!
- PUTTANA!
- SMETTILA, TI PREGO, MI STAI SOFFOCANDO!
Dondola e piangi, bambino caro. Consola gli occhi e solleva i tuoi pugni. Stringi i denti, frantuma i bisogni. Piccolo caro, proteggi i tuoi sogni.
Silenzio. Non si sente più niente. Silenzio. De sidera. Il cielo è muto, non dice niente. De sidera. Gli aùguri scrutano gli astri, per trovare risposte. De sidera. Il cielo tace.
Occhi sgranati di bimbo osservano ciò che non andrebbe visto. Silenzio. Il cielo è muto, il cielo tace. Corpo di mamma steso per terra. Strazio di un uomo che piange disperato.
Piccolo mio, bimbo adorato, la tua mamma è morta, tuo padre se n'è andato. Cucciolo dolce, non esser triste, la tua mamma ti ha amato, fin dopo la morte.
Donovan rientra in casa, sopraffatto da se stesso. Accoglie i ricordi. Li trasforma in pianto. Trascorsi vent'anni, ritrovare quel bambino, quegli stessi due occhi scuri e immensi, e poterlo finalmente perdonare, gli sembra un'opportunità irrinunciabile. Si dice che non è stata colpa sua. Prende i ricordi, e li mischia con il perdono. Tutto il resto diventa materia da rinnovare. |