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L’ho fatta a pezzi con le mie mani.
La sirena, dico.
Non mi sono fatto fregare.
Ho usato le sue stesse armi.
L’ho ammaliata, l’ho stregata.
Lei era lì, al centro del palco: e la sua voce:

                                                         note di cristallo su un tappeto di blues elettronico.

Bella e altera: sfuggente, guardava fisso davanti a sé.
Ho aspettato.

Paziente.           

Sapevo che avrebbe abbassato le difese: in quel momento mi sono fatto trovare pronto.
Ho indossato tutte le mie maschere.
Lei era meravigliosa e affascinante mentre si dibatteva nella rete.
L’ho sezionata con chirurgica meticolosità: l’avevo visto fare infinite volte nel posto in cui lavoro. Macellai e sfilettatori di pesce sono il mio pane quotidiano.
Ho affondato la lama, ho sentito la carne cedere, l’odore del sangue mi penetrava le narici.
Era morta.
Non avrebbe più avuto la possibilità di stregarmi con la malinconia del suo canto.
La amavo, certo.
E con questo?